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L’onda anomala del turismo responsabile

Dopo le devastazioni dello tsunami, la corsa al ripristino delle attività turistiche fa emergere questioni etiche e pragmatiche sullo sviluppo del settore nei paesi colpiti. La programmazione degli investimenti a breve termine per accelerare la ripresa potrebbe portare all’aumento del divario tra l’attività turistica e la realtà locale. Va invece favorita l’adozione di un approccio integrato e sistemico, accompagnato da efficaci metodi di valutazione e monitoraggio. Solo così il turismo potrà essere un volano di sviluppo per le aree economicamente svantaggiate.

Lo tsunami dello scorso 26 dicembre ha colpito un sistema costiero popolato da 350 milioni di persone. Alle perdite registrate tra la popolazione locale si aggiungono le stime relative alla popolazione fluttuante: duemila i morti accertati tra i turisti, da sommare ai 1.600 di nazionalità sconosciuta; mille circa i dispersi. Nella corsa alla ripresa delle attività turistiche, emergono questioni etiche e pragmatiche sullo sviluppo del settore nei paesi colpiti. È possibile ripensare a paradigmi di sviluppo alternativi rispetto a quelli storicamente prodottisi?


Impatti dello tsunami sul turismo


L’Onu ha calcolato che ci vorranno dieci anni per la ricostruzione. I danni sono stimati in 14-15 miliardi di dollari. Paradossalmente, però, sembra che le economie dei paesi più colpiti risentiranno in modo marginale degli effetti della devastazione. Le coste sono zone povere in cui il valore materiale di quanto distrutto non è alto. E, nonostante l’importanza riconosciuta di pesca e turismo, essi non sono determinanti per le economie nazionali. Se, infatti, alle Maldive il turismo rappresenta il 74 per cento del Pil, in Tailandia il peso scende al 12 per cento, in Indonesia al 10,3 per cento, in India al 4,9 per cento e a Sri Lanka al 4,6 per cento. Le Maldive – secondo fonti della banca Standard Chartered – vedranno ridurre la crescita del Pil del 4 per cento, la Tailandia meno dell’1 per cento, lo Sri Lanka e l’Indonesia del 2 per cento.
Inoltre, la ricettività non sembra aver subito danni ingenti: nella zona di Phuket si stima un 10 per cento di strutture danneggiate, rimpiazzabili da destinazioni alternative già consolidate. Alle Maldive, due terzi delle strutture turistiche sono già operative o lo saranno a breve.


Scenari di ripresa post-tsunami


L’Organizzazione mondiale del turismo ha tracciato uno scenario ottimistico sulla ripresa, considerando l’interesse dimostrato dalle grandi majors del turismo internazionale. (1) Ma a questo punto sorge spontanea la domanda: è così necessario rimettere a regime le strutture puntando sulla rapidità della ripresa o forse è possibile riflettere sulle modalità, proponendo alternative di sviluppo meno estensivo, ma più coerenti e integrate ai contesti locali? Chi risente di più degli impatti economici negativi derivanti dalla temporanea immobilità delle poche strutture turistiche inagibili: le popolazioni locali o gli investor internazionali?
C’è poi chi pone questioni di più lungo termine: il Wwf suggerisce ai governi di assicurarsi che le azioni intraprese per la ricostruzione siano ecologicamente sostenibili. Alla Un Conference on Small Islands (Mauritius, 2005) raccomanda, inoltre, l’importanza della conservazione dei meccanismi naturali di difesa delle coste per ridurre i costi economici e sociali derivanti da eventi catastrofici di tale portata.


Il paradigma tradizionale


Il turismo può essere di fondamentale importanza per le aree costiere di paesi economicamente svantaggiati perché più di ogni altro settore può contribuire allo sviluppo socio-economico di zone altrimenti degradate. (2) 
Tuttavia, è fonte di impatti ambientali negativi notevoli, poiché tradizionalmente sviluppatosi secondo un modello di crescita estensivo, scarsamente attento alla capacità di carico delle destinazioni e più interessato agli indotti economici immediati che agli scenari evolutivi a medio-lungo termine. Spesso, gli effetti ambientali ed economici sono più evidenti e quantificabili. Quelli sul sistema sociale e culturale sono, invece, di più difficile valutazione, poiché ricadono su valori intangibili, ad alcuni dei quali solo recentemente è stata riconosciuta una valenza. (3) Mentre all’industria è stata attribuita una responsabilità sociale nei confronti delle risorse che impiega, il turismo può disporre di folklore e paesaggio senza limitazioni giuridicamente o istituzionalmente riconosciute. Un effetto evidente è la “banalizzazione”, cioè la perdita di specificità e di qualità ambientale, in cui spesso modelli occidentali di turismo sono mascherati dietro un approccio solo apparentemente topofilico. Il problema riguarda quei paesi, resi accessibili al turismo di massa negli ultimi cinquant’anni, nei quali il modello di luogo turistico si è esteso sotto forma di enclave autosufficienti, dove la comunità locale rappresenta unicamente una risorsa da sfruttare. Rispetto al life-cycle model delle destinazioni turistiche, per questi resort è stata individuata una quinta fase di sviluppo, nella quale la società ospitante non compare come variabile attiva del sistema. (4)


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Uno sguardo ad alcune realtà locali


Emblema di questa evoluzione sono le Maldive. Su un totale di 270mila locali, solo 9mila lavorano nei resort. L’indotto dell’attività turistica ha creato una domanda di prodotti e servizi estranei al contesto locale, contribuendo alla progressiva perdita di autenticità e generando un fenomeno che è stato definito di “etnicità ricostruita”. Nel caso della Tailandia, invece, la piaga della prostituzione è ormai un fattore endemico, la cui nascita è attribuibile all’occupazione americana durante la guerra del Vietnam e alla mancata offerta di opportunità per le donne da parte dei governi nazionali. Secondo le stime del Department of Communicable Disease Control, il totale delle prostitute nel 2000 era di 70.124, di cui il 20 per cento minorenni. Questo ha fatto sì che oggi la Tailandia sia divenuta, insieme alle Filippine, meta privilegiata di un turismo sessuale organizzato, attivo ai margini dei resort turistici, con cui convive.


