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I pericoli inediti della deflazione prossima ventura

Il rischio deflazione incombe sul mondo, in particolare su Europa e Italia. Non è la grande depressione degli anni Trenta, anche per la presenza di valvole di sicurezza sociale. Ma il margine sostenibile di intervento dei governi è molto più risicato, per l’elevato peso della spesa pubblica.

LO SCENARIO DEFLAZIONISTICO
Il taglio inatteso del tasso di riferimento per i mercati finanziari da parte della Bce all’inizio di novembre ha portato all’attenzione di tutti il problema che incombe sul mondo intero e su Europa e Italia in particolare. Al di là dei distinguo verbali del presidente della Bce Mario Draghi, il problema si chiama rischio di deflazione, cioè la riduzione continuata e persistente nel tempo del livello generale dei prezzi. Dopo il crollo di Wall Street nel 1929, negli Stati Uniti i prezzi scesero del 22 per cento nei quattro anni successivi. Anche il Pil in termini reali diminuì della stessa percentuale e così il crollo di borsa del 1929 divenne la Grande Depressione. Certo nessuno oggi vuole ripetere l’esperienza degli anni Trenta. Nel secondo dopoguerra, solo l’economia giapponese ha vissuto un prolungato periodo di deflazione: tra il 1990 e il 2012 in Giappone i prezzi al consumo sono scesi del 12 per cento. Ma, nello stesso periodo di tempo, il Pil è salito complessivamente del 22 per cento. Malgrado l’enfasi ricevuta sui media, quella giapponese è stata una deflazione senza depressione, un grave problema, ma con conseguenze sociali molto inferiori di quelle della Grande Depressione americana.
In ogni caso, dal settembre 2008 lo scenario delle politiche mondiali prevalente in Europa e nel mondo è cambiato radicalmente. Fino a prima del fallimento di Lehman Brothers, le banche centrali si preoccupavano di mantenere bassa l’inflazione in un quadro di stabilità della crescita macroeconomica. La Scienza della politica monetaria (descritta in un famoso articolo di Richard Clarida, Jordi Gali e Mark Gertler) di questo si occupava. Ancora nell’estate 2008, con una decisione passata alla storia come un terribile errore, la Bce di Jean Claude Trichet aumentò i tassi di riferimento per fronteggiare l’inflazione al 4 per cento causata dalla temporanea salita del prezzo del petrolio a 147 dollari al barile.
Dopo il 15 settembre 2008, però, tutto è cambiato e un nuovo spettro ha cominciato ad aggirarsi per l’Europa e per il mondo: quello della deflazione. È per la paura della deflazione che alla fine del 2008 le banche centrali hanno azzerato i tassi sotto il loro controllo. È sempre per la paura della deflazione che, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, i governi dei paesi ricchi e il Fondo monetario internazionale hanno messo in soffitta il Washington Consensus, la dottrina che, nei decenni precedenti, aveva suggerito ai paesi in difficoltà di bilancia dei pagamenti un mix di rigore fiscale e aggiustamento strutturale dell’economia e che per il quarto di secolo successivo alle crisi del debito estero degli anni Ottanta era stata applicata con efficacia. Abbandonato il Washington Consensus, soprattutto nei paesi che spesso avevano espresso gli uomini a capo del Fondo monetario e della Banca Mondiale, si sono manifestati ampi disavanzi pubblici in tutto il mondo sia per l’effetto automatico della crisi (che peggiora sempre i conti pubblici) che per la risposta discrezionale e per i salvataggi dei governi. Ed è stato sempre per paura della deflazione che le banche centrali, dopo aver azzerato i tassi, hanno continuato a riempire di liquidità l’economia mondiale in forme non convenzionali, facendo ciò che non avevano mai fatto, cioè acquistando direttamente titoli pubblici e privati a più lunga scadenza, in modo da sostenere il corso dei mercati obbligazionari e così da offrire ossigeno al lato delle attività dei bilanci delle banche commerciali. Senza preoccuparsi troppo dell’effetto collaterale di queste politiche, cioè quello di alimentare sempre nuove bolle sui mercati finanziari.
LA DIFFERENZA CON GLI ANNI TRENTA
Eppure, nonostante tutte le armi messe in campo da governi e banche centrali, lo spettro della deflazione non è ancora stato battuto. I dati tendenziali di novembre 2013 (rispetto a novembre 2012) ci dicono che l’inflazione tendenziale è oggi in rapida discesa: all’1 per cento in America, allo 0,9 per cento nell’eurozona e all’1,1 per cento in Giappone. Nonostante i tre round di quantitative easing della Federal Reserve, nonostante le Ltro (Long-Term Refinancing Operations) e le strategie di rassicurazione verbale della Bce e nonostante la Abenomics giapponese. Nei paesi indebitati dell’Eurozona l’inflazione è già negativa (-2 per cento, in Grecia) o vicina allo zero (Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna). Nella maggior parte di questi paesi l’attività economica è in contrazione dal 2011, anche se va detto che, con l’eccezione della Grecia, la riduzione del Pil è stata molto più limitata di quella registrata nell’America degli anni Trenta.
Di fronte a questa situazione, tanti – prima di tutto Paul Krugman, ma anche molti cittadini comuni che vedono con preoccupazione la disoccupazione andare alle stelle – sostengono che i governi hanno fatto troppo poco e che quindi la tendenza alla deflazione è in definitiva colpa della scarsa determinazione della politica nel combatterla. È una tesi difficile da sostanziare empiricamente. Come indicato nella figura sotto, il debito pubblico mondiale è ai suoi massimi di sempre in tempo di pace e, secondo i calcoli del Fondo monetario, è già salito di circa 30 punti percentuali negli ultimi anni. La difficoltà di combattere la deflazione nel ventunesimo secolo è ben descritta da due numeri (ricavati da un libro di qualche anno fa di Vito Tanzi e Ludger Schuknecht). Nel 1920 (cioè prima della Grande Depressione) la spesa pubblica in diciassette paesi Ocse era meno del 20 per cento del Pil. Invece, nel 2008, prima della crisi attuale, aveva già raggiunto il 45 per cento del Pil, soprattutto a seguito dell’affermarsi dei sistemi di welfare. Proprio la presenza del welfare, cioè di valvole di sicurezza sociale, ha stavolta evitato che le tendenze deflattive del ventunesimo secolo dessero luogo a qualcosa di simile alla Grande Depressione degli anni Trenta. Ma l’elevato peso della spesa pubblica (e del debito pubblico) ha anche reso il margine sostenibile di intervento dei governi molto più risicato, a causa delle diverse condizioni di partenza di oggi rispetto ad allora.
Come discusso dall’Economist, anche John Maynard Keynes oggi sarebbe stato probabilmente molto meno keynesiano che negli anni Trenta. E così ci si è affidati – e ancora oggi ci si affida – esclusivamente alla politica delle banche centrali, la cui efficacia anti-deflazione, in assenza di un oggi impossibile o almeno poco desiderabile supporto fiscale, è tuttavia molto più limitata. Inutile negarlo: scampare la deflazione degli anni Dieci non sarà un’impresa facile.
daveri deflazione

