L’andamento economico dell’area euro continua a deludere. La possibilità di una recessione tecnica nel 2003 si assesta al 40%, con una crescita del GDP stimata al 0.5% per il 2003 e del 1.5% nel 2004. La ripresa economica sarà molto più graduale rispetto a quella conosciuta negli anni Novanta,essendo guidata soprattutto dalla domanda interna, mentre il livello degli investimenti e l’accumulazione di capitale restano contenuti. Segnali positivi giungono dalle previsioni dell’inflazione, che evidenziano una possibilità molto bassa di deflazione.

L’introduzione della moneta unica ha creato una nuova entità geografica, l’area euro ovvero l’insieme dei paesi che hanno adottato l’euro, il cui andamento economico complessivo è rilevante per le decisioni sia di organismi sopranazionali come la Commissione Europea o la Banca Centrale Europea, sia per imprese e società private che operano in ambito europeo, sia per i cittadini degli stati membri che devono imparare a convivere in questa realtà più ampia. La Commissione Europea ha quindi lanciato nel 2001 lo European Forecasting Network (EFN), un gruppo di ricerca composto da diverse Università e centri studi europei e coordinato dall’IGIER-Bocconi, che si occupa di fornire un’analisi critica della situazione congiunturale nell’area dell’euro, formulare previsioni sull’andamento delle principali variabili macroeconomiche, offrire suggerimenti di politica economica ed analizzare in dettaglio una serie di argomenti di particolare rilevanza per il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria.

Dal rapporto EFN per l’autunno 2003, pubblicato oggi e disponibile sul sito www.efn.uni-bocconi.it, emergono alcuni aspetti che mi sembra importante sottolineare. Le stime macroeconomiche per la crescita dell’area euro nei prossimi due anni vengono nuovamente riviste al ribasso. La ripresa attesa per il 2003, infatti, non si è materializzata. Il Pil dell’area euro crescerà solo dello 0,5% nel 2003 e solo dell’1,5% nel 2004, con una probabilità di recessione stimata nel 2003 pari al 40%. La debole ripresa è stata infatti influenzata da una serie di shock negativi quali l’aumento del prezzo del greggio, le continue incertezze geopolitiche e l’apprezzamento dell’euro. Una conseguenza importante è che il tasso di disoccupazione supererà il 9% nel 2004.

Tra le cause della leggera ripresa in Europa nel 2004 c’è una sostanziale stabilità attesa sul fronte dei cambi, combinata con una ripresa generalizzata che dovrebbe portare il commercio mondiale a crescere del 4% nel 2003 e del 7.5% nel 2004. L’impatto dell’apprezzamento dell’euro si attenuerà così nel tempo e la crescita della domanda esterna stimolerà le esportazioni, che sono previste in calo dello 0.5% nel 2003 con una ripresa del +0.4% nel 2004. Nel periodo 2003-2004 sarà però la domanda interna la forza motrice della ripresa – anche se rimarrà sottotono, paragonata a quella di altre riprese precedenti e alla domanda interna negli USA. In particolare, la debolezza degli investimenti privati rimane critica.

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Complessivamente, la crescita prevista per quest’anno e per il prossimo per l’area euro è meno della metà di quella degli USA. Ci si domanda quindi se la politica economica possa colmare il gap. Per quanto riguarda la politica monetaria, i tassi d’interesse sono già molto bassi e forniscono quindi una buona base per la ripresa, ma è anche improbabile che saranno modificati sostanzialmente. Per quanto riguarda la politica fiscale, essa dovrebbe sostenere la domanda interna restaurando la fiducia dei consumatori e degli investitori, ma gli attuali livelli di deficit lasciano poco spazio di manovra in tutte le maggiori economie. L’Europa si affiderà quindi ancora una volta soprattutto ad eventi esterni poco controllabili ed in particolare al ruolo di traino degli Stati Uniti.

La ricetta per una crescita autonoma dell’area euro continua ad essere la stessa proposta in passato da EFN (ed altri): puntare a riforme strutturali quali quella del welfare e del mercato del lavoro, come in effetti intrapreso in molte delle maggiori economie europee ma con ancora insufficiente incisività; aumentare l’efficienza delle amministrazioni pubbliche riducendone l’invasività; portare maggiore concorrenza nei mercati, con particolare riguardo a quello dei servizi; incentivare l’investimento in innovazione, ricerca, sviluppo e formazione; migliorare la dotazione infrastrutturale delle aree meno dotate e curare la manutenzione delle infrastrutture esistenti, in base ad accurate analisi costi/benefici dei singoli investimenti e con l’intervento finanziario dei privati. Sfortunatamente, interventi di questo tipo sono di complessa realizzabilità da un punto di vista politico in quanto o colpiscono gruppi di potere molto forti, o avvantaggiano nel breve periodo solo determinate categorie di lavoratori o imprese, o associano a costi immediati rilevanti dei benefici magari ancor più rilevanti ma disponibili solo dopo qualche anno.

Tra le note positive indicate nel Rapporto EFN c’è la situazione attesa per l’inflazione. Il Rapporto giudica infatti improbabile l’arrivo della deflazione in Europa e prevede che l’inflazione scenderà sotto il 2% nel 2004, grazie al rallentamento dei costi del lavoro e all’apprezzamento dell’euro. Ci saranno però sostanziali divergenze fra i vari paesi (0.9% in Germania e 4% in Irlanda nel 2004), addirittura in aumento dopo l’introduzione dell’euro, che si traducono in differenti tassi di interesse reale e quindi in diverse opportunità di investimento tra paesi. Ciò potrebbe portare a tensioni politiche nel lungo periodo e a pressioni sulla condotta della politica monetaria della Banca Centrale Europea.

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Un’altra nota positiva sottolineata dal Report è che i 10 futuri membri UE hanno ottenuto una buona performance economica e l’outlook per quella area è molto più ottimista. I consumi privati e la spesa pubblica hanno infatti controbilanciato la debole crescita delle esportazioni e anche l’inflazione è scesa notevolmente negli ultimi 18 mesi. Sfortunatamente, come dimostrato nei Rapporti EFN precedenti, la buona performance di questi paesi ha scarso impatto sull’area euro a causa della limitata dimensione delle loro economie.

Il sesto allargamento dell’Unione, ormai prossimo, solleva anche importanti questioni sulle politiche regionali che la Commissione Europea dovrebbe seguire per favorire un più rapido sviluppo dei nuovi paesi membri. Il Rapporto propone una forte riduzione del reddito medio del paese ammesso ad usufruire dei fondi regionali per portarlo al 50% della media UE, e una più accurata e selettiva scelta degli obiettivi da perseguire che dovrebbero includere solo la fornitura di infrastrutture di base e incentivi per la ristrutturazione industriale nonché la conversione del settore agricolo, modificando radicalmente anche la politica agricola comune attuale.

Infine, è degno di attenzione lo studio delle problematiche legate all’adozione dell’euro da parte dei nuovi stati membri, una delle probabili priorità politiche per questi paesi una volta entrati nell’Unione Europea. L’analisi dei cicli economici indica che tali stati hanno poca sincronia con l’area Euro e molta eterogeneità nel tipo e dimensione degli shock economici che li colpiscono. Quindi, il loro sviluppo economico non sarebbe, per ora, facilitato dall’ingresso nell’unione monetaria.

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