La definizione delle regole di accesso e di gestione di interventi assistenziali come il reddito di ultima istanza non è semplice. Il rischio è avere una percentuale dei beneficiari troppo alta, con conseguenze negative sul mercato del lavoro e sul piano socio-politico. Serve invece uno schema capace di valutare l’effettivo tenore di vita delle famiglie, ma soprattutto in grado di disincentivare il ricorso al lavoro sommerso. E magari di dar conto delle differenze del costo della vita tra diverse aree del paese. I risultati delle simulazioni con uno strumento di questo tipo.

L’ultima Finanziaria (la legge 289/2003) ha sancito l’intenzione del legislatore di sostituire il Reddito minimo d’inserimento (Rmi) con un nuovo strumento, il Reddito di ultima istanza (Rui).

Di quest’ultimo, però, il legislatore ha detto ben poco. (1)

Comuni al vecchio Rmi sono peraltro i problemi che sorgono nel definire le regole di accesso a uno strumento di contrasto della povertà, quindi soggetto alla prova dei mezzi, e di sostegno al reinserimento sociale. Concentrando l’attenzione sulle regole di accesso, abbiamo perciò cercato di analizzare i problemi di un ipotetico Rui in un recente lavoro. Data l’analogia col vecchio Rmi, quest’ultimo è stato considerato come il dato di partenza su cui operare le modifiche necessarie per superare quelle che, a mio giudizio, ne erano le principali “aree critiche”.

I problemi con il vecchio Rmi

L’evidenza empirica sulla sperimentazione del Rmi è di natura poco sistematica e spesso aneddotica. Tuttavia, su questa base, si possono distinguere due grandi aree problematiche: le regole di accesso e di quantificazione delle erogazioni monetarie e la gestione dello strumento, compresa la predisposizione dei programmi di inserimento sociale.

Le criticità “gestionali” maggiormente rilevanti sono la scala comunale di intervento (quantomeno nel caso di piccoli comuni), la notevole isteresi che caratterizza le politiche sociali a livello locale (le maggiori difficoltà sono state incontrate nelle realtà prive di esperienze pregresse), le difficoltà di interazione tra programmi di inserimento ed erogazioni monetarie e gli ostacoli alla verifica dei mezzi, soprattutto a fronte dell’ampia presenza di redditi sommersi.

Quanto alle regole di accesso e alla quantificazione delle erogazioni monetarie, non vengono presi in considerazione taluni elementi differenziali del costo della vita che possono grandemente influire sul tenore di vita effettivo delle famiglie. È scarsa la capacità di verifica delle condizioni di vita, perché sfugge il sommerso. E perché spesso l’unico parametro utilizzato è quello dei redditi correnti, mentre l’aspetto patrimoniale o non è preso in considerazione oppure preclude del tutto l’accesso al Rmi. Inoltre, sono forti i disincentivi al lavoro regolare determinati dalla logica propria dell’intervento means tested e dalla pervasiva presenza del sommerso. Questi disincentivi si accentuano, almeno in certe aree del paese, nel caso di soggetti con molte persone a carico.

L’insieme di questi elementi ha portato in talune realtà, specialmente nei piccoli centri del Mezzogiorno, a percentuali di beneficiari del Rmi estremamente elevate rispetto al complesso della popolazione. Al di là dei profili di legittimità, da un lato, e di effettivo maggior bisogno di quelle aree, dall’altro, un tale situazione appare densa di pericoli. Nel mercato del lavoro, il rischio è quello di spiazzare l’offerta di lavoro regolare, contravvenendo all’obiettivo di crescita economica di quelle Regioni. Dal punto di vista socio-politico, è l’accettabilità stessa di uno strumento redistributivo che viene profondamente minata dalla percezione che ampie zone del paese “vivono di assistenza”.

