In una segnalazione inviata ai presidenti delle Camere e al Governo l’Antitrust denuncia l’esistenza di poca concorrenza nel mercato dei taxi. Nuove licenze potrebbero essere assegnate tramite aste. Lavoce aveva già affrontato questi temi, riproponiamo qui gli interventi di Andrea Boitani, Angela Bergantino e Massimo Bordignon.
6 febbraio 2003
Andrea Boitani e Massimo Bordignon
Ci sono buone ragioni per cercare di compensare, almeno in qualche misura, i tassisti per la perdita in conto capitale causata dall’aumento del numero delle licenze (vedi
Rendere le licenze marketable avrebbe anche altri vantaggi. Se si consentisse ad un soggetto di accumulare più licenze, si incoraggerebbe l’inserimento nel mercato di vere e proprie imprese, che sono più capaci rispetto ai singoli individui di organizzare un servizio capillare sul territorio e la cui presenza rappresenta una delle ragioni per cui i prezzi delle corse sono così bassi all’estero rispetto all’Italia.
Fantasia istituzionale
A queste argomentazioni generalmente si risponde che per motivi giuridici le licenze non possono essere vendute. Ma le leggi si possono cambiare. Inoltre, con la riforma del Titolo V della Costituzione, la materia dovrebbe essere diventata di esclusiva competenza regionale e dunque se anche leggi o consuetudini nazionali non fossero modificabili, le regioni potrebbero intervenire autonomamente. In tutti i casi, sembra curioso che a livello locale non si riesca a inventare dei “diritti di guida” che possano essere venduti dal Comune e che offrano ai possessori la possibilità di fare almeno una parte di ciò che consentono le attuali licenze, cioè offrire servizi automobilistici a pagamento nel territorio urbano.
La proposta potrebbe essere ulteriormente arricchita. Per esempio, si potrebbe associare tali “diritti” a servizi differenziati, come quelli dei minicabs londinesi, che hanno tariffe diverse da quelle dei taxi di piazza, ma possono raccogliere clienti solo tramite prenotazione telefonica. In questo modo i tradizionali “taxi bianchi” sarebbero incentivati a girare per le strade in cerca dei clienti, mettendo così fine a una negativa peculiarità delle grandi città italiane, dove al contrario che in quelle estere il servizio di taxi non è facilmente disponibile, “ad alzata di dito”, ma va ricercato.
Maggiore flessibilità dell’offerta si potrebbe inoltre ottenere eliminando l’attuale segmentazione per territorio comunale, consentendo cioè ai possessori di licenze di esercitare in tutti i comuni facenti parte delle “aree metropolitane”. Una liberalizzazione che dovrebbe essere accompagnata da una regolazione uniforme, per cui le tariffe massime risultino uguali ovunque.
“Ispessire” il mercato.
Un ulteriore modo di compensare i tassisti e ricercare maggiore efficienza del servizio è di agire non solo sul lato dell’offerta ma anche su quello della domanda. Questo potrebbe essere ottenuto in più modi. In primo luogo, aumentando la velocità commerciale dei taxi. L’aumento della velocità commerciale implica infatti un miglioramento del servizio ma si traduce anche in un minor costo dello stesso, dato che il tassametro scatta sia per i chilometri percorsi sia per il tempo trascorso in coda nel traffico. Ma per far aumentare la velocità commerciale è necessario decongestionare il traffico, con tutte le misure possibili (road pricing, corsie preferenziali, ecc.). In secondo luogo, riducendo le tariffe, che sono determinate dai Comuni. Gran parte degli studi in materia stimano infatti che l’elasticità al prezzo della domanda di taxi sia molto elevata, suggerendo che una riduzione della tariffa media avrebbe un effetto positivo sul ricavo totale dei tassisti, a fronte di minori incrementi di costi dovuti al maggior chilometraggio giornaliero. In pratica, ciò potrebbe essere realizzato consentendo ai Comuni di determinare solo una tariffa massima, lasciando libertà ai singoli operatori di praticare sconti, e riducendo il “tallone” iniziale in modo da incoraggiare l’uso del taxi anche per percorsi non lunghissimi.