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Il Punto

19 commenti

  1. Giancarlo Mazzone

    Lineare ed efficace il raffronto tra la crisi del 1929 e quella del 2008 con la conclusione del limite d’intervento dei governi attuali. Come dice l’Economist, oggi J.M.Keynes sarebbe stato molto meno kennesiano. Ma cosa vuole dire tutto ciò?
    Vuol dire che le politiche di welfare dei Paesi sviluppati sono spinte verso un arretramento rispetto ai livelli di oggi?
    Vuol dire che le economie del mondo sviluppato saranno spinte a creare maggiore ricchezza da riversare nelle economie in via di sviluppo e in quelle meno sviluppate?
    Vuol dire che le forze naturali dell’economia in un mondo globalizzato e aperto si fanno sentire e tendono verso situazioni di maggiore equilibrio economico e finanziario facendo ridurre l’elevato debito raggiunto soprattutto dai Paesi sviluppati?
    Questo spettro della deflazione appare quindi un fattore di redistribuzione della ricchezza tra i diversi Paesi del mondo.

    • BRICS

      Mi è piaciuta la frase “le forze naturali dell’economia in un mondo globalizzato”.
      Condivido la tua opinione se ben l’ho interpretata: ad oggi, considerando l’elevatissima interdipendenza di parte dell’economia mondiale, adottare politiche fiscale o monetarie espansive può rivelarsi o eccessivamente dannoso o eccessivamente inutile.
      Ciò che mi preoccupa è pensare al dopo: la FED dovrà sterilizzare miliardi di dollari quando la disoccupazione sarà arrivata al 6,5% per evitare l’inflazione? Che fine faranno gli 85 miliardi al mese una volta che l’economia ricomincia a crescere?

