E’ giusto chiedersi se la liberalizzazione delle telecomunicazioni abbia arrecato effettivi benefici ai consumatori finali. Andrea Gavosto contribuisce alla discussione aperta da Carlo Cambini rilevando che i dati sulle tariffe telefoniche apparsi su lavoce.info non tengono conto dei cosiddetti “pacchetti tariffari”. Nella sua controreplica, l’autore ricorda che l’analisi si proponeva di valutare l’impatto del processo di liberalizzazione e non delle strategie tariffarie dei singoli operatori.

Il telefono, la tua bolletta di Carlo Cambini

La liberalizzazione ha trasformato profondamente il settore delle telecomunicazioni, che oggi opera in regime di concorrenza, anche se imperfetta.
In attesa che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni renda pubblica la sua analisi di mercato e quindi ci dica se esistono eventuali problemi a cui porre rimedio, cerchiamo di valutare l’impatto che la liberalizzazione ha avuto dal 1998 a oggi sulle tariffe telefoniche e quindi sul consumatore.

Un’analisi difficile

Effettuare tale analisi è assai arduo. I servizi sono molto differenziati tra loro (chiamate urbane, nazionali e internazionali, le chiamate fisso-mobile, accesso a internet), spesso le tariffe variano con le fascia oraria, e il dedalo delle offerte (con parti fisse o variabili, sconti, offerte speciali e quant’altro), soprattutto nella telefonia mobile, complica ulteriormente la situazione.
Possiamo però dire qualcosa di più preciso sui servizi voce tradizionali (telefonia fissa) e sui ricavi medi per abbonato nel caso della telefonia mobile. Sono i segmenti più tradizionali, ma forse quelli più delicati per valutare se e quanto i piccoli consumatori abbiano beneficiato dalla liberalizzazione.

L’andamento delle tariffe nel fisso…

In tabella 1 sono riportati i valori dei canoni mensili dal 1998 al 2003. (1)
Ne emerge che – a seguito del ribilanciamento tariffario (2) – i canoni medi sono aumentati di circa il 20 per cento in cinque anni, con un aumento in termini nominali del 44,2 per cento per il canone residenziale e del 13,8 per cento per quello affari (per il periodo 2000 – 2004).
Questo pesa soprattutto per le famiglie, per le quali il canone costituisce oggi in media circa il 40 per cento della spesa complessiva, mentre per l’utenza affari incide solo per circa il 18 per cento.
Il peso sempre più rilevante del canone è bene evidente anche nei ricavi di Telecom Italia: dal 2003 i ricavi fissi da canone (pari a 7.870 milioni di euro) hanno superato quelli da traffico (7.116 milioni di euro).
I costi variabili (per minuto) sono invece calati. I prezzi delle chiamate urbane (tabella 2) sono rimasti costanti in termini nominali e quindi si sono ridotti in termini reali, restando per altro sempre inferiori alla media Ue. Sia per le chiamate a lunga distanza (tabella 3) sia per quelle internazionali (tabella 4), i prezzi hanno avuto una consistente riduzione in termini nominali, pur restando in entrambi i casi ben al di sopra della media europea.
In media, quindi, la riduzione delle tariffe per il traffico voce in Italia è stata circa pari al 50 per cento, non distante peraltro dalla riduzione che hanno avuto le tariffe all’ingrosso (- 45 per cento circa) che gli operatori alternativi devono pagare a Telecom Italia per l’accesso alle sue reti.

…E nel mobile

Un discorso a parte merita il settore della telefonia mobile. Come già detto, i prezzi in questo settore sono particolarmente difficili da analizzare, stante i pochi dati a disposizione. In assenza di un vero e proprio prezzo di riferimento, si può usare come approssimazione il ricavo medio per abbonato (figura 1). Dai dati emerge come esso si sia ridotto nel tempo di circa il 50 per cento, ma anche come dal 2000 a oggi la discesa di questo valore si sia pressoché fermata.
Un tale andamento è legato all’esplosione nell’utilizzo del cellulare sia per le chiamate sia per i servizi dati (sms soprattutto) che ha permesso agli operatori di mantenere stabili i propri ricavi per abbonato. Proprio per il fatto che l’Italia è uno dei primi paesi europei per numero degli sms inviati, gli operatori mobili, invece di abbassare i prezzi unitari delle chiamate o guerreggiare su tariffe al minuto più basse, si sono concentrati sull’offerta di pacchetti di servizi sempre più articolati basati sulla possibilità di inviare centinaia di messaggi gratuiti a fronte di un costo fisso.
Il risultato è di rendere il sistema tariffario ancor meno trasparente di quanto poteva esserlo prima, ma questa è un’altra storia.

