Il principio di net neutrality, cardine del modello di Internet aperto che conosciamo, è stato recentemente rimesso in discussione da una Sentenza della Corte di Columbia. Un’analisi economica dell’evoluzione della rete. Questione che anche l’Europa prima o poi dovrà affrontare.
IL MODELLO DEL NET NEUTRALITY BILL
La sentenza della Corte del Distretto di Columbia del 14 gennaio scorso (Verizon versus Fcc) rimette in discussione il principio di net neutrality che ha caratterizzato il modello di internet aperto, così come lo abbiamo conosciuto finora e offre lo spunto per affrontare la tematica dal punto di vista economico.
La net neutrality riguarda la circolazione del traffico sulla rete Internet secondo un principio generale di non discriminazione: chiunque vi acceda può farlo liberamente, indipendentemente dall’origine, dalla destinazione e dal contenuto e senza alcun trattamento preferenziale.
L’attuale regolazione della net neutrality della Fcc prendeva le mosse proprio da un caso palese di discriminazione di un operatore via cavo, Comcast, il quale veniva accusato di favorire i propri fornitori di contenuti a scapito dei concorrenti. Dopo 5 anni di discussioni e aspri dibattiti, nel 2010 la Fcc formulava il cosiddetto Net Neutrality Bill, dove veniva affermato l’obbligo da parte degli Internet Service Provider (Isp, cioè società di telecomunicazioni e operatori via cavo, questi ultimi pressoché assenti in Italia) di non discriminazione nella fornitura dei servizi di accesso (1).
COSA È CAMBIATO DA ALLORA?
Da allora, attraverso un uso intensivo che ne fanno alcuni fornitori di contenuti, il panorama della rete è profondamente cambiato e pone in prospettiva sempre maggiori problemi di congestione, caduta nella qualità del servizio e allocazione delle risorse di rete, in conseguenza dell’esplosione dei servizi video: Netflix, il contendente di Verizon, è il maggiore divoratore di banda negli Stati Uniti, con oltre il 30 per cento del totale e un altro 20 è occupato da YouTube. In questa situazione l’obbligo di non discriminazione nella fornitura dell’accesso entra sempre più in conflitto con un uso intensivo della rete da parte dei maggiori fornitori di contenuti.
In conseguenza di ciò, secondo alcuni, la gestione del traffico dovrebbe essere affidata senza limitazioni agli Isp i quali, soprattutto in condizioni di congestione, dovrebbero favorire la trasmissione di alcuni pacchetti di dati rispetto ad altri (in termine tecnico si chiama prioritarizzazione). Questo consentirebbe agli Isp di avere maggiore libertà di manovra e una remunerazione maggiore, legata a una domanda di banda sempre più ampia (larga e ultralarga) e collegata alla qualità del servizio. Ciò spiega perché chi gestisce l’accesso a internet sia tendenzialmente contrario alla net neutrality.
I sostenitori della neutralità della rete si oppongono a questa visione, sottolineando il rischio di discriminazione da parte delle telcos, che potrebbero favorire nella gestione del traffico i propri servizi a scapito di altri, anche sulla base del tipo di contenuti e applicazioni, riducendo al contempo l’impegno a garantire il livello minimo di qualità dei servizi (il cosiddetto best effort), su cui è nato e si è sviluppato fin qui l’Internet aperto che noi conosciamo.
La loro convinzione, peraltro supportata da evidenze empiriche, è che in assenza di tali regole non vi sarebbe stato per i fornitori di contenuti e per gli stessi utenti lo stesso impulso all’innovazione e alla creazione di nuovi modelli di business sperimentato in questi anni (web 2.0, social media): se i fornitori di contenuti sono protetti dal rischi dei sovraccosti legati alla prioritarizzazione saranno incoraggiati a innovare più velocemente. In tal senso la regolamentazione ex ante, basata sul best effort, è fondamentale perché protegge da comportamenti anti-competitivi, che non sarebbero sanabili in modo appropriato dall’antitrust.
LA NET NEUTRALITY PUÒ ESSERE RIVISTA?