6 febbraio 2003 Governo locale e gruppi di pressione In particolare, il nuovo meccanismo elettorale dei Comuni italiani introdotto nel 1992avrebbero dovuto condurre ad una maggiore responsabilizzazione del sindaco nei confronti degli elettori e ad una maggiore incisività delle scelte politiche. Questa maggior efficienza politica dei governi locali italiani è evidente, anche sul piano empirico, in molti settori (per esempio, nella fiscalità locale). Tuttavia, qualcosa non funziona. Difficile dire cosa sia esattamente questo “qualcosa”. Appare quantomeno probabile che il riformatore abbia sottovalutato le capacità di interdizione dei gruppi di pressione sulle politiche locali: ciò soprattutto in relazione al sistema elettorale. Il maggioritario ha molte virtù (vedi
Massimo Bordignon
Le recenti vicende milanesi legate all’emissione di nuove licenze e alla conseguente selvaggia protesta dei tassisti suscitano sgomento e protesta. Incentivano tuttavia a qualche riflessione più meditata sull’incapacità dei governi locali italiani, di destra o di sinistra, di affrontare efficacemente il problema: incapacità ancora più evidente alla luce degli interventi riformatori succedutisi negli anni ’90, che hanno rafforzato enormemente il potere e la responsabilità della dirigenza politica locale.
Risolvere il problema appare difficile, perché si tratta di confrontare l’interesse diffuso, ma debole, di una stragrande maggioranza dell’elettorato, con l’interesse forte di un gruppo limitato di elettori. In altre parole, un sindaco che cercasse di riformare il sistema delle licenze dei taxi perderebbe certamente i voti dei diretti interessati e delle loro famiglie, senza necessariamente ottenere maggior consenso da parte degli altri. A questo proposito appare interessante e condivisibile la strada scelta dal sindaco di Milano di appellarsi direttamente alla cittadinanza (attraverso il referendum) per averne il sostegno preventivo , anche se da un punto di vista formale non necessario. Questo può essere un modo di focalizzare l’attenzione del generico elettore sul problema specifico, migliorando il ritorno atteso (in termini di voti) della politica avviata dal sindaco.
E’ opportuno che questo esempio di democrazia diretta, a integrazione del sistema maggioritario, venga imitata, anche nei confronti di altri settori dove l’influenza dei gruppi di pressione locale è, se possibile, ancora più perniciosa di quella dei tassisti (se pensi per esempio al problema delle licenze commerciali).
Le compensazioni per i “perdenti”
Un’altra delle ragioni delle difficoltà a riformare il settore è dovuta ad una singolare mancanza di fantasia da parte degli amministratori locali. La riforma del sistema delle licenze è un classico esempio di quello che gli economisti chiamano un miglioramento Paretiano “potenziale”. In una città distrutta dal traffico come Milano, aumentare il numero delle licenze dei taxi genererebbe benefici tali per cui i “vincenti” della politica –cioè, i cittadini– potrebbero sicuramente più che compensare i “perdenti” della stessa, cioè, gli stessi tassisti. Tuttavia, perché il miglioramento Paretiano da “potenziale” diventi effettivo, è necessario che queste compensazioni siano effettivamente pagate. Nello specifico, è a tutti noto che esiste un fiorente mercato “parallelo” delle licenze per i taxi. Per quanto queste siano state emesse originariamente gratuitamente da parte delle autorità pubbliche, le licenze sono state poi vendute e rivendute da generazioni e generazioni di tassisti a valori in termini reali crescenti, di per sé un indice della scarsità dei taxi attualmente in circolazione. Ogni emissione di nuove licenze necessariamente riduce il valore delle vecchie, generando una perdita in conto capitale per gli attuali possessori. Visto i valori in gioco (si parla di 200,000 euro per ogni licenza a Milano) è comprensibile che questi resistano strenuamente ad ogni ipotesi di aumento delle licenze. Per il tassista, la licenza, acquistata a caro prezzo, è come l’assicurazione per la vecchiaia o l’investimento in borsa; nessuno accetterebbe volentieri di vedersi ridurre il proprio capitale. Appare dunque corretto sia per motivi di efficienza che di equità “compensare” in qualche misura gli attuali possessori per le perdite da loro inflitte dalla politica di liberalizzazione, così come in altri contesti si “compensano” i lavoratori licenziati per i processi di ristrutturazione.