Dove sono i benefici per il consumatore

Se è vero che non si è qui tenuto conto delle molteplici offerte presenti oggi in Italia, è altresì vero che non si hanno dati certi circa il loro utilizzo nelle famiglie italiane. Quindi, la nostra analisi può considerarsi una proxy del consumatore medio italiano che non necessariamente utilizza offerte speciali.
Se in prima battuta ci si aspettava che la liberalizzazione avrebbe dato ai consumatori finali ampi benefici, forse è bene ricrederci, almeno in parte. Pur nei limiti dei dati disponibili, possiamo infatti concludere che i prezzi unitari dei servizi di telefonia si sono ridotti, ma l’aumento della spesa per il canone fisso è tale da assorbire buona parte di questi benefici.
Nelle stime effettuate da Eurostat ciò è evidenziato in modo significativo.
Considerando un paniere di spesa dei servizi telefonici in modo aggregato – fisso (canone + chiamate) + mobile, utenza residenziale e business -, si può osservare come dal gennaio 1996 al gennaio 2004 l’indice dei prezzi in Italia si è ridotto solamente di 10 punti percentuali in termini reali (si veda LINK BERARDI), molto meno di quanto si è verificato in Francia e Germania, paesi in cui il processo di liberalizzazione è partito allo stesso momento dell’Italia. E non solo: particolarmente preoccupante è il fatto che tale indice sia rimasto pressoché costante dal 2002 a oggi. Che ciò sia dovuto alla presenza di competitori più efficienti o a una regolazione più rigida di quella italiana è difficile da dire. Senza dubbio, ciò mostra che in Italia molto ancora si può e si deve fare per garantire maggiori benefici ai consumatori finali.


(1) Tutti i dati sono stati ripresi dai “Report on the implementation of the Telecommunications Regulatory Package” della Commissione europea pubblicati tra il 1999 e il 2004.

(2) In capo a Telecom Italia vi è l’obbligo di fornire il cosiddetto “servizio universale”, che consiste nell’assicurare l’accesso e l’erogazione di un livello minimo di servizi a tutti gli utenti che ne facciano richiesta, a un prezzo ragionevole e a prescindere dalla loro ubicazione geografica. Storicamente questi costi venivano coperti tramite sussidi incrociati, ossia praticando tariffe superiori ai costi per alcuni servizi (chiamate interurbane e internazionali) e tariffe più basse sui servizi di base. Questo poteva essere sostenibile con un solo operatore, ma con la liberalizzazione alcuni concorrenti sono entrati soprattutto ove i margini di guadagno erano più elevati, e il regolatore è allora dovuto intervenire, attuando il cosiddetto “ribilanciamento” tariffario che ha significato riallineare i prezzi ai costi dei singoli servizi, e anche aumentare il canone. Per maggiori dettagli si rimanda a Cambini, Ravazzi e Valletti, Il mercato delle telecomunicazioni, Il Mulino, 2003.



Il beneficio corre sul filo. La risposta di Andrea Gavosto

Nell’articolo “Il telefono, la tua bolletta”, Carlo Cambini esamina gli effetti della liberalizzazione dei servizi telefonici sui prezzi al dettaglio, concludendo che il beneficio per i consumatori finali dal 1998 a oggi è stato assai limitato. L’opinione è ovviamente legittima. L’analisi di Cambini contiene però una serie di inesattezze, che rischiano di fornire un’immagine distorta dell’evoluzione del settore. Vediamo di correggere le principali.

I dati

I dati utilizzati da Cambini non sono aggiornati. Lo scorso 1° dicembre la Commissione europea ha pubblicato la decima edizione del Rapporto di implementazione – che è la principale fonte dell’articolo – con dati fino al 2004. Il quadro che emerge è diverso da quello descritto da Cambini. Ad esempio, i prezzi delle chiamate nazionali a lunga distanza di Telecom Italia – che è uno dei casi citati nell’articolo – sono nel 2004 sensibilmente inferiori (del 6 per cento) a quelli riportati nella tabella 3 dell’articolo; i prezzi delle chiamate internazionali verso le direttrici più utilizzate sono ormai al di sotto della media Ue. Inoltre, nel determinare il prezzo del canone mensile in Italia, l’autore fa un po’ di confusione, prendendo una media di prezzi con e senza l’Iva e non considerando il diverso peso delle famiglie e delle imprese.