Una possibile alternativa

Lo schema alternativo da noi elaborato prevede che la verifica dei mezzi, e il suo controllo a livello centrale, avvenga tramite il ricorso a uno strumento che già esiste: l’indicatore sulla situazione economica delle famiglie, il cosiddetto Ise, per il quale è già disponibile una banca dati unica a livello nazionale. (2)

Il riferimento all’Ise, con alcuni accorgimenti ulteriori, consentirebbe di garantire un monitoraggio centrale ed omogeneo e di apportare alcune modifiche atte a superare le criticità nelle regole di accesso del Rmi prima esposte.

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Rispetto al Rmi, le innovazioni, che non sono indolori, si concentrano su quattro punti. (3)

In primo luogo, dovrebbe essere calcolato un reddito minimo presunto. Il vantaggio è che così si tiene conto delle situazioni di partecipazione al lavoro sommerso e si accrescono gli incentivi al lavoro regolare entro una certa soglia di reddito (il reddito da lavoro entro quella soglia non verrebbe computato ai fini della prova dei mezzi, per essere poi trattato con le norme generali, di favore nel caso di soggetti già beneficiari, oltre quella soglia). Implicitamente, però, si attenuerebbe il principio di intervento sulle situazioni di maggior bisogno.

Accanto agli elementi reddituali in senso proprio, il riferimento all’Ise consentirebbe poi di considerare elementi di valorizzazione del patrimonio, evitando le brusche discontinuità nel trattamento del dato patrimoniale del vecchio Rmi.. Il vantaggio è che il patrimonio, specie se immobiliare, è più difficile da occultare. E contribuisce ad indicare, con più precisione del reddito corrente, il tenore di vita effettivamente sostenibile per un dato nucleo familiare.

Si prevederebbe poi un trattamento di favore dei redditi da lavoro, nel caso dei nuclei familiari che già abbiano fatto ricorso al Rui in passato e che quindi devono essere incentivati a uscirne. È un obiettivo abituale anche nel panorama internazionale ed è congruente con l’idea di un Rui che, da un lato, intervenga solo in ultima istanza, quindi con una soglia che in prima battuta è più stringente, ma che dall’altro accompagni verso un’uscita significativa, e non per un importo infinitesimale, dall’area della deprivazione.

Infine, andrebbe considerato il costo dell’abitazione con lo scomputo di un elemento forfetario, differenziato geograficamente e in base alla dimensione del nucleo familiare. L’obiettivo è quello di tener conto del diverso costo della vita nelle varie aree del paese e nei centri piccoli e grandi. Mentre l’aggiustamento ad hoc per la dimensione familiare discende dalla considerazione che la scala di equivalenza prevista dal Rmi, e adoperata per le componenti positive di reddito, era inadeguata rispetto a questa componente del bilancio familiare.

Costi e dimensione

Per valutare costi e portata dello strumento ipotizzato abbiamo utilizzato l’indagine sui redditi familiari della Banca d’Italia relativa all’anno 2000.

Per semplicità, non si è considerato l’impatto della possibile discrepanza tra dati fiscali e dati reddituali riportati nell’indagine (che potrebbe far considerare sottostimato il numero dei potenziali beneficiari), né il fatto che lo schema richiederebbe ai beneficiari di partecipare a programmi di reinserimento sociale. E neppure il tradizionale stigma sociale associato alle erogazioni di questi sussidi o le difficoltà ad accedere alla misura per molti dei nuclei familiari potenzialmente interessati, che potrebbe invece indurre un accesso effettivo inferiore a quello teoricamente possibile qui stimato.

Il costo degli interventi è poi considerato come costo complessivo, quale che sia la fonte, statale o regionale, del finanziamento, e senza scomputare il costo di quegli interventi alternativi (il cosiddetto minimo vitale), che potrebbero venir meno.

Lo schema base di Rui arriverebbe a coprire il 2,7 per cento delle famiglie (Tabella 1a).

Con una media di 2.925 euro annui per ciascun nucleo familiare, il fabbisogno finanziario complessivo sarebbe di 1,67 miliardi di euro. La tabella riporta anche gli effetti di modifiche al margine nei diversi parametri ipotizzati.

