Per i trasferimenti monetari alle famiglie la via fiscale è uno strumento poco flessibile e inappropriato nel contrasto della povertà. La maggior parte dei benefici va a favore solo di alcune categorie di cittadini. Lo sgravio è più ampio per i decili intermedi e contenuto per il primo, per il problema dell’incapienza. Non c’è stata l’unificazione degli interventi di sostegno a tutte le famiglie con minori e l’estensione degli assegni familiari ai lavoratori autonomi. A parità di effetti sul bilancio, lo strumento della spesa sarebbe stato più trasparente e diretto.

Con la riforma dell’Irpef si delinea, forse in modo conclusivo, la politica per la famiglia di questa legislatura. Prima di valutarla può essere utile richiamare alcuni principi e porsi alcune domande. Quali sono i possibili obiettivi di una politica di trasferimenti monetari per la famiglia (in breve Tmf)? Quali gli strumenti? Quali sono i limiti della situazione attuale? La riforma cerca di superarli e vi è coerenza tra strumenti e obiettivi?

La stima delle risorse

Ricordiamo prima di tutto che la stima delle risorse destinate ai Tmf in Italia nel 2005 è di 13,8 miliardi di euro, di cui 8,4 attribuibili alle deduzioni dell’Irpef (coniuge escluso), 5 all’assegno per i nucleo familiare (Anf) e 0,4 all’assegno per nuclei con almeno tre minori (A3F).
In media, ai 6,6 milioni di famiglie con minori arrivano sussidi/tax expenditures per circa 1.600 euro l’anno. La tabella riporta, per memoria, la distribuzione dei nuclei familiari per le caratteristiche rilevanti per il nostro tema.

 


Obiettivi e strumenti

Gli obiettivi generalmente riconosciuti, e il cui peso relativo connota ideologicamente una politica di Tmf, sono:
1. il riconoscimento del valore sociale delle funzioni di riproduzione, compensando in parte il costo dei figli;
2. il sostegno della natalità;
3. il contrasto della povertà, nel presupposto (corretto) che il numero dei figli sia un indicatore positivamente correlato con lo stato di disagio economico.
Un obiettivo sussidiario è:
4. la realizzazione di uno o più degli obiettivi precedenti, avendo attenzione agli effetti che le misure hanno sull’offerta di lavoro.
Una premessa indispensabile. I Tmf non esauriscono le politiche per la famiglia. A nostro avviso, più importanti sono le politiche che si traducono in servizi offerti alle famiglie: i cosiddetti trasferimenti in kind (asili, abitazioni per giovani, scuole di qualità, eccetera). Su questo terreno – quello che anche le ricerche empiriche ritengono decisivo per il punto 4 – il Governo ha fatto ben poco: incentivi agli asili nido aziendali e prestiti alle coppie per l’acquisto della casa, con un impegno di spesa minuscolo.
Concentriamoci però sui Tmf. Qui gli strumenti utilizzabili sono:
a) la via fiscale, che può a sua volta avvalersi dello strumento della deduzione o della detrazione, con o senza creazione di credito di imposta per i contribuenti a reddito basso;
b) la spesa pubblica, attraverso assegni per i figli.

Dalle detrazioni alle deduzioni

La riforma ricorre esclusivamente allo strumento fiscale, trasformando le vecchie detrazioni (dall’imposta) in deduzioni (dall’imponibile) decrescenti al variare del reddito complessivo dell’individuo. Nel caso di una pluralità di percettori di reddito si lascia al nucleo familiare la scelta della più conveniente allocazione della deduzione spettante. Nel complesso si aumentano le detrazioni per minori a carico con una perdita di gettito (tax expenditure) valutabile in 1.170 milioni di euro. Si tratta di un aumento medio per ogni famiglia con minori di circa 180 euro: un incremento del 25 per cento. 
Troppo, troppo poco? Dipende dal vincolo di bilancio complessivo e da una valutazione di ciò a cui si rinuncia. Non entriamo nel merito; preme qui sottolineare che con tale riforma non si attua alcun intervento significativo sulla struttura del tutto irrazionale dei programmi attuali.