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Le tariffe

Nel calcolare la discesa dei prezzi dei servizi di telefonia fissa, Cambini non tiene conto dei cosiddetti “pacchetti tariffari“, che includono sconti, promozioni, eccetera e che interessano milioni e milioni di consumatori (il solo pacchetto Teleconomy riguarda più di tre milioni di famiglie). Considerando i pacchetti, dal 2000 i prezzi delle chiamate locali sono diminuiti del 25 per cento, quelli delle chiamate di lunga distanza del 40 per cento, quelli delle chiamate internazionali del 30 per cento, molto più di quanto asserito nell’articolo. Nel calcolo delle tariffe all’ingrosso pagate dai concorrenti di Telecom Italia, inoltre, l’autore non considera il canone di affitto dell’ultimo miglio (l’unbundling del local loop), che è di gran lunga il più basso in Europa.

Il canone

È vero che i canoni per le famiglie e le imprese sono aumentati negli ultimi anni (anche se il dato relativo ai ricavi da canone citato nell’articolo include poste che non c’entrano nulla, come le linee affittate). Tuttavia, è importante ricordare le ragioni che hanno imposto questo aumento. Negli anni del monopolio alcune tariffe – principalmente il canone e le chiamate locali – erano tenute artificialmente basse, al di sotto dei costi, per motivi “sociali”: le perdite su queste direttrici erano compensate da tariffe elevate sulle chiamate a lunga distanza e internazionali, che andavano a colpire maggiormente le imprese e le fasce di popolazione più ricche. Con la liberalizzazione del settore, questo stato di cose non poteva essere mantenuto: tariffe sotto i costi avrebbero infatti impedito lo sviluppo di ogni forma di concorrenza su quei servizi. Di conseguenza, l’Unione europea e le Autorità di regolamentazione hanno obbligato gli ex-monopolisti in tutta Europa a procedere con il “ribilanciamento”, riportando i canoni al di sopra dei costi e lasciando che i prezzi dei servizi di traffico scendessero per effetto della concorrenza. Mentre in Italia il processo è stato avviato rapidamente, in altri paesi le resistenze sono state maggiori e questo spiega perché gli aumenti del canone appaiono inferiori. Peraltro, non è vero che l’aumento del canone ha assorbito buona parte dei benefici della riduzione dei prezzi dei servizi di telefonia fissa. Dal 1998 (inizio della liberalizzazione in Europa) alla fine del 2003, la riduzione della spesa media per la telefonia fissa, comprensiva di canoni e tariffe, è stata del 23,4 per cento, con una punta del 33,3 per cento per i clienti business.

I benefici per gli italiani

Nell’articolo si nota che negli ultimi anni il ricavo unitario nella telefonia mobile ha arrestato la propria discesa. In realtà, i prezzi dei servizi vocali hanno continuato a calare. È però cambiata la composizione della domanda, con un crescente utilizzo di nuovi servizi a valore aggiunto. In altre parole, l’utente medio ha speso la stessa cifra, ma si è avvalso di un numero crescente di servizi sempre più sofisticati. L’autore sostiene che, sulla base degli indici dei prezzi dell’Eurostat, in Italia i consumatori hanno goduto di minori benefici rispetto agli altri paesi europei e che la situazione si è aggravata dal 2002. In realtà, se prendiamo l’unico indice dei prezzi Eurostat per cui si possano fare confronti significativi fra tutti i paesi europei – quello che include servizi e apparati di telecomunicazioni – vediamo che, a parte la Germania, fra i grandi paesi l’Italia è quella che ha maggiormente beneficiato del calo dei prezzi dal 1998 a oggi (figura 1). Se poi ci limitiamo ai soli servizi telefonici – il cui indice è però disponibile soltanto per pochi paesi – dal gennaio 2002, ovvero nel periodo che maggiormente preoccupa Cambini, i prezzi in Italia sono diminuiti del 2 per cento; in Francia sono scesi di appena l’1 per cento, mentre sono aumentati in Germania.
In conclusione, è giusto interrogarsi, come fa Cambini, se la liberalizzazione delle telecomunicazioni abbia arrecato effettivi benefici ai consumatori finali: perché la discussione sia proficua occorre, però, che ci si basi su dati accurati e condivisi.