Identiche simulazioni con il vecchio Rmi, mostrano che nello schema base la spesa si attesterebbe a 2,90 miliardi di euro, con il coinvolgimento del 4 per cento delle famiglie. Mentre nella variante che recepisce il comportamento effettivo di molti dei comuni che hanno partecipano alla prima sperimentazione del Rmi (con elevazione della franchigia patrimoniale, detrazione per affitti e trattamento di favore esteso anche ai redditi da pensione), la spesa complessiva sarebbe di 4,6 miliardi di euro.

Per saperne di più

Paolo Sestito e Valentina Nigro, “La sensibilità alle regole di accesso della spesa aggregata e della composizione dei beneficiari nel sostegno al reddito di ultima istanza: alcune valutazioni”.

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Tabella 1a. Simulazioni Rui

Id

 

Erogazione

media annua

Incidenza % delle famiglie beneficiarie

Totale famiglie beneficiarie

Fabbisogno finanziario annuo

(mld di euro)

1

RUI schema base

2925

2,7

571052

1,67

2

RUI con reddito da lavoro al 75% oltre la soglia presunta

2722

3,6

754433

2,05

3

RUI con reddito da lavoro al 50% oltre la soglia presunta

2522

5,9

1249005

3,15

4

RUI con soglia presunta di reddito di € 200

2007

1,9

393011

0,79

5

RUI senza presunzione di reddito

3784

3,5

741364

2,81

6

RUI con valorizzazione del patrimonio al 25%

2904

2,7

569785

1,65

7

RUI con valorizzazione del patrimonio al 15%

2902

2,8

582501

1,69

8

RUI senza valorizzazione del patrimonio

2838

5,8

1208948

3,43

9

RUI con affitto base di € 3000

2998

2,9

615191

1,84

10

RUI con affitto base di € 1000

3021

2,3

488865

1,48

11

RUI con ammontare fisso di affitti pari a € 2000

2901

3

635255

1,84

Fonte: dati SHIW00, nostre elaborazioni.

Nello schema base la soglia presunta di reddito è di € 100 mensili per ogni adulto (“occupabile”) e il reddito da lavoro viene computato (al 100 per cento) solo oltre tale soglia; il tasso medio annuo sulle attività finanziarie rilevante ai fini Ise è posto pari a 0,05 ed il coefficiente di valorizzazione del patrimonio è posto pari a 0,2 (in conformità alla legislazione Ise), con una franchigia per il patrimonio mobiliare pari a 15.494 euro e una per il patrimonio immobiliare identificata nel debito residuo per acquisto immobili di abitazione; per i proprietari della casa di residenza il costo forfetario dell’abitazione è detratto fino a concorrenza del patrimonio immobiliare valorizzato al 20 per cento, per gli affittuari sino a concorrenza dell’affitto effettivo.

 

(1) Dal testo normativo si desume che si tratterebbe di uno strumento cofinanziato da Stato e Regioni. Non è peraltro chiaro se il nuovo strumento debba essere ritenuto parte di quei livelli essenziali di assistenza che comunque l’intervento statale dovrebbe garantire oppure se la presenza e i contorni dell’intervento siano essenzialmente da definire a livello regionale. Nel primo caso le caratteristiche essenziali dello strumento dovrebbero essere definite a livello nazionale, pur senza che ciò trasformi lo stesso, anche per via della sua natura non esclusiva di erogazione monetaria, in un diritto soggettivo comunque esigibile. Nella seconda ipotesi, il cofinanziamento statale comunque dovrebbe far riferimento a un qualche parametro oggettivo di “bisogno” delle diverse aree e non intervenire a piè di lista, magari finendo col finanziare proprio le Regioni più ricche e più in grado di avviare interventi simili.

(2) Nel calcolo verrebbero anche aggiunti sussidi e indennità non computati nell’Ise.

(3) Nel lavoro citato si espongono anche meccanismi possibili di governo del cofinanziamento statale atti a incentivare l’efficacia delle iniziative di reinserimento sociale, i cui contorni sarebbero invece definiti a livello regionale.

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