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La via fiscale rappresenta uno strumento poco flessibile per i Tmf. L’imposta può invero essere la via corretta per gli obiettivi 1 e 2 sopra citati, ma in tal caso deve tradursi in sgravi fiscali di cui godono tutte le famiglie con figli, indipendentemente dalla condizione economica. Per realizzare ciò si devono avere cautele. La prima e più importante è che l’intervento non deve essere discriminante nei confronti dei contribuenti più poveri, che non hanno un reddito imponibile sufficiente per compensare le deduzioni o detrazioni (i cosiddetti incapienti). Questo problema potrebbe essere risolto adottando crediti di imposta rimborsabili: ad esempio, l’imposta negativa.
Nella scelta tra deduzione e detrazione, nell’ambito di un’imposta progressiva, è poi ovvia la preferibilità della detrazione, la cui misura può immediatamente essere resa uguale per tutte le famiglie e graduata, al variare del numero dei minori, in modo tale da tenere conto delle economie di scala nella gestione familiare (e quindi essere decrescente all’aumentare del numero dei figli e crescente all’aumentare dell’età dei minori).
Le detrazioni in vigore prima della riforma non avevano questi requisiti: non prevedevano il credito di imposta; erano decrescenti al crescere del reddito; non rispettavano i principi delle economia di scala; attribuivano ai figli con meno di tre anni un vantaggio più elevato che agli altri. 
La riforma non risolve nessuno di questi problemi e ne aggiunge un altro, scegliendo la strada delle deduzioni, che producono una distribuzione degli sgravi poco razionale. Anche il curioso aspetto di opzione nell’attribuzione della deduzione, nel caso in cui nel nucleo vi siano più percettori di reddito, non sembra particolarmente giustificabile sotto il profilo né dell’equità, né della semplificazione amministrativa, come argomentano Rizzi-Zanette.
La via fiscale è poi del tutto inappropriata, nel caso in cui l’obiettivo sia il contrasto della povertà. In questa ipotesi si tratterebbe di introdurre criteri di selettività, dando di più alle famiglie più povere. Ciò non può essere fatto agevolmente nell’ambito dell’Irpef. Una volta scelta una certa scala di aliquote progressive (e il Governo sembra avere idee chiare al riguardo), detrazioni o deduzioni decrescenti graduano lo sgravio fiscale rispetto a un parametro, il reddito imponibile individuale Irpef, che è una misura molto imperfetta della condizione economica della famiglia. In altre parole, se il contrasto della povertà fosse un obiettivo rilevante dei Tmf, la strada maestra dovrebbe essere quella della spesa: assegni per i figli, graduati secondo corretti criteri di definizione della condizione economica della famiglia (ad esempio l’ISEE).
Come si può arrivare a soluzioni così “strampalate”? Forse è il cumularsi di errori derivanti da scelte sbagliate a monte. Si è voluto sposare il modello ideale della flat rate tax, che richiederebbe una deduzione costante, ma si è dovuto fare i conti con l’eccessiva perdita di gettito che questa soluzione avrebbe comportato. Si sono allora introdotte deduzioni decrescenti (cosiddetta No Tax Area), creando problemi di efficienza, a scapito dell’obiettivo 4 sopra indicato, per il livello comunque elevato delle aliquote marginali effettive in corrispondenza a redditi medio-bassi. Si è poi elevato a principio generale lo strumento della deduzione, e la si è voluta applicare anche agli oneri di famiglia, per i quali è del tutto inadatta.

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Ciò che la riforma non ha fatto

Ma il limite maggiore della riforma non è tanto ciò che ha fatto, quanto ciò che non ha fatto: l’attenzione al restante 40 per cento della spesa per Tmf. Un timido e mal congegnato tentativo di aumentare gli assegni familiari nel corso della discussione sulla Finanziaria è presto rientrato per carenza di risorse. Il risultato è che il nostro sistema di Tmf resta caratterizzato dalla più totale categorialità. La maggior parte dei benefici va a favore solo di alcune categorie di cittadini (lavoratori dipendenti, occupati e disoccupati, o pensionati ex dipendenti), sulla base di due programmi, il grasso assegno al nucleo familiare e lo smilzo assegno per nuclei con almeno tre minori, che si fondano su criteri di selettività molto diversi (il reddito complessivo il primo, l’Isee il secondo).
La prima figura mostra la struttura dopo la riforma del complesso dei trasferimenti alle famiglie con minori, per decili di reddito disponibile familiare equivalente. La parte in rosso in basso rappresenta l’effetto della riforma. Lo sgravio ha un andamento abbastanza uniforme, ma è comunque più ampio per i decili intermedi e più contenuto per il primo decile a causa del problema dell’incapienza.
La seconda figura misura però la divaricazione nel trattamento di lavoratori dipendenti e autonomi. Il punto fondamentale avrebbe dovuto essere l’unificazione degli strumenti di sostegno a tutte le famiglie con minori e l’estensione degli assegni familiari ai lavoratori autonomi. Lo strumento della spesa, a parità di effetti sul saldo di bilancio, sarebbe stato senza dubbio quello più trasparente e diretto. (1)
Ma allora si sarebbe dovuto dire addio al fuorviante messaggio di ridurre l’Irpef!


(1) Per una proposta articolata si veda Baldini, Bosi e  Matteuzzi, Sostegno alle responsabilità familiari e contrasto alla povertà: ipotesi di riforma – I in Rivista delle Politiche Sociali, n.2, 2004 Ediesse, Roma (disponibile anche sul sito www.capp.unimo.it )





 
 

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