Andrea Gavosto è Chief Economist di Telecom Italia.


 

 Fonte: Eurostat

 

Ma la bolletta non è “fredda”. La controreplica di Carlo Cambini

Può sembrare paradossale, ma la replica di Andrea Gavosto al mio articolo su lavoce.info contiene più punti comuni che divergenze, eccetto per la valutazione dell’entità dei benefici derivanti dal processo di liberalizzazione nelle telecomunicazioni. Cerchiamo quindi – come dice Gavosto – di sgombrare il campo da equivoci. Per prima cosa mi preme sottolineare che l’idea dell’articolo è quello di valutare l’impatto del processo di liberalizzazione e non di entrare nel merito circa la competitività del settore in aggregato o valutare le strategie tariffarie – più che legittime – dei singoli operatori. Detto questo, a mia volta, vorrei puntualizzare alcune questioni.

L’aumento dei canoni

Nessuno ha detto che l’aumento dei canoni è stata una strategia volontariamente portata avanti da Telecom Italia. Come specificato nella nota 2 dell’articolo (che forse, come tutte le note, vengono spesso tralasciate), tale aumento si è reso necessario a causa delle obbligazioni sociali che sono a carico di Telecom Italia.
Esse prevedono in un contesto di liberalizzazione dei servizi, un ribilanciamento tariffario per rendere il processo competitivo efficiente. Tali aumenti sono stati così richiesti dalla Commissione europea e attuati dall’Agcom, e su questo concordo con le osservazioni di Gavosto, come peraltro ho riportato anche nel mio pezzo. Ad ogni modo, l’aumento consistente c’è stato ed è stato più marcato per l’utenza residenziale (+40 per cento circa dal 1998 a fine 2003) piuttosto che per quella affari (+13 per cento circa dal 2000 al 2003). Si consideri inoltre che il peso del canone nella spesa è molto diverso tra i due tipi di utenti: mentre per le famiglie il canone pesa in media circa il 40 per cento della spesa complessiva, per l’utenza affari esso incide solo per circa il 18 per cento (dati Commissione europea, 2003 e 2004). Se si cerca di valutare l’impatto della liberalizzazione, questo fattore è da considerare perché è una conseguenza del processo stesso, sebbene esso non sia direttamente voluto da Telecom Italia, cosa che – è utile ribadire – nessuno ha mai messo in dubbio.

Le offerte speciali nel fisso

Gavosto osserva che i prezzi riportati non includono le offerte speciali, come Teleconomy di Telecom Italia, e ciò riduce significativamente il valore dell’analisi. Anche questo era indicato nelle conclusioni del precedente articolo, ma purtroppo i dati disponibili sono limitati. Alcune osservazioni sono comunque importanti. È vero che Teleconomy abbassa di molto il prezzo unitario delle chiamate nelle diverse direttrici di traffico, ma è anche vero che una tale offerta richiede il pagamento supplementare di una quota fissa in più rispetto al canone mensile. Inoltre, Gavosto dice che sono circa tre milioni gli utenti che usufruiscono di tale servizio, su un totale di circa ventisette milioni. Pertanto, queste riduzioni tariffarie riguardano circa l’11 per cento della popolazione. Per poter analizzare in dettaglio quanto le offerte speciali impattino è necessario valutare non solo i prezzi unitari, ma anche la variazione del loro costo fisso e la numerosità delle persone che usufruisce di tali offerte (1). E spesso ciò è difficile, se non impossibile, data la limitatezza dei dati pubblicamente disponibili.

Il prezzo dei servizi all’ingrosso

Senza dubbio ha ragione Gavosto, i prezzi per l’affitto dell’ultimo miglio (il local loop unbundling) si sono ridotti in questo ultimo periodo e il loro valore è inferiore alla media; di ciò ne prendiamo atto. Ma è anche vero che il numero delle linee in unbundling passate da Telecom Italia ad altri operatori è limitato e, diciamo la verità, inferiore alle aspettative. Non interessa in questo momento analizzare le motivazioni di ciò. Ad ogni modo, l’impatto delle tariffe all’ingrosso, nelle loro diverse articolazione, dovrebbe già riflettersi sull’andamento delle tariffe finali e quindi abbiamo preferito concentrare l’attenzione su questi ultimi dati per poter analizzare l’impatto del processo di liberalizzazione.

