Liberalizzazioni e privatizzazioni sono spesso indicate come elementi importanti delle strategie per uscire dalla recessione. Ma le scelte dei governi per le une o per le altre non sono determinate da considerazioni puramente tecniche. Conta molto anche la loro ideologia politica.
IL GIUSTO MIX DI LIBERALIZZAZIONI E PRIVATIZZAZIONI
Liberalizzazioni e privatizzazioni sono spesso indicate come ingredienti importanti nelle strategie di rilancio pro-concorrenziale delle industrie a rete, specie come spinte propulsive all’uscita dalle fasi di recessione.
Tuttavia, una ricca letteratura empirica evidenzia come azioni frettolose e male organizzate (come ci insegna il caso Alitalia) possono rivelarsi inutili o dannose sotto diversi punti di vista, rispetto a strategie di gradualismo nelle quali il timing e la complementarietà delle due politiche diventano elementi centrali delle scelte.
Le determinanti della combinazione di liberalizzazioni e privatizzazioni possono essere molteplici. Tra queste, quella finora meno esplorata riguarda il colore politico – la partisanship – dei governi che le attuano.
Se le azioni di liberalizzazione e privatizzazione, e in particolare il loro timing, il sequencing e la relativa complementarietà, rispondessero esclusivamente a considerazioni di natura tecnica, il colore politico del governo non dovrebbe avere alcuna rilevanza. Specie in paesi che rispondono al medesimo quadro istituzionale (Unione Europea) o con strutture convergenti nella dinamica economica e nella regolazione dei mercati (paesi Ocse).
L’analisi dell’evoluzione storica sembra tuttavia suggerire che non è così. I dati rivelano, piuttosto, una (in)attesa “specializzazione” che i governi di diverso orientamento politico dimostrano rispetto ai due tipi di politiche e alla loro combinazione.
Affiancando, infatti, i dati Ocse sull’intensità delle riforme di liberalizzazione e privatizzazione con quelli sull’orientamento politico dei governi in carica negli ultimi trenta anni emerge una sorprendente correlazione: i governi di destra o centro-destra tendono a favorire le privatizzazioni, mentre quelli di sinistra o centro-sinistra sembrano favorire le liberalizzazioni, soprattutto dopo il 2000.
La figura 1 e la figura 2 mostrano l’intensità delle politiche misurata attraverso gli scatti, a intervalli biennali, nel valore dell’indice di liberalizzazione e privatizzazione per le industrie a rete, in media in trenta paesi Ocse.
Figura 1 – Intensità delle riforme di privatizzazione e colore dei governi
Fonte: nostra elaborazione su dati Ocse
(settori: ferrovie, poste, trasporto aereo, energia, telecomunicazioni, gas)
Figura 2 – Intensità delle riforme di liberalizzazione e colore dei governi
Fonte: nostra elaborazione su dati Ocse
(settori: ferrovie, poste, trasporto aereo, energia, telecomunicazioni, gas)
Quello che potrebbe sembrare il risultato di una correlazione spuria (gli esecutivi di destra potrebbero trovarsi in carica più frequentemente nei periodi in cui fare cassa è una priorità), si dimostra essere in realtà l’esito di una “specializzazione” dei governi fortemente determinata dal loro colore politico, anche alla luce di opportuni test econometrici. (1)
I dati disponibili che consentono una valida comparazione internazionale si fermano al 2007, ma la recente storia italiana (compresa la sostanziale incertezza del Governo bipartisan presieduto da Enrico Letta, la cui esperienza è appena terminata) non smentisce il trend. Sarà interessante vedere su quale fronte (se sarà su uno in particolare, più che su entrambi) si concentrerà l’azione del nuovo esecutivo.
(1) Belloc, F., Nicita, A. e Sepe, S. “Disentangling Liberalization and Privatization Policies: Is There a Political Trade-off?” Journal of Comparative Economics, forthcoming.
