Tanto rumore per nulla
Antonio D’Amato, presidente di Confindustria, ha esposto al nostro giornale l’urgente bisogno italiano di un sistema più forte di controllo sulle aziende, soprattutto se quotate in borsa. Ha inoltre invocato maggiori verifiche a livello internazionale sul lavoro di revisori e analisti finanziari, soprattutto quando questi ultimi operano in conflitto di interessi. Tuttavia nella storia mondiale recente le richieste post-scandalo di una più decisa supervisione di banche e mercati azionari non hanno quasi mai portato a dei sostanziali miglioramenti. E la cosa sembra valere anche per il caso Parmalat, da cui è nato solo un grande “liberi tutti”, in un confronto tra politici e operatori che è più emotivo che lucido e razionale. Per arrivare a una soluzione è importante rendersi conto che legislatori e controllori devono disporre di poteri effettivi, e non pro-forma.
Da “Parmalat scandal underscores the need for solid overhauls”, Wall Street Journal Europe, 12 gennaio 2004, http://online.wsj.com/public/europe
I baroni rampanti
“E’ dura la vita a Firenze per l’uomo ricco”, scriveva Lorenzo de’ Medici nel 1473, “a meno che non controlli i poteri dello stato”. E’ una strategia, quella di utilizzare l’autorità pubblica per ossigenare gli interessi privati, che Lorenzo perseguì nei 23 anni in cui si trovò a gestire la banca di famiglia. Molti commentatori ne fanno un paragone con Berlusconi, altri con le complicità e connivenze politiche che hanno tenuto in piedi Parmalat negli ultimi dieci anni. Sta di fatto in ogni caso che nello scandalo Parmalat ci sono delle peculiarità tipicamente italiane, come la figura del barone (Calisto Tanzi) di città, adulato spesso senza ritegno. Come già lo è stato Gianni Agnelli, con le interminabili agiografie seguite alla sua morte e per la totale assenza di considerazioni oggettive sulla sua effettiva abilità imprenditoriale, in opposizione alla sua capacità di ottenere sussidi pubblici. Tutto questo dimostra quanta presa tali figure abbiano sull’immaginario popolare italiano. E il non plus ultra, la manifestazione più eclatante e frequente del potere di questi baroni, è il possesso della squadra calcistica cittadina: Tanzi con il Parma, Cagnotti (Cirio) con la Lazio e Cecchi Gori con la Fiorentina. A questo punto è chiaro come qualsiasi cambiamento nelle regole e nei controlli delle aziende sarà irrilevante di fronte a una dinamica psico-sociale così forte.
Da “Parmalat Now that’s Italian!”, The Wall Street Journal Europe, 19 gennaio, http://online.wsj.com/public/europe
Un 2004 sottotono per Piazza Affari
Con l’esplodere della bomba Parmalat, il Mib30 non ha riscontrato variazioni significative dall’inizio di dicembre, mentre l’indice Eurotop è salito del 4%. L’andamento deludente della borsa italiana rispetto ai principali concorrenti è destinato a perdurare, esattamente come è successo nel 2003 ai titoli olandesi dopo lo scandalo finanziario della società Ahold. L’anno scorso, infatti, l’indice AEX (Paesi Bassi) non si è mosso, mentre il resto dell’Europa registrava forti incrementi nei valori azionari.
Dalla rubrica “Breakingviews”, Wall Street Journal Europe, 12 gennaio 2004, http://online.wsj.com/public/europe
Meno regole, più efficienza
Ricorrere a nuove leggi e regolamenti per evitare futuri scandali finanziari non è spesso la soluzione migliore, per Parmalat oggi come lo è stato per Enron, WorldCom e Tyco ieri con la legge Sarbanes-Oxley. I nuovi vincoli giuridici, stilati e approvati velocemente dopo lo scoppio del bubbone, tendono a ridurre l’efficienza del sistema perché interferiscono con le libertà economiche. E aumentano i costi legali, portano a uno spreco di tempo per i consigli di amministrazione e scoraggiano le società dal quotarsi in borsa.
Da “The wrong way to avoid a corporate scandal”, Financial Times, 9 gennaio 2004, http://www.ft.com
La corsa delle parole in difesa del sistema
Dopo i miglioramenti degli ultimi cinque anni nella corporate governance delle imprese del Bel Paese, il caso Parmalat ha riacceso nel mondo i vecchi timori sull’affidabilità del sistema Italia. Tuttavia esperti e dirigenti delle grandi aziende italiane ritengono che le aziende del paese restino sopra la media europea in termini di controlli e diritti dei soci di minoranza. Per Erik Bomans, un avvocato specializzato nella tutela dei diritti degli azionisti, in Italia i detentori di quote di minoranza dispongono di alcuni poteri, ma devono imparare ad usarli. Tra i sostenitori della validità del sistema italiano c’è anche Corrado Passera, amministratore delegato di Banca Intesa, secondo cui le aziende italiane sono dotate di buoni controlli, e purtroppo nessun apparato di corporate governance al mondo avrebbe potuto fermare il dissesto di Parmalat.
