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Se l’onestà non paga

Il mondo della finanza si basa sulla fiducia e si presta quindi ad abusi difficilmente identificabili da qualsiasi controllo esterno, se perpetrati con la connivenza dei dipendenti chiave. Fedeli alla dirigenza dell’impresa non solo per un malinteso senso di lealtà, ma anche perché “parlare” significa compromettere la carriera futura. La soluzione è premiare chi denuncia episodi di criminalità economica, con un compenso proporzionato all’entità della frode.

Il crac della Parmalat ha lasciato tutti sbigottiti. Non solo per l’entità, ma per il tipo di impresa coinvolta. Di fronte agli scandali Enron e WorldCom era fin troppo facile scaricare la colpa sulle stock options, l’avidità dei manager americani, la complessità delle operazioni finanziarie su cui queste società vivevano. Ma come è potuto accadere nella nostra Parma, simbolo della laboriosità e dell’efficienza padana, a un industriale come Calisto Tanzi, famoso per il suo attaccamento ai fondamentali valori cattolici? Come è potuta, questa mega truffa finanziaria, continuare per quindici anni, come sembra trasparire dalle prime indagini?

Un fenomeno globale

Spiegazioni contingenti sono inadeguate. Questo è un fenomeno globale, che non ha colpito solo l’America e l’Italia, ma anche l’Olanda (con Ahold) e, in passato, l’Inghilterra (con Maxwell). La moralità degli operatori non basta più.
Bernard Ebbers, l’amministratore delegato di WorldCom, è un buon cristiano, adorato dai suoi concittadini, ai cui bambini insegnava religione tutte le domeniche. Ma questo non gli ha impedito di alterare i bilanci. Occorrono quindi nuove regole, ma quali?

Prima ancora di conoscere le cause del crac Parmalat, il presidente della Consob, Lamberto Cardia, si è affrettato a chiedere più poteri per la Consob, mentre il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha colto l’occasione per spingere il suo disegno di un’unica autorità per il risparmio.
Entrambe sono iniziative meritevoli, ma dubito che possano eliminare questi scandali. In America, la Sec ha molti più poteri della Consob, ma non è riuscita a prevenire scandali ancora peggiori.

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Neppure le riforme di corporate governance, introdotte negli Stati Uniti dopo i casi Enron e WorldCom, sembrano essere molto efficaci.
Prima del crollo, Enron seguiva tutte le migliori pratiche di corporate governance. Aveva nel suo consiglio di amministrazione personaggi indipendenti, stimati, e molto qualificati, a cominciare dall’ex rettore della Stanford Business School, luminare in contabilità. Se la frode gli è passata sotto il naso, come possiamo sperare che altri siano in grado di identificarle?

La verità è che il mondo della finanza si basa sulla fiducia e quindi si presta ad abusi da parte di chi, per disperazione o mancanza di scrupoli, è disposto a falsificare documenti, mentire, ingannare.
Qualsiasi controllo esterno fa fatica a individuare un problema, quando esiste la connivenza dei dipendenti chiave. Per eliminare questi scandali, quindi, è necessario spezzare il muro di omertà interna. Ma come?
Perché i dipendenti Parmalat non hanno parlato prima?

Premiare l’onestà

Non è solo un malinteso senso di lealtà. Il vero problema è che l’onestà non paga abbastanza.
A fronte degli enormi danni sociali causati da queste frodi, non esiste un adeguato compenso per le persone che contribuiscono a portarle alla luce. Non solo chi fa la soffiata spesso si attira (ingiustamente) l’odio delle vittime, ma in aggiunta vede la propria carriera compromessa. Chi vuole assumere uno “spione”? Considerate il caso del direttore degli uffici informatici Parmalat, Ugo Bianchi, che si è semplicemente rifiutato di distruggere gli archivi elettronici, come gli era stato ordinato. Ha compiuto un atto socialmente encomiabile, ma non riceverà mai una ricompensa (al di là dell’elogio sul Corriere della Sera). Anzi. Questo suo gesto lo renderà meno appetibile per futuri datori di lavoro, che preferiranno un dipendente leale a uno onesto. Lo stesso vale per i dipendenti Enron e WorldCom che hanno messo in luce gli scandali. Molti elogi sui giornali (perfino la copertina di Time), ma molte difficoltà sul lavoro.

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Se il problema è che l’onestà non paga abbastanza, la soluzione è di aumentarne il rendimento per legge. Basta stabilire una ricompensa per chiunque permetta di far emergere una frode finanziaria, con un compenso proporzionato alla sua entità. Pensate forse che la truffa di Parmalat sarebbe durata quindici anni se ci fosse stata una ricompensa, diciamo del 10 per cento della dimensione della truffa, per chi avesse fornito informazioni utili alla sua identificazione? Sono pronto a scommettere di no.

Abbiamo accettato di lasciare liberi assassini (come quelli di Walter Tobagi), pur di stroncare il fenomeno delle Brigate Rosse. Perché non spendere qualche euro per premiare gli onesti e stroncare la criminalità economica?

 

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Comparabilità delle statistiche sui conti pubblici

  1. Erdit Hoxha

    Professore Zingales,
    Come al solito le sue proposte sono pratiche, semplici e perfette dal punto di vista economico.
    Volevo solo aggiungere che il contributo degli “Onesti” può essere applicato anche ad altri ambiti di comportamento errato da parte delle società come è il caso dei Cartelli anticoncorrenziali oppure frodi a danno della Pubblica Amministrazione.

    Un ultima osservazione:In Italia inoltre si parla molto poco del “whistleblower”. Infatti anche trovare un termine preciso di traduzione in Italiano è difficile (Onesto è troppo generico, Spione è troppo peggiorativo) Sara colpa del mio Italiano non buono.

    • La redazione

      Ha perfettamente ragione su entrambi i punti. Ho battagliato non poco per trovare una traduzione di “whistleblower” che non fosse cosi’ infamante come “spione”. Il termine corretto e’ “fare una soffiata” (che ricorda l’inglese), ma che mi risulta
      non ha un sostantivo associato. Questo e’ indicativo di quanto piu’ forte sia la pressione sociale in Italia a non “tradire”

      Luigi

  2. Laura Airaghi

    Caro Professore,
    ho letto delle Sue difficolta’ a rendere in italiano questo termine; non e’ certo colpa del Suo italiano: anche la comunita’ dei traduttori professionisti si e’ scervellata sull’argomento.
    A tale proposito vorrei segnalarLe che su Langit, una lista di traduttori che lavorano da o verso l’italiano, questo problema e’ stato appena discusso e che il nostro Roberto Arcangeli ha, a mio avviso brillantemente, proposto il termine *denunciante civico*.

  3. GAIA

    Caro gigio, è difficile trovare altrimenti un’ altra strada per esprimerti un pensiero d’amicizia e di affetto dopo tanti anni! io e Beppo seguiamo di lontano con stima i tuoi successi! Un abbraccio
    GAIA
    gaiacanevari@virgilio.it

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