L’andamento dei ricavi unitari nel mobile

Nuovamente su questo punto concordo con Gavosto, ma le sue osservazioni erano sostanzialmente già presenti nel mio articolo. Gavosto dice che i prezzi delle chiamate si sono ridotti nel tempo; personalmente non lo dubito, sebbene sia utile capire a quali prezzi si riferisce, considerando che ogni operatore mobile ha un numero rilevante di piani tariffari, prezzi differenziati per chiamate on net e off net, scatti alle risposte, articolazione tariffarie per fasce orarie e quant’altro. Ma ripeto, accolgo e accetto l’osservazione. Ma se è pur vero che la domanda si è fortemente spostata sul segmento dati (sms) è bene ricordare anche – cosa che Gavosto non ha fatto – che il prezzo unitario degli sms è aumentato in questi ultimi anni, passando – almeno per i prepagati che rappresentano la maggioranza dei contratti in essere – dalle vecchie 200 lire a messaggio Iva inclusa (ossia circa 10 centesimi di euro) agli attuali 15 centesimi Iva inclusa. Questo prezzo unitario non considera le numerosissime offerte speciali che, se tenute invece in opportuno conto, fanno ridurre considerevolmente il prezzo medio del servizio sms in questi ultimi anni. Ma, di nuovo, per valutare in modo corretto il beneficio derivante da tali offerte, sarebbe utile capire quanti sono gli utenti che effettivamente le utilizzano, cosa che ad oggi non è pubblicamente nota (pur presumibilmente elevata). Inoltre, per usufruire di tali sconti, spesso si richiede il pagamento di una quota fissa supplementare. Non stiamo dicendo che una tale strategia tariffaria sia illecita, al contrario: poiché il servizio mobile è percepito dal consumatore come un pacchetto di servizi, è più che lecito che gli operatori aumentino il prezzo di singoli servizi per ridurne altri facenti parte del pacchetto venduto e che offrano svariate opzioni tariffarie con scontistiche sofisticate. Così come non vogliamo dire che il segmento della telefonia mobile non sia competitivo, anzi chi scrive è esattamente dell’opinione opposta. Detto ciò, i dati mostrano che negli ultimi anni (per strategie tariffarie, per aumento della domanda, per variazioni dell’offerta) il ricavo unitario aggregato è più o meno rimasto costante.

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Dati 2004 e Eurostat

Sono ben felice di apprendere che per il 2004 la situazione è assai migliorata e spero quindi che i prossimi dati che ci verranno forniti dall’Eurostat lo confermino. Ma, e qui mi permetto di criticare Gavosto, non si tratta di utilizzare dati vecchi: i dati dell’Eurostat da cui è partita l’idea di fare l’articolo riguardano il periodo gennaio 1996 fino a gennaio 2004. Pertanto, per poter spiegare un tale andamento, non si può che considerare i dati disponibili fino a tale momento e così si è optato per i dati della Commissione europea pubblicati nel dicembre 2003.
Se nel 2004 la situazione è migliorata, non posso che esserne contento, fermo restando però quanto mostrato dall’Eurostat per tutti gli anni precedenti. Dai dati 2004 si evince che sono rimasti costanti rispetto al 2003 i canoni residenziali e le chiamate locali dell’operatore dominate a tre e dieci minuti (che risultano ancora sotto la media Ue), mentre il canone business è aumentato (+12 per cento circa) e le tariffe nazionali a tre e dieci minuti si sono ridotte dell’entità evidenziata da Gavosto, rimanendo però sopra la media Ue; le tariffe internazionali sono rimaste anch’esse costanti e risultano essere sotto la media Ue con qualche piccola eccezione (chiamate verso il Giappone). Per quanto poi riguarda il dato Eurostat, Gavosto suggerisce di considerare i dati riguardanti anche le apparecchiature telefoniche, dato che quindi esprime un indicatore di spesa totale del servizio telefonico aggregato. Ciò potrebbe essere opportuno laddove gli apparecchi siano in qualche modo sussidiati dalle tariffe, come accade nel settore mobile in Gran Bretagna, ma ciò però non avviene in Italia, se si esclude il recentissimo caso dell’operatore mobile “3”. Non mi è chiaro quindi il motivo per il quale si dovrebbe inserire i prezzi nelle apparecchiature laddove si voglia valutare l’impatto della liberalizzazione sui soli servizi di telefonia. Ma su questo punto lascio la parola anche a Donato Berardi.

