Del progetto di legge sulla tutela del risparmio si discute da tempo. Per il momento. il solo risultato concreto ottenuto è il recepimento della direttiva europea sugli abusi di mercato. Gli emendamenti proposti dalla maggioranza di Governo su autorità di vigilanza e indipendenza di queste dal potere politico mantengono tutte le ambiguità della normativa precedente. Se non ci saranno altri interventi, si sarà persa l’ennesima occasione per costruire strumenti essenziali ad arginare la perdita di competitività del nostro sistema economico.

Nelle scorse settimane il complesso progetto di legge sulla tutela del risparmio innescato dagli scandali finanziari alla Cirio e alla Parmalat, attraversato dal conflitto fra il ministero dell’Economia e il governatore della Banca d’Italia e frutto di faticosi compromessi fra maggioranza e opposizione è stato, dapprima, svuotato delle sue parti più rilevanti per decisione (non definitiva perché non approvata) della maggioranza e si è, poi, ridotto all’approvazione di poche norme che assolvono a un atto dovuto: il recepimento della direttiva europea sugli abusi di mercato.
Se questo atto sarà il solo risultato concreto ottenuto, si sarà persa l’ennesima occasione per costruire strumenti essenziali ad arginare la perdita di competitività del nostro sistema economico e a distribuire in modi più trasparenti (una parte de)i frutti dello sviluppo ai risparmiatori.

La nuova architettura della vigilanza

Il progetto di legge, predisposto nel maggio scorso dalla commissione Finanze della Camera mediante il contributo di maggioranza e opposizione, era ben lungi dall’essere una risposta ottimale ai problemi denunciati dai casi alla Parmalat. Compiva comunque passi avanti nella tutela degli azionisti di minoranza e dei sottoscrittori di obbligazioni. Inoltre, rispondendo alle gravi inefficienze nella regolamentazione degli intermediari bancari e non bancari rese evidenti soprattutto dagli scandali alla Cirio, ridisegnava l’architettura di vigilanza e di tutela dei mercati finanziari e la conseguente divisione del lavoro fra autorità. Sarebbe interessante riflettere su tre aspetti della proposta: il nuovo assetto di regolamentazione, i legami fra le autorità previste, il rapporto delle Autorità indipendenti con il potere politico. Qui mi limito a toccare il primo e il terzo aspetto.
Attualmente, la regolamentazione del mercato finanziario italiano si basa su un modello ibrido, in quanto associa autorità operanti per finalità e autorità operanti per soggetti.
Inoltre, l’operare per finalità di parte delle nostre autorità indipendenti è spesso “corretto” dall’attribuzione di competenze per soggetti. Non si spiega altrimenti che la vigilanza della Banca d’Italia sostituisca l’Autorità antitrust riguardo alla tutela della concorrenza del mercato bancario e si affianchi alla Consob riguardo a profili di trasparenza del settore bancario. Il risultato di tale modello ibrido è che alcune delle attività del nostro mercato finanziario sono caratterizzate da un eccesso di regolamentazione e altre da una carenza di regolamentazione.

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Il progetto di legge mirava a dare coerenza a questa architettura regolamentativa, optando per un modello per finalità con tre sole autorità: la stabilità era attribuita alla vigilanza della Banca d’Italia, la trasparenza e la tutela dei risparmiatori a una Consob rafforzata, la garanzia della concorrenza (anche per il mercato bancario) all’Autorità antitrust. Pertanto Isvap e Covip venivano soppresse; e le loro attuali competenze ripartite fra Banca d’Italia e Consob a seconda della loro finalità. Alle assicurazioni e ai fondi pensione veniva, peraltro, riconosciuta una qualche specificità mediante l’istituzione di due inutili commissioni consultive.
Tale architettura soffriva di un’incongruenza rilevante, anche se di ardua soluzione: la riduzione dei fondi pensione a intermediari finanziari. In analogia alle fondazioni di origine bancaria, anche se fungono da investitori nei mercati finanziari, i fondi pensione perseguono fini di utilità sociale irriducibili all’intermediazione finanziaria. Pertanto, le funzioni della Covip non vanno assimilate a quelle dell’Isvap ma, al più, a quelle dell’autorità di vigilanza sulle fondazioni di origine bancaria che, sulla base della “Legge Ciampi”, sono temporaneamente svolte dal ministero dell’Economia. Il progetto di legge avrebbe potuto attribuire a una Covip rafforzata una qualche forma di vigilanza sui fondi pensione e sulle fondazioni, pur nella consapevolezza che le attività non finanziarie dei fondi pensione (previdenza complementare) sono eterogenee rispetto a quelle delle fondazioni di origine bancaria (non profit).
La soluzione, adottata dal più recente testo sulla tutela del risparmio provvisoriamente emendato dalla maggioranza, è la peggiore possibile perché lascia inalterate gran parte delle incongruenze dell’attuale modello ibrido. Tale soluzione si limita infatti a rafforzare le competenze della Consob, mantenendo in vita non solo la Covip, ma anche l’Isvap.

Autorità indipendenti e potere politico

L’aspetto forse più delicato nell’attività delle Autorità di regolamentazione e di tutela dei mercati finanziari è, però, il loro rapporto con il potere politico.
Le Autorità debbono essere indipendenti rispetto ai soggetti economici regolati e rispetto al potere esecutivo, perché sia gli uni che l’altro possono essere portatori di interessi parziali rispetto all’oggetto dell’attività di regolamentazione. D’altro canto, esse non debbono essere autoreferenziali. L’indipendenza ex ante delle loro scelte va, dunque, soggetta ex post a un controllo sistematico ed efficace da parte del Parlamento.
Il progetto di legge coglieva l’esigenza di rafforzare il controllo parlamentare sull’attività delle Autorità di regolamentazione e di tutela dei mercati finanziari mediante l’istituzione di una commissione parlamentare bicamerale, che svolgeva anche un ruolo rilevante nella procedura di nomina della commissione della Consob rafforzata.

Una tale soluzione presentava rischi di inefficienza, data l’eccessiva numerosità delle abituali commissioni bicamerali; sarebbe stato, quindi, necessario chiarire che questa specifica Commissione bicamerale doveva essere un organismo snello e dotato di competenze e di strumenti idonei a effettuare verifiche efficaci. Il problema cruciale risiedeva, però, nel fatto che il controllo parlamentare non era sostitutivo ma aggiuntivo rispetto alle forme, più o meno dirette, di controllo delle autorità indipendenti da parte del potere esecutivo. In particolare, il testo di legge non prevedeva l’eliminazione del Comitato interministeriale per il credito e per il risparmio (Cicr), anche se quest’ultimo è stato il principale strumento di ingerenza del potere esecutivo sull’attività delle Autorità; e introduceva altre e più sottili forme di dipendenza delle Autorità dal potere esecutivo.
Il più recente testo sulla tutela del risparmio, provvisoriamente emendato dalla maggioranza, risolve nel modo più negativo possibile queste ambiguità. Sopprime, infatti, la commissione bicamerale e lascia intatti i poteri di controllo del potere esecutivo sulle Autorità di regolamentazione e di tutela dei mercati finanziari, che cessano così di essere indipendenti.

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