  2. mauro artibani

    Nonostante l’ultimo aumento dell’Iva, c’è l’inflazione in calo: significa che siamo in una situazione di vera e propria deflazione e questo è preoccupante”. Il numero uno della Bce, Mario Draghi, che pur ha tagliato i tassi di interesse, non sembra altrettanto timoroso per il basso livello dei prezzi in un contesto di crescita fiacca. La spirale deflazionistica è deleteria: aiuta, ma per poco, una crescita orientata all’esportazione al prezzo però di una povertà dilagante. Crescita marginale a mezzo di povertà, ecco cosa è il rischio deflazione.
    Non si può, ed ancor meno si deve, mortificare quel dispositivo del mercato efficiente buono per ripristinare l’equilibrio di prezzo tra domanda e offerta, quando si sta dinnanzi a un eccesso di capacità produttiva ovvero a redditi insufficienti a smaltire quella sovracapacità.
    Un maledetto danno, invece per i timorati della deflazione. Danno derivato dalla riduzione generalizzata dei prezzi, che rimanda gli acquisti, generando stagnazione economica e recessione. Danno perché vengono a ridursi gli utili delle aziende, i redditi di chi lavora e i tassi di interesse reali.
    Sia come sia, per chi sia interessato a voler disinnescare la deflazione occorre ridefinire l’equilibrio del mercato. In quel mercato, appunto, dove la crescita si fa con la spesa…

    • Ciò è quello che vuole la Germania, noi dobbiamo morire di fame a favore delle esportazioni, ciò ci permette di abbattere il debito pubblico, dare quindi la stabilità all’euro, unica cosa che interessa alla Germania, inutile anche il “pianto del coccodrillo”, oggi fatto dall’accoppiata Letta Napolitano contro la critica della commissione contro la nostra legge di stabilità, il pianto lo stanno facendo perché sta salendo una opinione nei cittadini che quest’europa fatta sul modello tedesco, di più nell’interesse dei tedeschi, non la vuole più nessuno, quindi se Letta e Napolitano vogliono fare cambiare la politica europea, facciano a livello istituzionale una richiesta di cambiamento di politica monetaria in primis e una politica di gestione federale delle risorse oltre alla “sciocca” percentuale dell1% oggi prevista.
      Ricordo che in Grecia stanno consumando gli alimenti scaduti per risparmiare, tra un po’ arriverà anche in Italia tale necessità.

  3. Wassily Kandinsky

    Caro Francesco, non so se Keynes sarebbe d’accordo con te …… difficile dirlo, non sarei tanto sicuro però, … propenderei per una conclusione diversa dalla tua
    Se vedesse come la crisi del 2008 è stata affrontata e come la crescita dei deficit e debiti è anche il risultato, in gran parte, di questo modo di affrontare la crisi, con l’austerità espansiva in europa, e la politica fiscale fatta con le mani nelle tasche, ovvero con ben poco entusiasmo, io non credo che Keynes accetterebbe volentieri di sottoscrivere le tue conclusioni …

    • francesco daveri

      Caro Wassily, in un pezzo di sei mesi fa http://www.lavoce.info/e-la-crisi-non-lausterita-la-causa-dei-debiti-pubblici/ , correggendo un’affermazione del viceministro Fassina, presentavo qualche dato che indicava come l’austerità espansiva abbia fatto ben poco per aumentare i debiti pubblici (saliti per la crisi 2008-09).
      Peraltro, Keynes nel 1937 scriveva “The boom, not the slump, is the right time for austerity at the Treasury”. La frase è fatta di due pezzi. Il primo dice che è meglio non fare l’austerità in recessione. Il secondo dice che durante i boom DEVE venire il momento per rientrare dai deficit. Questa seconda prescrizione è stata disattesa per decenni dai governi e dimenticata dai keynesiani.

  4. Enrico

    Piero, mi trova completamente d’accordo con lei.
    La Grecia : non ne parla più nessuno, salvo qualche piccolo speciale, non in prima serata ovviamente.
    Quello è il modello di risanamento che si sta andando ad imporre, anche perchè se ci fosse un modello diverso allora perchè non lo applicano anche a loro?

