Nelle residenze sanitarie assistite il tasso di mortalità è decisamente più alto rispetto a quello indicato nelle tavole della sopravvivenza, a parità di età. Agisce un effetto selezione: si ricoverano gli anziani con perdita di autonomia funzionale superiore allo standard. Ma anche un effetto prodotto dal processo di istituzionalizzazione. Si mantiene così un equilibrio tra domanda e offerta, ma la sovramortalità istituzionale è una questione che le politiche per gli anziani dovrebbero affrontare. La Regione Lombardia ha di recente reso pubblico il tasso grezzo di mortalità della popolazione sopra i sessantacinque anni nelle residenze sanitarie assistite (Rsa) lombarde: è pari al 25,64 per cento dei residenti. Tassi simili risultano in ricerche svolte in alcune Asl venete. La mortalità nelle strutture Proviamo ad applicare le tavole italiane di sopravvivenza alla popolazione anziana istituzionalizzata nelle Rsa lombarde, con una struttura per età assimilata a quella della domanda potenziale stimata (peraltro in linea con i dati aggregati 2001 forniti in Regione Lombardia). Per prudenza non prendiamo nemmeno le più recenti, soggette a un ulteriore abbattimento delle barriere di mortalità in età avanzata, ma quelle del 1992. Il numero complessivo dei decessi così stimato corrisponderebbe a un tasso grezzo di mortalità del 13,8 per cento: la metà di quello realmente osservato. A grandi linee si può ritenere ragionevole che la funzione di sopravvivenza per popolazioni istituzionalizzate sia peggiore rispetto a quella dell’intera popolazione lombarda. Ciò per due motivi. a) Un effetto selezione: la popolazione ricoverata è tale proprio perché ha mostrato livelli di perdita di autonomia funzionale superiori allo standard per età. b) Un effetto, non sappiamo quanto grande, prodotto dal processo di istituzionalizzazione. Il perché di un equilibrio L’equilibrio, sia pur precario, che abbiamo rilevato tra domanda potenziale e offerta di ricovero in una regione-laboratorio come la Lombardia, è consentito dall’agire di alcune condizioni “fisiologiche” destinate a svanire presto: la temporanea compressione della curva degli anziani, dovuta alla prima guerra mondiale e alla pandemia influenzale del 1918, che ha fin qui contenuto la domanda di assistenza, e una crescita finora relativamente lenta della popolazione anziana, destinata a esaurirsi già nel corso di questo decennio. Per saperne di più Regione Lombardia (2001), Le residenze sanitario assistenziali in Lombardia, Unità organizzativa accreditamento e qualità, Direzione famiglia e solidarietà sociale.
Ma dietro a questo valore ufficiale si annida un’anomalia che conosciamo bene, ma che tardiamo a riconoscere come problema socialmente rilevante.
Tenuto conto che il dato lombardo trova riscontro in altre realtà del Nord-Est, la sovramortalità delle strutture di ricovero sembra una costante, su cui fino a oggi nulla si è trovato da eccepire.
Per pareggiare i quozienti grezzi di mortalità occorre alzare approssimativamente dell’85 per cento i quozienti di mortalità specifici per età e di conseguenza le curve dei decessi (tratto continuo nella figura). Così facendo, il numero complessivo dei decessi stimato è assimilabile a quello osservato. Effetto selezione ed effetto istituzionalizzazione, insieme producono un incremento “fisiologico” dell’85 per cento nella mortalità sopra i sessantacinque anni.
Ma soprattutto agisce una condizione, questa sì modificabile e da modificare in quanto eticamente inaccettabile: il mantenimento di un equilibrio tra domanda e offerta di residenze assistite è permesso dalla sovramortalità istituzionale.
Non esistono, a mia conoscenza, studi empirici che scompongano il surplus di mortalità delle istituzioni tra effetto selezione ed effetto istituzione, tanto scarsa è stata sempre l’attenzione a problemi di “care” in un intorno della morte ormai data per inevitabile.
Supponiamo allora che di quella sovramortalità una buona metà si possa fare risalire all’accentuazione del decadimento fisico e psichico in conseguenza del ricovero: basterebbe tenere sotto controllo questa metà e le “uscite” dal circuito delle residenze crollerebbero a valori già oggi inferiori al livello attuale della domanda, valori quindi inadeguati a fronteggiare la domanda demograficamente montante.
Al centro delle politiche per gli anziani non può stare solo l’attivazione di un sufficiente ammontare di unità funzionali attrezzate di assistenza, ma anche un (radicale) ripensamento dei luoghi dell’ultima e definitiva autoesclusione.
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