Attraverso il risparmio postale, è stata uno sportello di raccolta fondi da distribuire all’interno del settore pubblico. Per norme che ne regolano l’attività e situazione patrimoniale è stata uno strumento della politica economica e finanziaria dello Stato. Ora la Cassa Depositi e Prestiti viene trasformata in una società per azioni, dall’architettura problematica. Sarà difficile mantenere il rapporto privilegiato con il ministero e garantire a Regioni e enti locali credito a tassi inferiori a quelli di mercato. Né è chiaro il suo ruolo nel finanziamento delle infrastrutture.

La Cassa Depositi e Prestiti appare ancora oggi quel che è stata per centocinquanta anni: uno sportello di raccolta di fondi, alternativo ai titoli di Stato, da distribuire all’interno del settore pubblico. Un ruolo che giustifica la natura di “Agenzia del Tesoro” che la Cassa ha finora avuto.

La Cassa com’è

La raccolta avviene attraverso le Poste: il risparmio postale, la cui consistenza a fine 2002 era pari a 187,3 miliardi di euro, è formato di depositi a vista e di titoli a lungo termine (buoni postali) fino a venti e trenta anni.
Dal lato degli impieghi, la Cassa finanzia il Tesoro e le altre amministrazioni pubbliche (soprattutto Regioni ed enti locali). I conti correnti della Cassa in Tesoreria, la cui consistenza a fine 2002 era di 160 miliardi, rappresentano il veicolo attraverso il quale il risparmio postale è andato a finanziare lo Stato centrale.
Il finanziamento delle altre amministrazioni pubbliche avviene attraverso l’erogazione di mutui, la cui durata attualmente va dai dieci ai venti anni (ma in passato vi sono state scadenze anche più lunghe, cosicché sono ancora in gestione mutui concessi negli anni Settanta).
Poiché la Cassa opera sul lungo termine, ogni bilancio è influenzato nelle sue dimensioni, nel suo equilibrio e nella sua redditività assai più dallo stock di debiti e di crediti ereditati dal passato, che non dagli effetti della gestione dell’anno. Sullo stock giocano, dal lato dell’attivo, i piani di rimborso, le estinzioni anticipate dei mutui, e i nuovi mutui concessi nell’anno. Dal lato del passivo, ugualmente, i rimborsi (a scadenza o anticipati) e la nuova raccolta.
Se si guarda all’ultimo quinquennio, si può osservare una crescita del credito verso il Tesoro di quasi il 70 per cento, mentre i crediti verso la clientela (i mutui in essere) crescono meno del 7 per cento. La limitata dinamica dei crediti verso la clientela riflette due diversi fenomeni: le politiche limitative dei disavanzi pubblici e la concorrenza dal lato dell’offerta di finanziamenti. La quota di mercato della Cassa nel finanziamento degli investimenti pubblici è comunque ancora superiore al 70 per cento.
Dal lato del passivo, negli ultimi cinque anni, il risparmio postale cresce del 38 per cento. Sembrerebbe una capacità di raccolta significativa, tanto più che avviene senza innovare negli strumenti (che restano libretti di deposito e buoni postali, sempre con le stesse caratteristiche). In realtà, si deve tenere conto del fatto che i libretti e, soprattutto, i buoni sono attività finanziarie che aggiungono, automaticamente, gli interessi al capitale investito. I libretti, perché sono depositi. I buoni, perché sono “zero coupon”, cioè pagano gli interessi contestualmente al rimborso del capitale. Avviene allora che anno dopo anno gli interessi “dovuti” si aggiungono al capitale inizialmente raccolto e “spiegano” in gran parte il valore crescente del debito verso i risparmiatori postali nel bilancio della Cassa.

 

La situazione patrimoniale e reddituale della Cassa e le norme che ne regolano l’attività sono coerenti con l’idea di una istituzione che è uno strumento della politica economica e finanziaria dello Stato centrale.
Attraverso la Cassa sono passate politiche di ripartizione di risorse tra Stato centrale, Regioni, enti locali, altri enti. Sono passate politiche di sostegno agli investimenti pubblici e ai servizi pubblici. Sono passate politiche del debito pubblico, e politiche di rappresentazione dei conti pubblici. In pratica, politiche “fiscali”, non politiche creditizie.

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La riforma del 1999

L’ultimo intervento di riforma della Cassa (che risale al 1999) ne ha confermato la natura di pubblica amministrazione, collocata entro il sistema Tesoro.
Il credito della Cassa continua perciò a essere regolato da una normativa speciale, non da clausole contrattuali di diritto privato; pubblicità e trasparenza sono garantite con le regole dei procedimenti amministrativi. Il credito è concesso a condizioni predeterminate uguali per tutti, senza discriminazioni basate sul merito di credito. Le istruttorie riguardano solo i requisiti richiesti dalla legge. Non è posto un obiettivo di massimizzazione del profitto, ma solo un vincolo di autonomia patrimoniale. Il regime fiscale è una conseguenza della natura giuridica della Cassa: non è assoggettata a imposte sul reddito per le società, né all’imposta di registro, e non è soggetto Iva..

Sulla base della riforma del 1999, è stato possibile mantenere tutto il regime di esenzioni che le norme comunitarie assicuravano alla Cassa. In particolare, l’esclusione dal campo di applicazione delle direttive comunitarie riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio, l’esclusione dalla nozione di istituzione finanziaria, la compatibilità dell’ordinamento e delle attività della Cassa con i principi di concorrenza e i divieti in materia di aiuti di Stato e di finanziamento agevolato delle amministrazioni pubbliche, la non assoggettabilità dei servizi finanziari della Cassa ai principi della trasparenza nel mercato.
Queste esenzioni non sono tanto legate alla natura giuridica, quanto alle finalità pubbliche connesse alle sue funzioni; potrebbero perciò non essere toccate dalla trasformazione. Potrà essere importante tener conto del fatto che nel credito agli investimenti pubblici, in tutta Europa è sempre dominante la presenza di istituzioni in vario modo pubbliche.