  5. giancarlo

    Qualche autore da anche altre letture sulle cause della crisi. Quando nel sistema economico le disuguaglianze crescono oltre un certo limite inevitabilmente si arriva alla rottura del precario equilibrio e poi ad un progressivo impoverimento dell’intera collettività. Segnalo comunque che se è pur vero che parte delle ricchezze migrano verso gli emergenti, anche nell’occidente, per effetto di quanto sopra detto, un’ elite di ricchi oggi è ancor più ricca.

  6. Piero

    Oggi il Giappone ha comunicato ai mercati ulteriori stimoli per combattere la deflazione, al contrario la Bce voleva riassorbire lentamente la liquidità immessa sul mercato con gli acquisti dei titoli di Trichet, circa 200 mld, per fortuna che l’idea è’ stata rinviata, ciò però ci fa capire come ragionano i cervelli della Bce, pensano solo alla stabilità della moneta, ricordo loro che una moneta potrà essere stabile se si garantisce la sua sopravvivenza, mi pare difficile con l’attuale situazione dei paesi meridionali.
    Come ho già detto su altri commenti, la politica del rigore ha portato la Grecia al consumo degli alimenti scaduti, ciò avverrà inequivocabilmente anche in Italia, oggi il potere trasversale politico/finanziario in sintonia con la Merkel e’ riuscito a rinviare anche le elezioni previste per marzo 2014, se ne parlerà se tutto va bene e se siamo ancora in vita nel 2015 (la sentenza della corte costituzionale di fatto ha reso illegittimo l’intero parlamento e ciò avverrà con la pubblicazione della sentenza, vi sarà quindi questa minaccia che allontanerà il voto), naturale che la Corte risponde a Napolitano e al suo scudiero Letta, l’intenzione di Napolitano e avere un governo stabile che garantisca alla Merkel la tenuta dei conti dell’Italia, per tale motivo Letta ha titolato la legge con il nome “stabilità”, oggi al contrario noi abbiamo bisogno di crescita, comporterà riassorbimento della disoccupazione, per fare ciò abbiamo bisogno di liquidità, tutti i provvedimenti fino ad oggi presi vanno in senso contrario, drenaggio liquidità con le tasse per riequilibrare i conti statali che diventano sempre più pesanti con la crisi e con l’aumento degli ammortizzatori sociali

  7. Piero

    L’Italia può essere salvata solo da Draghi, nei giorni scorsi sul Sole abbiamo letto che vista la bassa ‘inflazione Draghi potrebbe fare una politica di QE: magari lo facesse. Si ricordi forse la funzione della Bce, ossia garantire l’esistenza dell’euro, deve fare un semplice annuncio di volere acquistare sul secondario proquota ai debiti statali 500 mld di titoli, il programma deve essere annunciato per una durata di 10 anni, sono 45 mld al mese di acquisti sul secondario, la metà di quello che ha fatto la Fed fino a questo momento, solo questa manovra potrà contribuire ad eliminare la morsa del credito sulle imprese e fare ripartire l’economia europea. Chi pensa ancora che la politica del rigore da sola possa fare ripartire l’economia sta già constatando che al contrario provoca l’effetto contrario anche ai paesi più virtuosi, si trovano essi con una crisi dei consumi europei e con titoli dei paesi meridionali a rischio default.
    Leggere che in Grecia vengono commercializzati prodotti scaduti perché costano meno, equivale affermare che a causa della mancanza di volontà di stampare la moneta da parte della Germania si vuole uccidere la popolazione che non si può permettere di acquistare i prodotti che non fanno male alla salute, i prodotti non consumati dal nord scaduti vengono trasferiti ai paesi meridionali.
    Ma che Europa e’ questa? Ma chi la vuole?
    Lo spirito e’ ben altra cosa, oggi tale spirito e’ stato perso in primis dalla Germania, penso che tale nazione debba uscire dalla zona euro e fargli ricominciare il percorso europeo.

