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Il codice delle centrali dei rischi

Nel 2005 entra in vigore il codice deontologico sulle centrali dei rischi voluto dal Garante della privacy. Potrà influire notevolmente sul mercato del credito. Perché una tutela molto rigorosa dei dati personali può impedire o rendere più oneroso l’accesso al credito, mentre una maggior disponibilità per le banche di informazioni tempestive, accurate e complete si traduce spesso in un vantaggio per la clientela, soprattutto se si tratta di piccole e medie imprese e di consumatori. E i tempi di conservazione dei dati non dovrebbero scendere sotto i tre anni.

Il Garante per la protezione dei dati personali, più spesso citato come Garante della privacy, ha promosso la sottoscrizione di un “codice deontologico sulle centrali rischi”. La sua entrata in vigore è prevista per gli inizi del 2005 e la bozza può essere scaricata dal sito web http://www.garanteprivacy.it. Il nuovo codice deontologico potrà influire notevolmente sul funzionamento del mercato del credito. Le “centrali rischi” private sono infatti banche dati nelle quali confluiscono informazioni relative a chi chiede un prestito personale, un mutuo, una carta di credito e alle quali accedono banche e società finanziarie per verificare l’affidabilità e la solvibilità della clientela prima di concedere un prestito.

Privacy e mercato del credito

Spesso si parla delle centrali dei rischi soltanto per evidenziare il conflitto, effettivo o potenziale, tra le loro funzioni e il diritto alla riservatezza sulle informazioni. In effetti, molte delle norme che le regolano tendono a limitare l’uso delle informazioni da loro detenute per proteggere la privacy del consumatore. Questa è ovviamente la preoccupazione che ispira il Garante. E il codice dà ai consumatori il diritto di conoscere ed eventualmente correggere le informazioni in possesso delle centrali. Stabilisce che i dati sui ritardi nei pagamenti possano essere resi disponibili solo dopo un periodo minimo che varia da sessanta a centoventi giorni a seconda dei casi, e che i dati provenienti da fonti pubbliche non possano essere aggiunti alle banche dati contenenti informazioni creditizie. Infine, il codice limita il tempo massimo per cui le informazioni potranno essere conservate nella “memoria” delle centrali dei rischi. In particolare, le informazioni negative su ritardi nei pagamenti non potranno essere conservate per più di un anno (per ritardi non superiori a due rate o mesi), e due anni per ritardi maggiori; quelle relative a inadempimenti non potranno essere mantenute per oltre tre anni dalla scadenza del rapporto di credito; le informazioni positive non potranno invece essere mantenute per più di due anni.
Nonostante la tutela della privacy sia un obiettivo socialmente importante, è utile ricordare che le centrali dei rischi hanno un impatto notevole sul funzionamento del mercato del credito, e che una tutela molto rigorosa della privacy può danneggiare per altra via i cittadini, impedendo loro l’accesso al credito o rendendolo più oneroso.
Poiché attenuano o risolvono i problemi generati dall’asimmetria informativa tra istituti di credito e clienti, le centrali dei rischi consentono alle banche di valutare meglio il livello di rischio della clientela. In vari lavori, si è mostrato che questa maggior disponibilità di informazioni per le banche si traduce spesso in un vantaggio per la clientela, almeno per quella in grado di ripagare il prestito: essa riceverà credito più abbondante e meno oneroso, poiché verrà più facilmente riconosciuta come meritevole di credito. (1) In termini tecnici, si riduce il problema della “selezione avversa”. Inoltre, l’espansione del credito è maggiore se lo scambio di informazioni interviene in un mercato creditizio che altrimenti sarebbe poco concorrenziale. Lo scambio infatti elimina o attenua le differenze tra le informazioni di cui ciascuna banca dispone e quindi tende ad accrescere il grado di concorrenza tra banche. Dunque, lo sviluppo delle centrali dei rischi, pubbliche e private, è uno strumento di politica antitrust nel mercato creditizio.