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Piero Thor
Articolo molto interessante che mi ha fatto notare una cosa a cui non avevo mai pensato: guardando il caso limitato dell’Italia azzarderei che ognuno difende i propri bacini elettorali (che sono quelli che gli garantiscono le poltrone); quindi a sinistra per difendere i dipendenti parastatali (anche se in esubero) non vendono le aziende parastatali e liberalizzano le professioni o gli autonomi (che votano a destra), mentre a destra non liberalizzano le professioni e viceversa per far cassa e magari abbassare le tasse agli autonomi (o non alzarle, o far finta di non vedere che evadono) preferiscono far cassa vendendo con cui finanziar le minori tasse o mancati aumenti.
Spartaco
Il futuro -dopo 30 anni di disastri in salsa neoliberista-è fare l’esatto opposto. Più Keynes e meno Hayek, più stato e meno mercato, più tutele e meno deregolamentazione.
Gianfranco
Ma di che neo-liberismo parli? Di quello della Camusso?
Spartaco
Ti ha risposto Marco nel suo ottimo post.
Roberto Marchesi
La distinzione tra le liberalizzazioni e le privatizzazioni e’ puramente “tecnica”, o meglio “politica”, essendo in realta’ entrambe le line economiche fortemente insite nel sistema capitalistico. Una reale distinzione, con profonde ripercussioni sul sistema economico del paese, dovrebbe essere basata tra economie ad ispirazione “egocentrica” (quelle ispirate al liberalismo economico capitalista) ed economie ad ispirazione “solidarista”, quelle che hanno nel benessere sociale e nella crescita egualitaria le linee di fondo.
Questa nuova ripartizione ribalterebbe l’attuale classificazione (destra-sinistra), ormai
senza senso e dividerebbe le line politche su due fronti che troverebbero le (attuali) destre e le sinistre insiemeda una parte, contro un (attuale) centro, tutto improntato all’egocentrismo capitalista, dall’altra parte.
Cordiali saluti da Dallas, Texas – Roberto Marchesi
rob
Una terza via come indicava Adriano Olivetti, no?
Marco
Sono dell’opinione che prima di liberalizzare qualsivoglia settore economico occorra preliminarmente liberalizzare il suo mercato di riferimento. Ove ciò non sia possibile, ad esempio per la presenza di monopoli naturali obbligati (come nel caso del servizio idrico) si dovrebbe usare estrema cautela nel privatizzare, cosa che non è stata fatta in passato dai governi succedutisi negli anni, che hanno privatizzato settori in monopolio in nome di principi sempre rifiutati dai cittadini (vedi referendum sull’acqua) e di norme europee falsamente indicate come cogenti (laddove viceversa l’Europa non ha mai obbligato nulla a nessuno, come è ampiamente dimostrato dal fatto che nella gran parte dei più avanzati paesi europei il servizio idrico è interamente pubblico e gestito dal pubblico).
I risultati prodotti da questo tipo di politica disastrosa sono sotto gli occhi di tutti: aziende distrutte finanziariamente e conseguente mancato incremento degli investimenti. Se non vogliamo in futuro piangere altre Alitalie e/o Telecom (l’insieme delle aziende idriche e multi-utilities ha bruciato quantità di ricchezze enormi) dobbiamo subito correre ai ripari, proprio come dice Spartaco. Altrimenti ce ne pentiremo. L’Acea (che ad oggi ha consolidato debiti per poco meno di 3 miliardi) ha di recente approvato un piano industriale pluriennale con 2,4 miliardi di nuovi investimenti (almeno così riportava la stampa di recente). Ma con quali soldi li fa? Ma è ovvio: aumentando ancora il debito, in una spirale perversa che vede distribuire utili distribuiti sempre maggiori (come quest’anno) consolidando debiti sempre più importanti, sino a quando la situazione non sarà più sostenibile ed allora tutti scapperanno. Chi resterà? Anche questo è ovvio: lo Stato (in questo caso i cittadini di Roma) che dovrà riprendersi la bad company. Svegliamoci ragazzi!