Nell’articolo qui a fianco illustriamo in dettaglio una proposta in questo senso, basata sull’idea semplice di finanziare queste compensazioni con i ricavati della vendita delle nuove licenze.
Maggioranze ex ante e ex post
C’è un’ultima considerazione che merita di essere fatta. Uno sviluppo interessante della moderna teoria economica ha affrontato l’analisi delle riforme economiche in senso lato, cercando di capire sotto quali condizioni una riforma, per quanto ottima sul piano economico, possa avere successo su quello politico. La riposta è che è necessario vi sia una robusta maggioranza che sostenga la riforma ex ante, cioè prima che la riforma venga introdotta, ma anche una robusta maggioranza, non necessariamente uguale alla prima, che la sostenga ex post, cioè dopo che essa sia stata introdotta. Altrimenti, la riforma una volta fatta, tenderà ad essere “disfatta” in qualche momento futuro, al mutare delle contingenze politiche.
Questo rischio è senz’altro presente nel caso milanese. L’attuale intervento appare molto legato alla figura di un sindaco, non più rieleggibile e ansioso di lasciare qualche eredità positiva in un campo cruciale come quello del traffico urbano, in cui la propria amministrazione è stata finora assai deludente. Nel caso specifico, perché si formi una solida maggioranza ex post a sostegno di questa riforma nel campo del trasporto urbano e dunque di ulteriori interventi futuri dello stesso tipo, è necessario che i benefici della riforma siano robusti e siano percepiti come tali dalla cittadinanza. Da questo punto di vista, c’è da chiedersi se 350 nuove licenze su un parco attuale di 5000, siano sufficienti a generare questi benefici. La risposta è quasi certamente negativa.. La lezione che trascende l’ambito specifico, è dunque la seguente; se si interviene in qualche punto delicato, è necessario che l’intervento sia sufficientemente massiccio da generare consenso ex post, altrimenti non conviene neppure intervenire. 350 nuove licenze non fanno differenza; 2000, sì.
28 Gennaio 2003 Una difficile regolamentazione La delibera regionale ha suscitato la protesta dei tassisti, che ha assunto forme inaccettabili per la convivenza civile: sciopero immediato senza preavviso; traffico paralizzato dentro e fuori la città, da cortei di taxi; ripetute interruzioni di pubblico servizio, col risultato che non poche persone sono state costrette a percorrere a piedi la distanza tra la città e l’aeroporto di Linate, lungo un viale totalmente intasato da taxi strombazzanti. Alcune associazioni di tassisti minacciano lo sciopero a oltranza se la Regione non ritirerà la delibera incriminata, o meglio la parte della delibera che riguarda l’aumento delle licenze. Eppure se si guarda al rapporto tra numero di taxi e popolazione delle aree metropolitane, si trova che nell’area milanese ci sono 1,6 taxi per mille abitanti, contro i 9,9 di Barcellona, gli 8,3 di Londra i 3,9 di Praga, i 2,9 di Monaco, i 2,4 di Parigi, i 2 di Berlino e perfino i 2,1 di Roma. Ma questi numeri ancora non riflettono tutta la scarsità dei taxi nell’area milanese. Infatti, a Milano, forse più che a Roma, la domanda di taxi è fortemente sostenuta dalla business community che gravita ogni giorno sulla città provenendo da tutta Europa e dalla rilevante presenza di turismo d’affari, che, in occasione di particolari eventi (fiere, settimane della moda, ecc.), si riversa sulla città. È chiara la ragione dell’ostilità dei tassisti all’aumento delle licenze. Essi prevedono una riduzione del valore di mercato delle loro licenze (valore che si aggira oggi intorno ai 120.000 ) e una riduzione dei loro ricavi per l’aumentata concorrenza (il che, a sua volta, incide negativamente sul valore delle licenze). Si tratta della normale ostilità di qualsiasi soggetto verso azioni che minacciano di ridurre il proprio