Il Governo Monti ha portato nella politica dell’immigrazione un notevole mutamento di stile. Ma i provvedimenti presi non sono stati molto incisivi. Anche a normativa invariata, si potrebbero ottenere molti miglioramenti con semplici atti amministrativi, dettati dal buon senso.
Un anno di attività del Governo Monti ha determinato, nella politica italiana dell’immigrazione, uno straordinario mutamento di stile: sobrietà al posto della rozzezza leghista. Per contro, l’azione del Governo non è stata molto incisiva, anche a causa di una maggioranza parlamentare assai poco coesa sul tema.
CHE COSA È STATO FATTO
Sono stati varati due decreti legislativi, in attuazione di altrettante direttive europee. Il primo (n. 108/2012) disciplina l’ingresso per lavoro di lavoratori stranieri altamente qualificati, ponendolo al di fuori dei vincoli numerici definiti annualmente dal decreto-flussi. Il secondo (n. 109/2012) rende più severe le sanzioni contro i datori di lavoro che occupino illegalmente lavoratori stranieri o che li sfruttino in modo particolarmente grave. Dispone anche che al lavoratore gravemente sfruttato che denunci il proprio datore di lavoro possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari (verosimilmente convertibile in altro permesso a conclusione del procedimento).
Lo stesso decreto ha previsto una regolarizzazione transitoria, a certe condizioni, dei rapporti di lavoro illegali instaurati con lavoratori stranieri. A seguito di un improvvido contrasto tra ministeri, è stato imposto un costo piuttosto elevato per il datore di lavoro e si è pretesa una prova di presenza del lavoratore impossibile da fornire (per poi ripiegare su una interpretazione indulgente della disposizione negli ultimi giorni utili). Ne è sortito un parziale flop: meno di 135mila istanze, pari a un terzo delle domande attese in base alle stime – per esempio – della Fondazione Leone Moressa.
Positivo che con la legge n. 35/2012 siano state introdotte semplificazioni relative all’assunzione di immigrati stagionali, all’iscrizione anagrafica e alla parificazione tra stranieri e italiani ai fini dell’autocertificazione. Inoltre, si è stabilito (legge n. 92/2012) che il lavoratore straniero che resti disoccupato potrà cercare lavoro per tutto il tempo in cui fruisce di prestazioni a sostegno del reddito e, comunque, per non meno di un anno (anziché i sei mesi precedentemente previsti); potrà anche prolungare il suo soggiorno oltre questo limite se in possesso di risorse sufficienti di origine lecita.
Il Governo ha dato attuazione, senza modificarne i contenuti, ai provvedimenti, adottati dall’esecutivo precedente, sul contributo a carico dello straniero per rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno e sull’accordo di integrazione. Sopprimere entrambi (come fatto, con la legge n. 44/2012, per l’imposta sui trasferimenti in denaro da parte di persone prive di codice fiscale o di matricola Inps) sarebbe stata manovra saggia e a costo zero.
Riguardo all’emergenza Nord Africa, il Governo ha prolungato il regime di protezione temporanea fino al 31 dicembre prossimo. Non è ancora chiaro se intenda continuare a prolungarlo o se voglia cercare soluzioni più definitive (permessi di durata maggiore? Forme di rimpatrio assistito?). Positivamente, però, si è deciso di concedere la protezione umanitaria a chi fosse fuggito dalla Libia senza esserne cittadino (il che impediva di accordare la protezione internazionale propriamente detta).
Modesto l’intervento in materia di programmazione dei flussi per lavoro: 10mila ingressi per formazione professionale e tirocinio, 35mila per lavoro stagionale e 4mila per i fantomatici lavoratori addestrati all’estero (altro retaggio sciocco e costoso delle riforme berlusconiane).
Infine, una prassi positiva in materia di diritto all’unità familiare sembra affermarsi, a seguito di una sentenza del tribunale di Reggio Emilia: il ministero dell’Interno prende atto del fatto che il coniuge straniero di un cittadino dell’Unione Europea (in particolare, di un cittadino italiano) ha diritto di soggiorno in Italia anche quando si tratti di matrimonio gay celebrato all’estero. È il primo caso in cui un tale matrimonio, non consentito oggi dalla legge italiana, si dimostra capace di produrre un effetto giuridico nel nostro ordinamento.
CHE COSA SI DOVREBBE FARE
Una riforma seria della normativa dovrebbe riguardare almeno due temi: l’ingresso in Italia per lavoro e l’acquisto della cittadinanza. Riguardo al primo, si dovrebbero istituire canali di ingresso per cercare legalmente occupazione in Italia (superando la finzione giuridica della chiamata, da parte di un datore di lavoro italiano, di un lavoratore ancora residente all’estero). Riguardo al secondo, occorrerebbe consentire, a determinate condizioni, l’acquisto della cittadinanza al minore straniero nato in Italia da genitori stabilmente soggiornanti o integrato nel sistema di istruzione e formazione.
CHE COSA SI POTREBBE FARE
Molti miglioramenti si potrebbero però ottenere, anche a normativa invariata e nel breve tempo di vita che resta al Governo, mediante semplici atti amministrativi, dettati dal buon senso e dalla giurisprudenza prevalente. Alcuni esempi:
– chiarire che le domande di autorizzazione all’ingresso per lavoro possono essere presentate in qualunque momento dell’anno, e non solo nel click day che segue l’adozione del decreto-flussi;
– dare attuazione alla disposizione di legge che prevede la possibilità generale di rilasciare un permesso di soggiorno allo straniero, regolarmente soggiornante ad altro titolo, che sia in possesso dei requisiti previsti per il permesso richiesto;
– chiarire, in base al principio del superiore interesse del minore, come la mancata verifica dei requisiti economici normalmente previsti per il ricongiungimento familiare non deve comportare il diniego del nulla-osta ogni qual volta questo costringa il figlio minore a vivere in patria in condizioni economiche ancora più disagiate o leda in modo grave il suo diritto all’unità familiare;
– rendere esplicito quanto già affermato dalla giurisprudenza di merito riguardo al diritto dello straniero abilitato a lavorare in Italia di accedere al pubblico impiego a parità con il cittadino comunitario;
– ammettere, in linea con le sentenze della Corte Costituzionale, lo straniero al godimento delle prestazioni assistenziali mirate a tutelare un diritto fondamentale, a prescindere dal tipo di permesso di soggiorno di cui è in possesso
– eliminare il reddito dai criteri presi in esame ai fini della naturalizzazione dello straniero e correggere (in linea con la giurisprudenza recente) la definizione di residenza legale da utilizzare nell’applicazione della legge sulla cittadinanza: da quella formale (soggiorno legale e iscrizione anagrafica) oggi utilizzata a quella sostanziale di durevole e stabile permanenza e inserimento nel tessuto socio-culturale.
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