Da “Rush to restore Italy’s corporate image”, Financial Times, 16 gennaio 2004, http://www.ft.com
Per un’Europa unita di fronte a Parmalat
La risposta europea al crack di Parmalat è finora stata molto debole, senza il vigore americano del dopo Enron. Molti osservatori infatti considerano il caso come un affare esclusivamente italiano. Dopotutto, sostengono, non è questo il paese del lassismo berlusconiano nei confronti del falso in bilancio? E, continuano, non è l’Italia un modello di disaffezione verso le regole per una corretta e trasparente gestione aziendale?
Ma al di là del contesto italiano, il problema deve essere inquadrato in un’ottica europea. Bruxelles ha infatti tutto l’interesse a ridurre le discrepanze tra le diverse legislazioni nazionali in tema di corporate governance, soprattutto in vista dell’allargamento a est, con l’inevitabile aggiunta di nuovi colori al già tanto variegato sistema legislativo dell’Unione. E i governi nazionali dovrebbero appoggiare ogni tentativo comunitario di armonizzazione, a cominciare dalle regole di contabilità e di revisione di bilancio.
Da “The pause after Parmalat”, The Economist, 17-23 gennaio 2004, http://www.economist.com
Se tardi non è meglio di mai
Anche se lo scandalo Parmalat è scoppiato solo a metà dicembre, alcuni segnali erano già emersi mesi prima, soprattutto da parte di analisti economici e rappresentanti sindacali. Molti sono quindi quelli che si chiedono come mai ci sia voluto tanto tempo prima di arrivare all’implosione finale ed esplicita dell’azienda emiliana. Il governo Berlusconi accusa la Banca d’Italia di non aver prestato abbastanza attenzioni alle forti esposizioni di alcune banche verso Parmalat. E la Banca d’Italia, a sua volta, punta il dito contro l’operato del ministro Tremonti. Infine, anche la Consob è sotto il mirino dei commentatori, perché normalmente non comincerebbe alcuna inchiesta senza che prima succeda qualcosa sui mercati finanziari, quindi spesso troppo tardi. In generale sembra che legislatori, controllori e investigatori abbiano riposto troppa fiducia sulla grandezza e sull’apparente successo dell’azienda di Tanzi.
Da “Italians wonder why it took so long to spot Parmalat’s problems”, International Herald Tribune, 15 gennaio 2004, http://www.iht.com
Parmalat, uno scandalo fra tanti
Il fallimento del gigante agro-alimentare italiano lascia un’impressione di “déjà vu” e mette la comunità finanziaria internazionale di fronte alle proprie debolezze, al di là delle specificità del sistema Italia. Alcuni fatti sono particolarmente inquietanti, o curiosi:
· Quando nel marzo del 2003 la banca Lehman Brothers aveva preavvisato i propri clienti sulle difficoltà di Parmalat, Calisto Tanzi sporse immediatamente denuncia per diffamazione di fronte alla Consob.
· Nonostante le pressioni di Londra, la dipendenza inglese delle isole Cayman continua a rifiutarsi di applicare la direttiva europea sul risparmio e contro le frodi fiscali.
· Per avere l’autorizzazione a girare alle isole Cayman il film tratto dal libro “Il socio” di John Grisham, una storia di riciclaggio di denaro sporco mafioso ambientata nel paradiso caraibico, la Paramount Pictures ha dovuto aggiungere tra le scritte di fine pellicola la frase “Questo lungometraggio non corrisponde assolutamente alla realtà”. Parmalat ha dimostrato il contrario.
Da “Parmalat, comme tant d’autres ”, Le Monde, 14 gennaio 2003, http://www.lemonde.fr
La grande illusione
Calisto Tanzi gestiva il proprio impero economico come la famiglia. Veniva informato su tutti i problemi e ne organizzava l’occultamento. Dietro di lui si scopre una rete di omertà mafiose, nepotismi, dirigenti senza scrupoli e banche accondiscendenti. E una forte somiglianza con gli altri casi all’estero, come evidenzia Marco Vitale, professore universitario e acuto conoscitore del mondo di “corporate Italy”. Perché, in Italia come per esempio negli Stati Uniti di Enron, le banche d’affari, le agenzie di rating e le società di revisione sono le stesse, come simili sono i meccanismi della grande truffa.
Da “Milchmann in Groessenwahn”, Handelsblatt, 12 gennaio 2004, http://www.handelsblatt.de
Politici conniventi
Secondo fonti giudiziarie l’inchiesta Parmalat sta concentrandosi sui legami dell’azienda con la classe politica, che avrebbe avuto un importante ruolo, insieme alle istituzioni finanziarie, nel consentire a Calisto Tanzi di ingannare gli investitori e occultare la verità sui propri conti. Si tratta della prima volta in cui il sistema della giustizia fa riferimento a una possibile implicazione politica nella frode parmense.
Da “La investigaciòn del caso Parmalat llega a la clase politica”, Expansiòn, 13 gennaio 2004, http://www.expansion.com
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