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Informazioni tempestive, complete e accurate

La presenza e l’attività delle centrali influenza anche il comportamento di chi accede ai fondi.
Se un debitore sa che l’insolvenza o la mora sono registrate in una banca dati a cui hanno accesso tutte le banche, è indotto a una maggior cautela, per evitare di essere etichettato come cliente rischioso. Ogni debitore comprende che in caso di insolvenza rischia di rovinare la propria reputazione con tutte le banche, non solo con quella da cui ha preso a prestito. In futuro, sarà più difficile ottenere prestiti anche dalle altre banche. Lo scambio di informazioni attenua quindi anche il cosiddetto “rischio morale”, o comportamento sleale, nel mercato del credito. Anche questo può risolversi in un beneficio per la collettività, perché la riduzione delle sofferenze bancarie tende a tradursi in una riduzione dei tassi di interesse per la generalità della clientela. (2)
Una ricerca internazionale coordinata dalla Banca Mondiale, documenta che l’efficacia delle centrali dipende anche da come è scambiata l’informazione e da quali dati sono conferiti alle centrali dei rischi. (3)
In particolare, la capacità di individuare i creditori insolventi e la precisione delle informazioni prodotte è maggiore quando lo scambio di dati riguarda anche la quantità di credito ottenuto e le garanzie prestate dal debitore (informazione positiva), e non solo le insolvenze (informazione negativa). Inoltre, sono le piccole e medie imprese e i consumatori, più spesso soggetti a rapporti esclusivi con gli istituti di credito, a trarre maggiore vantaggio dallo scambio di informazioni tra banche.
Per le stesse ragioni, è di fondamentale importanza che le informazioni in questione siano il più possibile accurate, tempestive e complete.
Le caratteristiche di accuratezza e tempestività non sono in conflitto con l’esigenza di dare accesso ai dati delle centrali dei rischi ai soggetti censiti, nella misura in cui tale accesso può consentire di correggere informazioni erronee o non più aggiornate. Per lo stesso motivo, tuttavia, è consigliabile che le informazioni relative alle insolvenze o ai ritardi nei pagamenti siano disponibili immediatamente. Ritardi nella segnalazione riducono l’efficacia delle centrali dei rischi senza ottenere alcun effetto positivo per i consumatori.
L’esigenza della completezza invece può creare attriti con la protezione della privacy, ma è nondimeno della massima importanza perché ciascun elemento informativo possa essere posto nella giusta luce nella valutazione complessiva del merito di rischio della clientela. Un’informazione incompleta può a volte danneggiare lo stesso soggetto a cui essa si riferisce, poiché può condurre le banche ad attribuire una gravità maggiore del dovuto a negligenze occasionali, come il ritardo di una sola rata di pagamento da parte di un debitore normalmente puntuale.
La solvibilità di un soggetto economico (che riflette la sua situazione patrimoniale complessiva) e le sue caratteristiche di onorabilità tendono a essere persistenti nel tempo, e creano dunque una forte persistenza anche nel comportamento dei debitori. Per tale motivo, la memoria delle centrali di rischio sui debitori è di fondamentale importanza per poter prevedere il comportamento futuro di ciascun debitore. Al tempo stesso, è giusto che la memoria del sistema non sia eccessiva, in quanto si vuole garantire che informazioni obsolete non ricevano un peso inappropriato da parte delle banche ed evitare che un’insolvenza porti a un’esclusione permanente dal mercato del credito. Occorre perciò trovare un giusto equilibrio tra queste due esigenze.
La tabella seguente evidenzia che nei principali paesi industrializzati i tempi di conservazione dei dati relativi a finanziamenti erogati e totalmente rimborsati variano da un minimo di tre anni (in Germania e Svezia) a un massimo di sei (in Gran Bretagna). Negli Stati Uniti non sono previsti limiti per la conservazione dei dati positivi. Scendere al di sotto della soglia dei tre anni nei tempi di conservazione dei dati costituirebbe una anomalia nel quadro internazionale dei paesi in cui è maggiormente sviluppato il credito al consumo, con possibile pregiudizio dei consumatori.

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(1) Per una rassegna, vedi Tullio Jappelli e Marco Pagano (2003), “Public Credit Information: A European Perspective,” in Credit Reporting Systems and the International Economy, a cura di Margaret Miller. Cambridge: Mit Press

(2) L’evidenza empirica conferma la presenza di effetti positivi dell’attività delle centrali dei rischi, private e pubbliche.In uno studio sulle centrali dei rischi di oltre quaranta paesi, abbiamo riscontrato che l’ampiezza del mercato del credito è maggiore laddove le centrali sono più attive. Altri economisti hanno dimostrato che le informazioni fornite dalle centrali aiutano le banche a migliorare le stime sull’affidabilità dei clienti. Vi è anche evidenza che esse riducano il grado di razionamento del credito cui sono soggette le imprese.