Nonostante gli indubbi successi nello sviluppo del mercato sotto le regole della net neutrality, oggi questo regime è posto in discussione, come testimonia la sentenza. Vi sono dunque margini per una revisione?
Una prima risposta ritengo possa essere ricercata nel verificare se il principio di non discriminazione abbia effettivamente inciso nell’evoluzione in atto o se invece l’evoluzione, soprattutto quella legata all’esplosione del video, sia avvenuta nonostante la regolamentazione.
Gli oppositori della regolamentazione neutrale sostengono infatti che una forma di discriminazione è connaturata alla natura stessa del servizio e che la prioritarizzazione e il traffic management abbiano continuato a operare anche in presenza di tale regolamentazione perché non tutti i bit di informazione vengono trattati allo stesso modo.
Da un punto di vista strettamente economico, il principio di non discriminazione non ha le stesse connotazioni negative presenti in ambito politico e sociale: la discriminazione e la flessibilità sono infatti componenti essenziali per la migliore salute del mercato, tanto più quando queste permettono di remunerare servizi di diversa qualità. La presenza di prezzi differenziati in determinate circostanze rende il sistema migliore, più competitivo e orientato all’innovazione, perché massimizza le risorse e aumenta i benefici sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda (prezzo non imposto o identico per tutti, ma basato sulla diversa disponibilità a spendere). Quindi solo la presenza di forti asimmetrie, in grado di creare inefficienze e impedire al mercato di funzionare al meglio come i monopoli (o SMP), può giustificare un modello economico quale quello previsto dalla net neutrality.
Nel caso specifico supponiamo che Verizon, sulla base della sentenza: 1) riduca la banda a Netflix per prioritizzare altri fornitori; 2) richieda un prezzo più alto per garantire la qualità dei servizi in streaming. Nel primo caso farebbe del male solo a se stessa, perché ridurrebbe l’attrattività della propria offerta di accesso a favore dei concorrenti che spingerebbero per avere Netflix a condizioni migliori; nel secondo caso Netflix ricaricherà sull’utente finale in tutto o in parte il maggiore costo di accesso. È certamente una situazione molto diversa da quella in cui si trovava Comcast dieci anni orsono, quando modelli di walled garden o comunque di discriminazione in favore dei propri servizi potevano ancora rappresentare un ostacolo evidente alla nascita di nuovi operatori e modelli di business, aperti e orizzontali, su cui Internet si è poi definitivamente sviluppato.
LE POSSIBILITÀ PER LE START-UP
Naturalmente se a negoziare con Verizon non ci fosse Netflix potrebbero verificarsi soluzioni diverse ed è su questo che i sostenitori della net neutrality insistono: una volta eliminata la regolazione si ridurrebbero le possibilità per le start-up di diventare a loro volta le Google o le Netflix di domani.
In definitiva, quel che appare evidente è che la rete nell’ultimo decennio è molto cambiata e alle condizioni attuali appare improbabile che eliminando la regolazione “neutrale” si possa pensare di ritornare a un modello dominato dalle telcos e dai fornitori di accesso, in grado di condizionare lo sviluppo di internet, attraverso il controllo di tutti gli anelli della catena del valore (integrazione verticale e walled gardens).
Se questo è vero, d’altro canto è possibile accettare l’idea di una rete “prioritizzata” solo a due condizioni: che le attuali modalità in best effort rimangano comunque garantite e che l’eliminazione della regolazione neutrale non abbia una ricaduta negativa nella componente dei contenuti. Discriminando tra i fornitori di contenuti, gli stessi fornitori di accesso potrebbero creare infatti quei colli di bottiglia che rendono più difficile l’ingresso dei nuovi entranti.
In questo senso, anche in Europa, la regolazione neutrale di Internet che dovrà essere implementata anche alla luce delle proposte della Commissione europea (single market), richiederà un approccio più empirico, anche in chiave di analisi d’impatto, rispetto all’approccio dogmatico che ha prevalso finora.
(1) Per un approfondimento si rinvia a miei primi interventi sull’argomento: Side-Isle Conference, Firenze, dicembre 2009, I-com, workshop sulla net neutrality, Roma, febbraio 2010.
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