potere di mercato e, con esso, il reddito presente e futuro. Ma la vera forza dei tassisti come gruppo di pressione a Milano come a Roma e altrove risiede nel fatto che quello dei servizi di taxi è un mercato davvero particolare. Significativa al riguardo è la frase riportata nel testo di un articolo dell’Economist del 22 dicembre del 1990: “Il settore dei taxi dovrebbe essere un modello da manuale di economia (1). C’è un gran numero di venditori (conducenti), una moltitudine di acquirenti (passeggeri) e basse barriere all’entrata (il prezzo dell’autovettura). Non è così: in tutto il mondo il settore è distorto da regolamentazione pubblica, monopolio, lobby politiche, mafia, esclusione razziale e qualunque altro peccato nel libro del libero mercato”. La regolamentazione pubblica e tutto il resto sono la conseguenza di alcune peculiari anomalie o “difetti” del mercato dei taxi, tra i quali la presenza di esternalità negative di consumo, le asimmetrie informative, i costi di ricerca, la capacità inutilizzata. Connessi alla natura spaziale dell’industria e alla relazione casuale tra domanda ed offerta, tali fattori fanno sì che in questo mercato non possa realizzarsi un equilibrio concorrenziale soddisfacente (e tantomeno ottimale) in regime di laissez faire. D’altra parte, neanche la regolamentazione ha prodotto risultati soddisfacenti: elevati tempi di attesa, valore esorbitante delle licenze, distribuzione inadeguata, scarsa qualità del servizio. Il fallimento dell’intervento pubblico ha preso il posto delle inefficienze “naturali” del settore. Confronti con l’estero Le esperienze di ritorno al mercato, sono state avviate in alcune città americane e si sono poi sviluppate su scala mondiale a partire dalla prima metà degli anni ’80. Esse hanno spesso assunto la forma di una deregolamentazione spinta del settore, ma non hanno, in genere, prodotto benefici consistenti e duraturi. Quello dei taxi è sembrato, dunque, per anni, un comparto irrimediabilmente stretto nella morsa di un duplice difetto: quello del mercato e quello della regolamentazione. Dall’inizio degli anni ’90, un nuovo tentativo di riformare il settore ha preso l’avvio dalla Nuova Zelanda (1989) e, in Europa, dalla Svezia (1989 e 1995). Più che di una deregolamentazione si è trattato di una ri-regolamentazione del settore. Ancora più di recente, l’Olanda (1998) e l’Irlanda (2000) in Europa e l’Australia (1999) hanno intrapreso questa strada. Caratteristica comune a queste riforme è il riconoscimento delle peculiarità del settore ed il tentativo di disegnare l’intervento tenendo conto dei vincoli strutturali dell’industria. In questi Paesi, infatti, si è normalmente proceduto a liberalizzare l’accesso al mercato si sono cioè completamente liberalizzate le licenze – rendendo, al contempo, molto più stringenti i requisiti qualitativi e di sicurezza imposti agli operatori, sia nuovi sia incumbents. Sono stati resi più severi i controlli sull’idoneità dei candidati (buona salute, conoscenza dell’area di servizio, idoneità morale) ed è stato introdotto l’obbligo di frequentare corsi di aggiornamento e verifica del mantenimento delle condizioni iniziali. Rispetto alla determinazione della tariffa si sono seguiti percorsi diversi. In Nuova Zelanda essa non viene affidata direttamente al mercato, bensì lasciata alle associazioni di categoria, che registrano presso la Segreteria dei Trasporti il livello massimo, prima di calibrarvi i tassametri. Gli operatori possono praticare tariffe più basse, anche differenziate in base alle condizioni della domanda (peak e off-peak). Unico obbligo è quello di una corretta informazione della clientela. Anche in Olanda è stata prevista la completa liberalizzazione delle tariffe, inclusa la possibilità di differenziarle nell’arco della giornata, all’avvio della seconda fase del processo