In conclusione, ribadisco che in molti punti mi sembra di poter dire che io e Gavosto in realtà concordiamo. Valutare l’impatto del processo di liberalizzazione è difficile, è vero, ma per poterlo fare in modo opportuno servono dati ad oggi non sempre disponibili o comunque non così articolati. È indubbio che la liberalizzazione abbia portato dei benefici ai consumatori, superiori forse a quanto ottenuto in qualunque altro servizio di pubblica utilità, ma il calcolo di tali benefici non deve limitarsi a considerare le variazioni percentuali dei prezzi unitari, ma più correttamente le variazioni delle quote fisse pagate dai consumatori e una valutazione delle offerte speciali opportunamente pesate in relazione al numero di utenti che ne hanno effettivamente usufruito. Chi scrive intende portare avanti questo studio nei prossimi mesi, spero insieme a esponenti dell’Autorità, e spero anche con la collaborazione di Telecom Italia, in modo che si possa interpretare meglio l’impatto di tale processo, considerando opportunamente anche i nuovi servizi che si stanno sviluppando, come l’accesso a Internet a larga banda o i servizi Umts. E se una tale analisi porterà a mostrare benefici maggiori di quelli da me descritti, sarò ben felice di potermi ricredere.

(1) Secondo fonti Telecom Italia, il totale di chi beneficia di offerte speciali è circa pari al 40% dei clienti Telecom.

L’opinione di Donato Berardi

Partirei dalle conclusioni di Gavosto. Nessuno credo metta in dubbio che la liberalizzazione della telefonia ha offerto importanti benefici ai consumatori, anche in Italia. Il punto è un altro, ovvero se questi benefici sono congrui.
Considerato che la liberalizzazione è partita nel 1998 in tutta Europa quanto avvenuto nei nostri principali partner dell’Unione Monetaria, Francia e Germania, è un importante termine di riferimento, anche per i riflessi sulla competitività del nostro sistema paese.
Innanzitutto, se è vero che non disponiamo di indici che descrivano l’andamento dei prezzi dei “soli” servizi telefonici per tutti i singoli paesi, disponiamo però di misurazioni Eurostat su Francia, Germania e Italia (si veda il Grafico contenuto nel mio articolo del 9/12), che rappresentano circa il 70% dei consumatori dell’area euro. Aggiungo, l’Eurostat fornisce anche un indice complessivo per l’area della moneta unica, che affianco per completezza a quelli già citati.
Secondo, non è corretto trarre conclusioni sull’andamento del costo dei servizi di telefonia analizzando una voce che include anche il costo gli apparecchi telefonici, in particolare quelli della telefonia mobile. Infatti, nel grafico proposto da Gavosto l’indice dei prezzi dei servizi e degli apparecchi telefonici scende vertiginosamente nell’ultimo anno: tale è dovuta alla caduta dei prezzi dei telefonici cellulari, che in Italia pesano circa un terzo di quella voce e i cui prezzi sono scesi del 25%.
La discesa dei prezzi dei cellulari è frutto della concorrenza delle produzioni dell’est asiatico (Samsung e LG tanto per citarne alcune) più che effetto della liberalizzazione della telefonia.



Fonte: elaborazioni dell’autore su dati Eurostat


Il commento di Carlo Scarpa

Nel 1999 scrissi su “Mercato, concorrenza regole” un commento al decreto con cui il Governo italiano recepiva la Direttiva europea sulla liberalizzazione del mercato elettrico, criticandone la timidezza. Invece di avere risposte da chi questa legge la aveva scritta o votata, ricevetti (e fu pubblicata) una unica risposta dall’allora Presidente di Enel, il quale difendeva la norma, quasi la avesse scritta lui.Dopo qualche anno ho infatti scoperto – segreto di Pulcinella – che il decreto era stato (diciamo così) “ispirato” in molti dei suoi tratti essenziali proprio da Enel. Nel 2004, dalle colonne della voce.info, due colleghi si permettono di criticare l’efficacia del processo di liberalizzazione guidato dalla Autorità per le comunicazioni. Il caso vuole che chi risponde è ora Telecom Italia. Forse la “integrazione verticale” nel settore non riguarda solo la relazione tra reti e servizio…

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