  8. Maurizio Cocucci

    Sig.Piero, occorre però rendersi conto che talune politiche non appartengono alla sola Germania, dipinta spesso come quella che detta le regole e con gli altri Paesi (27!) costretti a subire. La realtà è ben diversa, sono coloro che vorrebbero rompere con i parametri di Maastricht che sono in netta minoranza (mi riferisco alla posizione ufficiale dei rispettivi governi). Si è parlato di una alleanza tra i Paesi mediterranei per contrastare la presunta egemonia tedesca, ebbene nessun Paese finora è disposto a prendere in considerazione tale ipotesi. Si rilegga ad esempio la risposta del presidente Hollande di qualche mese fa. La Germania poi non è nemmeno la più intransigente, Olanda e Finlandia lo sono ancora di più. Insomma vi è una parte di cittadini, economisti e politici europei che ritiene si debbano ridiscutere i parametri macroeconomici del trattato di Maastricht ed il ruolo della BCE, altri che sono contrari, compresi italiani come il sottoscritto. Io sono fortemente contrario a concedere deroghe al rapporto deficit/Pil (altro discorso è il rapporto debito/Pil che reputo eccessivo portarlo al 60%, più ragionevole un 80-100%) per il fatto che il maggiore deficit non sarebbe denaro ricevuto in regalo, ma un prestito, un prestito da restituire con gli interessi che già oggi ci costano complessivamente circa 90 miliardi l’anno. Sempre che i mercati non riducano ulteriormente la fiducia riposta in noi (peraltro già bassa), in particolare se lo fanno le agenzie di rating, nel qual caso la spesa per interessi crescerebbe notevolmente e saremmo noi, famiglie e imprese, attraverso le tasse e le imposte a doverla pagare. Occorre assolutamente ridurre la spesa pubblica senza se e senza ma! Occorre contrastare la corruzione e l’evasione fiscale senza tentennamenti e ridurre drasticamente la burocrazia. Per ciò che concerne il ruolo della BCE mi trovo d’accordo nel prevedere in futuro, ma non subito, di assegnarle compiti simili a quelli della FED, ma mai e poi mai il ruolo di finanziatore del debito pubblico attraverso l’acquisto diretto di titoli. Le assicuro che questo è il mio libero pensiero e che non c’è nessun tedesco con la pistola puntata alla mia tempia.

  9. Renato Chahinian

    L’argomento è molto importante ed è stato ottimamente presentato dall’autore.
    Ma desidero citare un altro articolo sul tema (“La deflazione cattiva minaccia la UE”) di Gianni Toniolo, apparso su “Il Sole-24 Ore” del 22 novembre. Pur essendo tale articolo sostanzialmente in linea con le tesi di Daveri, parla di deflazione “cattiva” in antitesi con una deflazione “buona” avvenuta in un passato più remoto (verso la fine dell’Ottocento).
    Quest’ultima, proprio con la diminuzione dei prezzi, favorì le categorie più deboli e stimolò le nuove tecnologie che consentirono effettivamente una diminuzione dei costi dei beni e servizi.
    Oggi è ancora possibile che ciò possa succedere (anche se difficile) per il semplice fatto che l’innovazione ed il capitale umano (fattori di produttività e di crescita) sono ancora poco diffusi soprattutto nel nostro Paese. Un loro sviluppo permetterebbe l’offerta di prodotti a minori costi e/o ad una migliore qualità. D’altro canto, ciò non costituirebbe una novità, in quanto già da anni i beni e servizi informatici e telematici costano sempre meno ed hanno prestazioni continuamente migliori in virtù dell’innovazione e delle conoscenze che vengono impiegate. Una simile tendenza dovrebbe essere incoraggiata in tutti i settori produttivi e soprattutto ne devono essere consapevoli gli imprenditori ed i manager a livello diffuso, in quanto, come ovviamente richiamato nell’articolo di Daveri, non ci sono margini per la spesa pubblica ed il pericolo di deflazione (cattiva) è grave.

    • La deflazione in un economia come quella attuale non favorisce i deboli, se vi è deflazione vi è la crisi, le fasce più deboli rimangono senza lavoro, non avranno più reddito, lo stato non avrà la forza di sostenerli, la diminuzione dei prezzi non gioverà a loro. Ricordo a tutti che in Grecia si stanno commercializzando i prodotti alimentari scaduti per tale fascia di persone, quando tra un po’ non si potranno permettere i prodotti alimentari scaduti, moriranno di fame.

  10. In presenza di un debito eccessivo la deflazione peggiora la situazione, il debito diventa ancora più gravoso e diventa impossibile pagarlo con la moneta buona; solo l’inflazione in tale contesto può sanare tutto, la moneta cattiva riesce a pagare il debito eccessivo, naturale vi sarà lo spostamento della ricchezza dalla rendita alla classe dei lavoratori e delle imprese, ma ciò è quello che occorre in presenza di un debito eccessivo che non si può pagare, l’alternativa e’ il default con tutte le conseguenze negative per l’economia e lo stato, vedi l’Argentina.