(3) Credit Reporting Systems and the International Economy, a cura di Margaret J. Miller, Mit Press, marzo 2003.


 

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  1. Roberto Marsicano

    Siamo tutti d’accordo che le CR sono un mezzo che favorisce il credito ma ho molti dubbi sul fatto che sia un bene che le CR siano gestite da privati, perché queste utilizzano i dati di CR non solo per le normali applicazioni di valutazione del cliente, ma ne fanno altri usi come: il micro marketing, il profiling ed il direct marketing e, per queste attività, mischiano dati di CR che vengono dai loro clienti, dati da altre fonti private e dati pubblici.

    Quindi in pieno contrasto con quanto sarà censurabile con la nuova normativa del garante della privacy, che pare però non vedere quel che tutti sanno anche perché è ben documentato dalle brochure patinate delle CR private.

    Alcune di queste CRP posseggono milioni di dati sui consumatori e, siccome alcune sono anche multinazionali, li tengono conservati nei loro mega sistemi informatici, posti in qualche paese straniero, dove diventa in pratica impossibile sapere se i dati siano stati cancellati dopo la scadenza e, sopratutto, come sono manipolati ed analizzati ed a quali fini.

    Ed anche se un cittadino italiano riuscisse ad avere un mandato per perquisire un centro elettronico estero di una CRP, quali sicurezze avrebbe che i dati non siano spostati su un sistema che sta in un altro continente?

    Le CRP, inoltre, hanno come clienti anche aziende che fanno credito in senso lato come le società telefoniche e le PayTV, perché concedere un abbonamento è in ogni modo dare un affidamento. Ed anche questo finisce per arricchire la CRP con dati preziosi per il profilino.

    Tutto quest’armamentario consente a queste aziende di analizzare in maniera raffinata i comportamenti dei consumatori anche perché dispongono d’enormi infrastrutture informatiche.

    Il problema che perciò emerge dalla presenza di questo Grande Fratello privato è quello di un possibile attacco ai diritti di libertà in quanto quest’eccesso d’informazioni in mano a privati è potenzialmente una violazione dei diritti di riservatezza e potrebbe essere utilizzato in maniera non democratica da entità straniere, atteso che in alcuni paesi le stesse forze di polizia sono loro clienti.

    Tali pericoli sono stati documentati e denunciati nel libro “Data Base Nation” di Simon Garfinkel (Ed. O’Reilly 2000/2001) dove sono elencate le manipolazioni dei dati per i più vari scopi fatte da aziende multinazionali che gestiscono CRP e giganteschi data base d’indirizzi e di marketing.

    L’allarme su tale situazione è cresciuto negli USA presso le organizzazioni libertarie (come la EFF) a seguito dei fatti dell’11/9 e della decisione del governo USA di mettere in piedi una struttura di sorveglianza che sarà alimentata anche dai dati delle transazioni finanziarie, il che darebbe ad un governo un potenziale controllo totale sugli orientamenti politici, religiosi, culturali e sessuali dei cittadini che, attraverso i libri che comprano, le destinazioni raggiunte, i consumi fatti possono essere catalogati ed analizzati com’è stato fatto a suo tempo dal regime nazista per ebrei, oppositori, omosessuali, zingari che erano marchiati sull’avambraccio con un numero che era quello della scheda perforata che ne deteneva tutti i dati per la selezione verso i campi di sterminio e le camere a gas (vedi “IBM e l’Olocausto” di Edwin Black. Ed Rizzoli 2001).

    In conclusione appare evidente che le pur utili CR dovrebbero essere gestite esclusivamente da Banca d’Italia e, tenuto conto che anche in mano ad una istituzione pubblica si potrebbero utilizzare i dati di CR per usi antidemocratici (come avvenuto sotto il nazismo) si dovrebbe anche prevedere un apposito comitato parlamentare che vigili sull’uso non distorto delle CR perché è assolutamente evidente che avere in mano i profili dei cittadini significa anche poter fare campagne politiche mirate, segmentando opportunamente il target e, nella situazione italiana, dove alcuni politici sono anche cointeressati a banche e finanziarie, procurarsi i dati dalle CRP ed utilizzarli per raggiungere e mantenere il potere è solo una questione di soldi.

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