Molte polemiche sulla proposta di diritto di voto agli immigrati. Sarebbe meglio invece rivedere le norme che regolano l’acquisizione della cittadinanza, particolarmente arretrate in Italia, soprattutto per i minori perché basate sull’anacronistico criterio del legame di sangue. E optare decisamente per lo jus soli, ovvero per definire cittadino italiano chiunque nasca nel nostro paese da genitori legalmente residenti. La proposta Fini di dare il diritto di voto agli stranieri ha scatenato enormi polemiche. In realtà si tratta di una concessione limitata perché si applicherebbe solo al voto amministrativo (vedi Perasso 20-08-2003, Bertocchi 26-08-2003) e solo a chi ha vissuto in Italia per almeno sei anni. Jus soli e jus sanguinis Esistono due sistemi tradizionali di trasmissione della cittadinanza alla nascita: lo jus soli e lo jus sanguinis. Secondo lo jus soli, il criterio è il luogo di nascita. Chi nasce sul territorio nazionale è cittadino. Negli Stati Uniti, come in molte nazioni del Nuovo Mondo, vige una forma di jus soli quasi pura. Chi nasce sul suolo americano è americano in ogni caso. Lo jus sanguinis è, invece un sistema che utilizza come criterio la pura e semplice appartenenza genealogica. È cittadino di un certo paese chi discende da cittadini di quel paese. Il figlio di stranieri non ha alcun diritto politico anche se è nato e cresciuto nel paese, lavora nel paese e parla la lingua del paese. In un paese ad alta immigrazione ha inevitabili implicazioni xenofobe o addirittura razziste. L’Italia ha un sistema di jus sanguinis quasi puro, certamente il più restrittivo tra le grandi nazioni europee. La normativa principale è contenuta in una
Il problema fondamentale, la vera anomalia italiana in ambito europeo, è l’acquisizione della cittadinanza, che porta con sé il voto amministrativo e quello politico, ma ha anche una grande valenza emotiva e culturale. In particolare, la nostra normativa sui minori di origine extracomunitaria è straordinariamente arretrata. (1)
In Germania è cittadino alla nascita se almeno uno dei due genitori risiede nel paese da più di otto anni. In Francia acquista la cittadinanza automaticamente a 18 anni, ma può richiederla a partire dai 13. In Gran Bretagna è cittadino alla nascita se almeno uno dei due genitori è “settled” (il che di solito avviene dopo quattro anni di residenza). In Italia non è cittadino.
Stranieri in Italia
Il figlio di stranieri nato in Italia deve attendere il diciottesimo compleanno, dopodiché ha la facoltà di fare domanda per acquisire la cittadinanza. Ha un anno di tempo per farlo, perde il diritto se non lo esercita entro il diciannovesimo compleanno. Inoltre deve avere risieduto in Italia senza interruzioni. Se va all’estero per un paio di anni perde il diritto.
Curiosamente, la legge sulla cittadinanza del 1992 è in un certo senso più restrittiva della precedente normativa regia del 1912, in cui esisteva un elemento di jus soli: dopo dieci anni di residenza in Italia, il minore straniero nato in Italia diveniva automaticamente cittadino.
Nel 2000 in Italia vivevano 277mila minori stranieri. Si tratta di un numero in fortissima crescita. In gran parte questi bambini e adolescenti parlano italiano, frequentano scuole italiane, sono destinati a rimanere nel nostro paese per il resto della loro vita e probabilmente hanno una squadra del cuore italiana. Insomma, sono in tutto e per tutto uguali ai loro coetanei di nazionalità italiana tranne che non sono cittadini. A questi membri della nostra società lo Stato manda un messaggio che suona razzista: “Non siete italiani perché non avete sangue italiano”.
È difficile valutare le conseguenze di questa norma perché l’Italia è un paese di immigrazione recente. Si possono tuttavia trarre utili lezioni dall’esperienza tedesca. Fino alla riforma del 2000, la Germania aveva un sistema di jus sanguinis simile a quello italiano. Dopo decenni di immigrazione vivono in Germania più di sette milioni di stranieri e nascono ogni anno circa 100mila bambini “stranieri”. Si tratta di una ferita profonda in seno alla società tedesca, che da un lato alimenta fenomeni anche violenti di razzismo e dall’altro giustifica forme di rigetto e alienazione da parte degli immigrati. Il governo Schroeder ha avuto il coraggio di facilitare l’acquisizione della cittadinanza, ma occorreranno decenni prima che la ferita si rimargini. In Italia il fenomeno migratorio è recente e siamo in tempo per evitare l’errore tedesco. Occorre però agire presto perché il numero di minori stranieri cresce di circa il 20 per cento all’anno.
Un miglioramento piccolo piccolo
Alla Camera giace una proposta di legge (numero 1463 del 2001, presentata da Livia Turco, Luciano Violante e Elena Montecchi) che oltre a contenere, amplificati, tutti gli ingredienti della proposta Fini, reintrodurrebbe anche un elemento di jus soli. Lo straniero nato in Italia da cittadini stranieri residenti nel paese da almeno sette anni potrebbe fare domanda di cittadinanza a partire dal quinto compleanno. Certo è meglio della situazione presente, però sarebbe solo un piccolo passo.
Perché non avere il coraggio di accettare il principio dello jus soli? Diamo la cittadinanza a chiunque nasca in Italia da genitori legalmente residenti.