  11. Oltre ai commenti già fatti, vorrei invitare il Prof. Daveri nel convegno del 9/12 ad affrontare tali problemi, purtroppo sono impegnato altrove e non posso partecipare anche se già ne avevo dato l’adesione.

  12. Draghi oggi afferma che vuole fare arrivare i soldi all’economia reale, quindi non fa più gli Ltro ne l’acquisto dei titoli sul secondario, ha però bloccato la sterilizzazione settimanale degli Smp fatti da Trichet; siamo tutti d’accordo di fare arrivare la liquidità all’economia reale e alle famiglie, ma come fare? Oggi alle promesse di Draghi non crede più nessuno, tutti sanno che è’ imbrigliato nella politica tedesca, faccia se ha coraggio l’annuncio dello strumento che vuole adottare per raggiungere tale obbiettivo da tutti condiviso, non voglio essere monotono ma solo l’acquisto sul secondario dei titoli può fare non vedo altre soluzioni.

    • Maurizio Cocucci

      Se le banche non prestano denaro alle famiglie e imprese non è perchè manchi e non dipende certo dalla BCE, dipende dal fatto che sono poche le famiglie e le imprese che lo chiedono fornendo sufficienti garanzie. Poche sono infatti le imprese che investono e sempre più quelle che si recano in banca chiedendo denaro per pagare fatture, salari, tasse e imposte. Le banche non sono enti di beneficienza, ma imprese la cui attività è quella di raccogliere e prestare denaro, avendo margini molto ridotti di redditività pertanto basta poco per portare i bilanci in perdita. Dai dati ABI a Ottobre scorso la raccolta complessiva è stata di 1.727 miliardi di euro mentre i prestiti complessivi ammontano a 1.857 miliardi, quindi il sistema bancario ha prestato circa 130 miliardi in più di quanto raccolto. Le sofferenze nette a Settembre sono state pari a ben 75 milardi di euro, erano 49 miliardi a Settembre 2011. Confrontando questi dati relativi alla raccolta e agli impieghi con quelli passati emerge che si è avuta una contrazione di questi ultimi, ma non tale da rendere attendibile l’affermazione che le banche non prestano più, e comunque questa è dovuta da una parte alla riduzione della raccolta e dall’altra dall’aumento della rischiosità: il rapporto sofferenze nette/impieghi a Settembre è pari al 4,03%, era il 2,53% a Settembre 2011.

  13. Con grande stupore oggi leggo sul sole un plauso a Draghi da parte di Bastasin, penso che stiamo toccando il fondo, si rappresenta nell’articolo la reale situazione che dovrà peggiorare nel 2014 con l’unione bancaria, si dice che è la stessa strada seguita dagli americani, la ristrutturazione delle banche comporterà benefici all’economia reale, ciò è tutto vero ma l’onesta intellettuale dell’Autore doveva anche precisare il comportamento della Fed, che sta facendo ancora acquisti di titoli per 85 mld mese, immettendo codice liquidità nell’economia reale, i titoli statali non pesano nei bilanci delle banche come in Italia, al contrario la politica di Draghi, ha sempre sterilizzato gli effetti espansivi della base monetaria ( ad eccezione dell’ultima settimana), non ha fatto nulla per togliere dalla pancia delle banche i titoli statali che impediscono loro di tornare a fare il credito, abbiamo visto che con la politica della Fed c’è la crescita, mentre con la politica della Bce c’è’ la fame, per il momento solo nei paesi meridionali, che plauso dobbiamo dare a Draghi?

  14. gioele

    Chi ha paura della deflazione? E perchè? Sono meravigliato dagli allarmi che vengono da più parti sui “pericoli della deflazione” come se adesso, dopo aver pianto lacrime e sangue sull’inflazione, si debba temere l’opposto! Paragonare la situazione attuale alla Depressione americana è fuorviante! Allora la disoccupazione era massiccia, molto più che ora!
    Una lenta discesa dei prezzi è positiva poichè aumenta il potere d’acquisto dei bassi salari e pensioni dunque mi si spieghi che male ci fa la deflazione.

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