Questo è un Mondiale che non dimenticherò facilmente. Spero anzi rimanga per me unico, avendo passato quasi l’intera fase dei gironi eliminatori in ospedale. Non tutto il male viene per nuocere. Almeno mi sono perso il dopopartita di Italia-Uruguay e tutte le inutili chiacchiere su Balotelli. In compenso ho visto un’Italia che non ha alcun interesse per i Mondiali, perché ha problemi di salute molto pressanti, o che potrebbe anche essere interessata, ma non può guardarli perché è di guardia a terminali che monitorano pazienti che hanno bisogno di assistenza immediata. Antonio fa l’infermiere, ha passato i 60 anni e odia i calciatori, ricchi privilegiati, e le varie riforme del mercato del lavoro, a cui attribuisce la colpa del fatto che la figlia ha solo contratti a progetto, viene pagata pochissimo e non può nemmeno avere un permesso per stare a casa quando il figlio sta male. Orazio ha appena compiuto 60 anni.
È un esodato e la parola “Fornero” gli richiama automaticamente il dialetto siciliano con espressioni che non afferro del tutto ma il cui significato credo di intuire. Mi chiede: “È giusto che alla mia età debba vivere chiedendo un aiuto economico a mia madre che ha 83 anni?”. Il fumo gli fa male, ma non smetterà perché almeno così riesce a passare il tempo. Tullio è calabrese. Non vuole fare l’intervento in Calabria perché dice che della sanità calabrese non si fida. “I soldi ci sono” – mi dice – “ma sono spesi in appalti inutili e non per servizi a favore dei pazienti”. Cristoforo viene dalla Liguria. Gli ospedali della sua zona hanno poche risorse e tempi di attesa troppo lunghi per le sue esigenze. A lui il calcio piaceva, mi dice, ma ha perso interesse da quando c’è una partita ogni giorno. Balotelli e Cassano, in particolare, non sono tra i suoi idoli. Riccardo ha 27 anni ed è al terzo anno di specializzazione. Non sa quasi nulla di calcio. Venerdì è entrato alle 7.30 del mattino in ospedale, ma la sera alle 10, quando mi vede smarrito e preoccupato, si ferma lo stesso mezzora a parlare con me. Alla fine mi dice: “Sono fortunato perché faccio il mestiere più bello del mondo”. Valentina ha 23 anni ed è al terzo anno di corso per diventare infermiera. Fa pratica e lavora essenzialmente gratis, ma per lei non è un sacrificio inaccettabile. Le chiedo se non teme i turni di notte e festivi. Mi risponde che non vede l’ora di farli perché vorrebbe dire che è stata assunta. Papa (così lo chiamano tutti) avrà 30 anni e viene dal Senegal. Fa il tifo per tutte le squadre africane al Mondiale ed è sempre allegro. L’infermiere Michele fischietta ossessivamente lo stacchetto dei Mondiali in sala operatoria mentre mi prepara, fino a lasciarlo in testa anche a me. Finito l’intervento, quando siamo rimasti soli, mi rivela che ha il mio stesso problema e mi dà alcuni suggerimenti su cosa fare nelle prossime settimane. Storie che rivelano due facce dell’Italia, una stanca, depressa e che si sente abbandonata e una che ha ancora energia, voglia di fare ed è pronta a moltiplicare gli sforzi per supplire a risorse e opportunità sempre più ridotte. Dare speranza a queste due Italie colpite dalla crisi è un imperativo categorico per tutti noi.
Quando finalmente esco dall’ospedale incontro Papa e gli dico: “Vedrai che stasera l’Algeria passa. La Russia è una squadraccia”. Di calcio ne capisco ancora. È già qualcosa.

P.S. Le storie sono tutte vere, ma i nomi sono di fantasia.

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