di liberalizzazione (2002). Per garantire la completa informazione della potenziale clientela è stato resa obbligatoria l’affissione delle tariffe anche all’esterno delle autovetture. Tuttavia, nonostante le tariffe si siano mantenute in questo periodo ben al di sotto di quella massima è stata protratta la validità del tetto massimo. I risultati delle riforme in Olanda, a Dublino e in Svezia sono stati una riduzione media delle tariffe di circa il 10% e un consistente aumento della domanda (che in questo settore è molto elastica al prezzo). Forse è il caso che anche in Italia si cominci a riflettere su interventi più incisivi del semplice aumento delle licenze, perché il servizio di taxi può svolgere un ruolo di grande rilievo per la mobilità nelle grandi aree urbane, in funzione complementare ed integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea, a condizione che il servizio sia abbondante, affidabile veloce e meno costoso di quanto non sia oggi a Milano e Roma. Certo, se le amministrazioni locali non riescono neanche a far passare l’aumento delle licenze le speranze di un cambiamento significativo sono poche. (1) In effetti fu dato come esercizio da Milton Friedman (1962, p. 282) agli studenti del suo corso di economia. (2) Le riforme del settore hanno cercato di rendere più “accessibile” il servizio sia attraverso l’imposizione di obblighi relativi all’appartenenza ad una centrale radio (Nuova Zelanda) o, addirittura, l’istallazione di sistemi di posizionamento satellitari sui veicoli (progetto in corso in Australia), la creazione di centrali radio pubbliche in concorrenza con quelle private (Svezia), la liberalizzazione delle aree di servizio (le taximeter areas) come in Olanda e in Svezia, la rimozione dei limiti sulle ore operative (Svezia).
Angela Bergantino e Andrea Boitani
A distanza di quasi cinque anni si riapre la questione della riforma del settore dei taxi in una grande città italiana: Milano dopo Roma. Dalla capitale era partito, infatti, il primo progetto di riforma del settore in Italia. Ma il progetto romano si era scontrato con le forti resistenze degli operatori; così poche delle proposte fatte nel 1998 hanno trovato fino ad oggi applicazione. Di aumento del numero di licenze, in particolare, non si è più parlato. Per Milano, invece, una delibera regionale prevede un aumento delle licenze pari a 275 unità (4585 sono le licenze attuali). Se a queste si sommano le nuove licenze previste nel resto della provincia di Milano e in quelle di Varese e Bergamo cioè l’area del sistema aeroportuale lombardo si arriva a un aumento complessivo di 303 unità su un totale di 5120 (meno del 6%), contro una richiesta del sindaco Albertini di 500 nuove licenze per la sola Milano.
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Franco Cazzaniga
Sicuramente la soluzione prospettata nell’articolo è migliore della situazione attuale, ma, se è necessario cambiare la legge, vale forse la pena di aprire un dibattito più ampio e chiedersi se non sia il caso di porsi nella prospettiva di arrivare ad abolire il sistema stesso delle licenze per arrivare a un libero mercato dei trasporti pubblici su strada, non solo per il trasporto individuale, ma anche per quello collettivo.
In quest’ottica il mercato delle licenze potrebbe essere un utile primo passo, al quale però dovrebbero seguirne ben altri.
Comprendo che una tale proposta urta profondamente la (purtroppo) comune convinzione che l’azione regolatrice dello Stato sia necessaria a meno di prove contrarie. Mi rattrista però la constatazione che nel nostro paese, dove l’uso del prefisso ‘liberal-‘ è ampiamente abusato da tutte o quasi le forze politiche, manchi del tutto chi faccia osservare che, invece, l’intervento dello stato dovrebbe essere ammesso solo di fronte a prove ragionevoli del fallimento del mercato .