Naturalmente, come fanno altre nazioni di jus soli, continueremmo a garantire la cittadinanza jure sanguinis ai figli di italiani nati all’estero.
L’introduzione dello jus soli sarebbe una buona idea sul piano pratico. Se, come probabile, queste persone rimangono in Italia, è meglio dare loro la cittadinanza prima, anziché dopo.
E sarebbe un’idea giusta sul piano dei principi: vogliamo una società fondata sull’inclusione e la condivisione, non su un anacronistico “legame di sangue” che poteva andare bene per un paese di emigrati.
Per saperne di più
Per una stimolante discussione assiomatica delle norme che regolano l’appartenenza a un gruppo, si veda Asa Kasher e Ariel Rubinstein, “Who Is a J? A Social Choice Approach
Graziella Bertocchi e Chiara Strozzi, in
“Citizenship Laws, Migration, and the Welfare State in Historical Perspective”, studiano l’evoluzione storica delle leggi per la cittadinanza in risposta ai flussi migratori.Per un’analisi comparativa della legislazione a livello internazionale si veda Patrick Weil, “Access to Citizenship: A Comparison of Twenty-Five Nationality Laws”, in
T. Alexander Aleinikoff e Douglas Klusmeyer (ed.), “Citizenship Today : Global Perspectives and Practices”, Washington, Carnegie Endowment for International Peace, DC., 2001.
(1) Anche la normativa che riguarda la naturalizzazione è arretrata. Un extracomunitario che voglia diventare italiano deve risiedere in Italia per dieci anni, mentre in Germania bastano otto anni e in Francia e Regno Unito ne bastano cinque.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Marco Bandini
Mi sembra semplicistico ricondurre tutti i problemi legati all’immigrazione al concedere o no la cittadinanza secondo i due modelli. Il problema di fondo é come vogliamo intendere la cittadinanza data agli extracomunitari (o forse sarebbe meglio dire “extraoccidentali”) e in che tipo di società. Deve servire ad aumentare il livello di senso civico e di appartenenza a dei Valori condivisi o é solo un modo di risolvere problemi finanziari legati alla demografia? Deve inserirsi in una società Multietnica e Multiculturale o, come ha spiegato Sartori in un saggio recente, soltanto Multietnica e saldamente Monoculturale. Quanto a considerazioni etiche su un argomento del genere, dovremmo essere meno ipocriti: la soluzione Giusta, con la G maiuscola, sarebbe di “dar da bere agli assetati e dar da mangiare agli affamati” e dare la cittadinanza e i diritti che conseguono a tutti coloro che ce la chiedono. Accettiamone pero’ le conseguenze: una comunità ne sostituirebbe un’altra.
fabiola rachele consorte
In risposta al commento precedente nell’ambito di questo argomento, alla questione "che tipo di società " dare agli extraoccidentali, io penso che la condivisione e la convivenza debbano essere considerate, pur nelle inevitabili problematicità, delle risorse, degli scambi, degli arricchimenti e questa società è già cominciata, è già possibile, è nelle menti delle nuove generazioni che in futuro avranno curiosità più del passato e della riscoperta dei valori fondanti, poichè saranno già naturalmente abituati alla convivenza e allo scambio. L’Italia è costituzionalmente fondata sul lavoro, questo è, a mio avviso, punto di partenza per chi desidera essere parte attiva, e non marginale, della realtà sociale, nello scambio lecito del dare-avere cheè appunto il lavoro, quindi condivisione anche degli oneri. Questa è la mia opinione.
LA CITTADINANZA DEI BAMBINI
Sono ecuadoregna da 8 anni vivo en italia, ho lavorato sempre come bandante o colf che no mi ha permesso de studiare la vostra lingua solo per questo motivo perche il dessiderio sempre stato. A gennaio è nato Adam mio figlio, non capisco perché la politica di questo paese nn permette di dare la cittadinanza a mio figlio che giuustamente crescerà qua, perche noi abbiamo solo doveri doveri doveri, però quando si tratta di un diritto non ce ne danno. Mi dispiace tanto che continui questa forma di razzismo non dal popolo, ma da un gruppo politico che prima dovrebberoo pepararsi intelettualmente e prendere qualche informazione per presentarsi di fornte alla gente, sopratutto quando vanno in tv fanno vergogna vedere quanto razzismo e odio hanno per noi. Comunque sì noi rispettiamo le legge, paghiamo le tasse, mi voglio sentire parte di questo paese ma" la politica non me lo permette", ma grazie a la formazione etica, morale, intelettuale che ho posso capire e darmi una espiegazione anche si no e giusta. Spero che a Adam le venga dato questo diritto di avere la cittadinanza italiana e un diritto dei bambini e un domani fieri di essere italiani.
klovis
Sto in Italia dal 92 e ho 30 anni, tra pochi mesi nascerà mia figlia, (da premettere che io per motivi burocratici non sono ancora cittadino italiano) la quale crescerà qui, andrà all’asilo, a scuola, conoscerà la cultura di questo paese, saprà i diritti e i doveri di questo paese (ma avrà molti doveri e pochi diritti). Come si può capire io sto qui da 18 anni e ancora non ho la cittadinanza italiana, mia figlia che conoscerà più la cultura, le tradizioni e la lingua di questo paese che quelle di sua madre o suo padre dovrà aspettare altri 18 anni per diventare cittadina italiana (se lo vorrà)…beh, io penso che c’è solo da vergognarsi!