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Cooperazione: una riforma lunga vent’anni

È all’esame del Senato la proposta di riforma della cooperazione allo sviluppo. Alcuni passi avanti, ma ancora alcune questioni da chiarire. Prima fra tutte quella dell’annunciato aumento delle risorse a disposizione. Senza dimenticare l’istituzione di una commissione di valutazione.

UNA LEGGE ANNUNCIATA DA VENT’ANNI

La discussione sulla riforma della cooperazione allo sviluppo italiana sembra essersi sbloccata dopo anni di stallo. La legge che a tutt’oggi ne regola le attività è del 1987: è stata quindi pensata e approvata prima della caduta del muro di Berlino, prima degli obiettivi di sviluppo del Millennio e prima delle dichiarazioni di Parigi, Accra e Busan sull’efficacia degli aiuti.
Dell’urgenza di rivedere il quadro legale della cooperazione si parla dal 1996, ma negli ultimi tempi qualcosa si è mosso davvero.
Il 26 gennaio scorso il Governo Letta ha approvato un disegno di legge che è ora all’esame del Senato. La proposta si basa su tre pilastri fondamentali: (a) la creazione di un comitato interministeriale per coordinare l’azione di tutti i ministeri con competenze nel campo della cooperazione; (b) la nascita della tanto annunciata Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, dotata di maggiore autonomia e flessibilità e di un quadro di professionisti specializzati; e (c) un ruolo chiave di indirizzo e controllo affidato al Parlamento e alla Conferenza Nazionale, organo di discussione e di consultazione con attori non-governativi. Tra i maggiori promotori della proposta c’è Federica Mogherini, ai tempi deputata e coordinatrice dell’intergruppo parlamentare per la cooperazione allo sviluppo e oggi ministro degli Affari esteri nel governo Renzi.

COSA SI PUÒ MIGLIORARE

Il testo della proposta inviata al Senato recepisce una serie di raccomandazioni presentate nel rapporto di peer reviewpreparato dal Development Assistance Committee dell’Ocse.
già nel 2009. Malgrado ciò, vi sono alcuni punti sui quali la proposta lascia a desiderare, e che andrebbero rafforzati prima della sua approvazione finale.
In primo luogo, la proposta prevede la possibile nomina di un viceministro con delega alla cooperazione, privo però del diritto di voto in Consiglio dei ministri. Sarebbe opportuno rafforzarne i poteri per garantire alla cooperazione un indirizzo politico costante e incisivo, soprattutto quando si tratta di deliberare sulle risorse.
L’Agenzia gestisce le risorse per la cooperazione bilaterale a dono, mentre il ministero dell’Economia e delle Finanze mantiene la sua responsabilità sui finanziamenti multilaterali per banche e fondi di sviluppo nonché sui crediti concessionali. Questa divisione complica oltremodo il coordinamento e la coerenza delle politiche di cooperazione. L’istituzione di un comitato interministeriale di coordinamento, previsto dall’articolo 14, può non essere sufficiente a garantire un’azione congiunta efficace. Sarebbe più sensato concentrare tutte le responsabilità sull’Agenzia, pur garantendo un livello adeguato di coordinamento interministeriale.
Il mantenimento della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo nell’ambito della Farnesina non sembra poi necessario. La sua funzione strategica e d’indirizzo potrebbe essere garantita da una sub-direzione all’interno della Direzione generale responsabile per la mondializzazione, come avviene in Francia.
Il rilancio della cooperazione italiana può e deve passare soprattutto dalla professionalizzazione della nuova Agenzia, con un aumento significativo del personale tecnico e un suo rinnovamento. La proposta include soltanto disposizioni per il trasferimento di funzionari pubblici già in servizio e non prevede un bando immediato per inserire nuovi profili e capacità.
La proposta, infine, non prende in considerazione la valutazione delle attività della cooperazione, funzione fondamentale per garantire che i fondi disponibili vengano ben spesi. Sarebbe opportuno inserire un provvedimento che preveda la creazione di un’unità di valutazione, possibilmente esterna all’Agenzia e legata direttamente al comitato interministeriale o al Parlamento, per garantirne l’indipendenza.

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E LE RISORSE?

Due ultimi appunti. Primo: chiaramente il successo della riforma dipenderà in gran parte dalle risorse che il Governo deciderà di mettere sul piatto per sostenerla. Nel Documento di economia e finanza 2014 appena presentato rimane fermo l’impegno già preso dal Governo precedente di aumentare le risorse disponibili, ma senza non vengono specificati gli stanziamenti. Resta da vedere se le promesse si tradurranno in fatti. Sarebbe auspicabile che il Governo si impegnasse immediatamente a precisare l’entità dell’aumento delle risorse previsto per i prossimi tre anni.
Secondo: l’anno prossimo si decideranno la forma e il contenuto dell’agenda di sviluppo globale che sostituirà gli obiettivi del Millennio, con probabili ripercussioni di rilievo sulla cooperazione allo sviluppo nei prossimi dieci-venti anni. Potrebbe essere utile includere nel testo della riforma un momento di verifica già tra un paio d’anni, per fare sì che la nuova architettura della cooperazione non venga immediatamente resa obsoleta dagli eventi.

 

* Iacopo Viciani, consigliere politico al ministero degli Affari esteri, ha contribuito alle idee contenute in questo articolo.

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Per la cedolare un bilancio in chiaroscuro

  1. giancarlo

    Per 20 anni ho incrociato le ong che fanno cooperazione allo sviluppo in Senegal e Albania. Risultato della mia esperienza: andrebbero prese a bastonate. Soldi pubblici buttati e in qualche caso sottratti per fini immorali. Efficacia quasi zero. Non riescono a trasformare i beneficiari in imprese autosufficienti e dunque perpetuano assistenzialismo clientelismo sudditanza…Non modificano i rapporti sociali che frenano lo sviluppo locale dal momento che spesso i progetti vengono calati da “esperti” che non si sono mai sporcate le mani con lavoro manuale, e che quindi soffrono di una autoreferenzialità presuntuosa e “colonizzatrice”. Potrei proseguire su questo tono….cordiali saluti

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