Il punti critici del nuovo progetto

L’architettura del nuovo progetto (art. 5 del D.L. 30/09/2003, n. 269) è piuttosto insolita. All’interno di una Cassa Spa c’è una gestione speciale, detta “separata”, che sembra corrispondere alla Cassa oggi esistente, e una gestione invece “ordinaria”, le cui dimensioni e il cui progetto appaiono ancora solo abbozzati. La distinzione tra le due gestioni riguarda sia i soggetti e gli oggetti finanziabili, sia le forme di raccolta, distinte a seconda che abbiano o meno la garanzia dello Stato.
Gli obiettivi dell’operazione non appaiono chiarissimi. Particolare “curiosità” desta l’apertura nel capitale della Spa a soggetti privati. Garantire gli interessi di azionisti di minoranza in un contesto in cui il grosso dell’attività (la gestione “speciale”) è guidato da direttive del ministro dell’Economia, è un esercizio che può dare molti elementi di sostegno all’attività degli studi legali.
La nuova architettura appare problematica per vari aspetti.

Il rapporto tra Cassa e ministero dell’Economia. È difficile immaginare che una Spa di diritto privato mantenga quel rapporto stretto e privilegiato col Tesoro che ne ha caratterizzato la vita per centocinquanta anni. In particolare, appaiono difficilmente sostenibili situazioni in cui l’equilibrio economico dipende dal tasso di remunerazione delle risorse liquide in tesoreria.
Sembra altrettanto difficile, però, tagliare del tutto il cordone ombelicale. Primo, perché è assai probabile che la raccolta aggiuntiva di risparmio postale possa eccedere la domanda proveniente dalle necessità di finanziamento degli investimenti degli enti periferici, e sarebbe stupido per lo Stato rinunciare a una forma conveniente di debito pubblico. Secondo, perché in tal caso non si capirebbe bene quale sia la logica del potere d’indirizzo che il progetto di riforma mantiene in mano al ministro dell’Economia. Una prospettiva meno radicale è che si proceda a un ridimensionamento quantitativo dei legami finanziari tra ministero dell’Economia e Cassa, mantenendo però, per il futuro, più o meno intatto il ruolo della Cassa come importante attore nella politica di tesoreria (un’operazione di questo tipo è implicita nella disposizione che prevede che “funzioni, attività e passività” possano essere trasferite al ministero dell’Economia).

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La capacità della nuova Cassa di assicurare a Regioni ed enti locali gli stessi vantaggi del sistema attuale.
La possibilità di concedere credito a Regioni ed enti locali a tassi inferiori a quelli di mercato, come è avvenuto finora, dipenderà d’ora in poi dalla capacità di raccogliere risorse a prezzi convenienti.
Per il risparmio postale, questo poggia tutta su due garanzie: il rimborso del debito, che continuerà a essere assicurato dallo Stato, e la liquidabilità a vista, che si basa sulla capacità della Cassa di procurarsi al momento, sul mercato, le risorse necessarie.
Il rischio che gli enti si trovino a pagare di più il credito della Cdp nasce anche dal fatto che si altera in modo significativo il rapporto della Cassa con lo Stato centrale: alcuni elementi di trasferimento implicito, possibili in un equilibrio di gestione tanto complesso, e di lungo periodo, da risultare un vincolo sostanzialmente debole, vengono necessariamente meno. Con vantaggi, forse, di trasparenza, ma con sicuri inconvenienti in termini di efficienza ed efficacia.
Inoltre, contro la possibilità di mantenere un mark-up contenuto sui costi di raccolta, agisce il fatto di divenire soggetto fiscale, con imposte sul reddito di impresa probabilmente assai rilevanti, e la difficoltà di contenere i costi, anche per il passaggio a modelli contrattuali più complessi (con istruttorie perciò meno semplificate).

Il ruolo del nuovo operatore nel finanziamento delle infrastrutture. La gestione ordinaria dovrebbe riguardare una tipologia di credito che è definita più per oggetti che per soggetti (opere, impianti, reti e dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici e alle bonifiche). La dizione sembra tener conto della distinzione che si va affermando tra società proprietarie degli impianti e società di gestione dei servizi che usano questi impianti. Ma certamente il punto è che si tratta di soggetti esterni alla pubblica amministrazione. Il processo di riorganizzazione e privatizzazione, in atto o in avvio, esclude la Cassa tradizionale da questo mercato. Ma è anche un settore che presenta una domanda di finanziamenti di natura complessa, con proprie regole ed esigenze di garanzia.
Il sistema bancario non sembra del tutto pronto a dare le risposte giuste. Vi sarebbe, insomma, dietro il progetto un’idea di esistenza di un “fallimento del mercato” che giustificherebbe la presenza di un operatore pubblico. È un giudizio che meriterebbe un maggiore approfondimento.

Per la Cassa, il punto è che, a differenza del suo modus operandi tradizionale, qui vi sono importanti e necessari spazi di discrezionalità; vi sono complesse procedure di valutazione del merito di credito; vi possono essere complementarietà col sistema bancario da precisare. È comunque un mestiere nuovo.

 

Per saperne di più:

M. T. Salvemini: Elementi per una valutazione della trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in S.p.A. (art. 5 D.L. 30/09/2003, n. 269). I dati di partenza e i problemi.

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