Chissà, forse una discussione pubblica sul tema dei trasporti su strada potrebbe essere una buona occasione per vedere all’opera dei veri liberali, ma credo proprio di illudermi.
La redazione
Sì, certo si potrebbe pensare anche più in grande e riflettere sulla necessità di mantenere un sistema regolato di licenze (giustificato nel caso specifico dal ruolo di servizio pubblico che viene ricosciuto alle macchine private, che comporta per esempio anche l’obbligo di garantire il servizio notturno e l’impossibilità di rifuitare i clienti), oppure se non fosse il caso di liberalizzare interamente il mercato. Non ho opinioni definite in merito; la questione andrebbe studiata attentamente. Ma lo scopo dell’articolo era più limitato: suggerire una qualche soluzione che nell’immediato, e senza introdurre riforme riviluzionarie, indigeribili per la nostra cultura politica, consentisse qualche progresso effettivo. Contituo a ritenere che si tratti di una proposta ragionevole.
Massimo Bordignon
Eugenio Somaini
Lo sciopero del 30 gennaio ha reso di grande attualità la proposta di Boitani e Bordignon (B-B) di introdurre un mercato delle licenze dei tassisti; se opportunamente sviluppata e chiarita essa potrebbe essere resa non solo accettabile, ma addirittura conveniente per la stessa categoria dei tassisti. Lelemento decisivo è lidea di distribuire tra i titolari delle vecchie licenze i proventi dellemissione delle nuove, una soluzione che (come risulta da un recente articolo di J. Kay sul Financial Times) è già stata adottata in Irlanda e che potrebbe direttamente cointeressare la categoria allespansione del servizio: se lelasticità della domanda di licenze è superiore a 1 (cosa che nel lungo periodo non si può affatto escludere alla luce delle trasformazioni che il sistema del traffico urbano sta subendo) i tassisti riceverebbero dalla vendita delle nuove licenze più di quanto perderebbero per il deprezzamento delle vecchie.
Lintroduzione di un mercato delle licenze porterebbe ai possessori di queste una serie di vantaggi indiretti aggiuntivi a quelli ricordati da B-B: i) ne aumenterebbe notevolmente la liquidità, cosa che, a parità di ricavi e di costi attesi, si tradurrebbe in un incremento del loro valore patrimoniale; ii) consentirebbe una serie di impieghi finanziari oggi esclusi o molto difficili (p.es. la possibilità di costituirle in garanzia) con analoghi effetti sul valore patrimoniale.
Decisivo dal punto di vista dellinteresse pubblico mi sembra il fatto che lintroduzione del mercato eserciterebbe unazione per così dire pedagogica sui rappresentanti della categoria, rendendoli consapevoli della grande varietà di fattori che influiscono sul valore di un asset di lunga durata come le licenze ed incoraggiandoli ad atteggiamenti flessibili e ad aperture negoziali. Una strategia che punti semplicemente ad un indefinito prolungamento dello status quo sarebbe miope e certamente perdente: lirrigidimento negoziale aumenta la probabilità che gli enti locali procedano dautorità ed in modo autonomo, adottando soluzioni che per gli attuali detentori delle licenze sono meno favorevoli di quelle che essi potrebbero spuntare adottando un atteggiamento costruttivo (p.es. facendo propria la proposta di B-B). Se il mercato oggi esistesse credo che non ci si dovrebbe stupire di vedere il prezzo delle licenze scendere in seguito ad un irrigidimento nelle trattative e riprendersi in risposta alladozione di strategie negoziali più aperte e propositive.
Il problema più delicato che rimarrebbe da risolvere in vista di unaccettazione da parte della categoria credo sia quello delle temute conseguenze fiscali di un sistema di transazioni trasparenti su un mercato ufficiale. Non mi sento di avanzare specifiche proposte, ma ritengo che si dovrebbe mantenere leggera la tassazione dei capital gains derivanti dalla compravendita delle licenze, affidando allorgano di mercato una tassazione forfettaria ed anonima in occasione delle transazioni.
Eugenio Somaini