Un turismo più sostenibile nel lungo periodo


L’Omt, durante un meeting a Phuket in Tailandia, ha ribadito l’importanza di “una pronta ripresa dell’industria turistica e una maggior cooperazione internazionale per prevenire altri disastri naturali”. Questo approccio può valere nel breve periodo, ma non può bastare nell’ottica di uno sviluppo più sostenibile del settore turistico. Per contesti territoriali complessi, come quello della Tailandia, le strategie da seguire devono essere più diversificate. La programmazione degli investimenti a breve termine, con obiettivo di accelerare la ripresa, potrebbe portare all’aumento del divario tra l’attività turistica e una realtà locale che avanza lentamente, esacerbando conflitti nell’uso del suolo e contrasti culturali. Bisogna considerare gli individui nel loro complesso come guidati da una serie di motivazioni culturali, credenze e identità che, interagendo con gli incentivi economici e con le condizioni esterne, ne condizionano i risultati. (5)


Il tema della sostenibilità del turismo possiede un ormai consolidato framework scientifico e istituzionale. (6)


Ciò nonostante, la situazione internazionale vede perpetrarsi situazioni di profondo degrado e sfruttamento e la difficoltà nel perseguire principi etici e duraturi è forte laddove il turismo è già a uno stadio maturo di sviluppo. L’adozione di un approccio integrato e sistemico va accompagnata da efficaci metodi di valutazione e monitoraggio. Mentre, infatti, risulta più semplice analizzare e monitorare i singoli impatti generati dal sistema turistico, la stima del degrado complessivo è spesso di difficile formulazione, a causa dell’interdipendenza di parametri qualitativamente e quantitativamente diversi, della soggettività di molte variabili, differentemente percepite dagli stakeholder coinvolti, e infine per la mancanza della definizione di criteri di giudizio assoluti e universalmente condivisi, necessari per stabilire le condizioni di equilibrio ottimale.

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(1) L’Organizzazione mondiale del turismo (Omt/Wto) è un’agenzia delle Nazioni Unite lanciata ufficialmente nel 1975 e fonte di informazione privilegiata per questioni concernenti la politica del turismo e lo sviluppo della sua industria (URL: www.world-tourism.org)


(2) L’Organizzazione mondiale del turismo e la Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo (Unctad) hanno lanciato dal 2003 in avanti un programma d’azione comune, chiamato ST-EP (Sustainable Tourism- Eliminating Poverty), con l’obiettivo di promuovere il turismo sostenibile come strumento primario per l’eliminazione della povertà nei paesi in via di sviluppo.


(3) Unesco, 2003. Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage. Vedere il sito: http://unesco.org/culture


(4) In letteratura sono state riconosciute quattro fasi del ciclo di vita della località turistica sulla base del rapporto tra turisti e ambiente e comunità locali: (a) una prima fase detta di idillio (o di Gauguin), (b) una di competizione/conflitto, (c) una di separazione ed infine (d) una fase di assimilazione e genocidio. Vedere: Butler R.W., 1980, “The concept of tourism area cycle of evolution: implications for management of resources”, Canadian Geographer. 24 (1), 5–12; Pearce D., 1989, “Tourist Development”, Longman, UK.; Di Castri F., 1997, “Turismo e globalizzazione”, per il convegno internazionale “Gli studi di impatto come strumenti per un turismo sostenibile” Centro V.i.a. Italia, Genova, 23 ottobre 1997.


(5) Rao V. and M. Walton, (eds), 2003, “Introduction to Culture and Public Action. Culture and Public Action”, Stanford, CA, Stanford University Press.


(6) Per una definizione di turismo sostenibile, vedere quella fornita dall’Omt (2004) (http://www.world-tourism.org/sustainable/top/concepts.html). United Nations Commission on Sustainable Development, 7th Session (CSD-7), 1999, Guidelines, Parte IV: Sustainable Tourism; Global Code of Ethics (World Tourism Organisation, 2001); Quebec Declaration (2002); Djerba Declaration on climate change and tourism (2003); World Summit on Sustainable Development (2002) tra i più rilevanti.


 


 

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Lettera a Michele

  1. Felice Di Maro

    Anche se quest’articolo è legato alla tragedia che ha colpito le Maldive e le altre zone costiere il 26 dicembre del 2004 penso che si debba rispondere alla domanda delle Autrici di ripensare a quei paradigmi di sviluppo alternativi rispetto a quelli storicamente prodottisi in una determinata zona. Ma in che modo? Non certo pensando che il "turismo sostenibile" debba essere soltanto l’obiettivo primario per alimentare la povertà nei paesi di sviluppo. La globalizzazione impone che "valutazione" e "monitoraggio" si devono continuamente rimodulare insieme e in tempo reale. Naturalmente in modo sistemico debbono anche interessare paesi come l’Italia. Una ipotesi di studio è rappresentata dal divario che esiste tra Rimini e San Benedetto del Tronto nel progetto PadmaLab (Progetto Adriatico Mare – Laboratorio) nella versione che è stata presentata a San Benedetto del Tronto sabato 14 giugno 2008 da Tonino Pencarelli e da Andrea Pollarini. Crescita delle risorse professionali sono in contrasto con la necessità di avere una marca territoriale? Si lo sono, le aspettative dei cittadini sono agli antipodi con quelle degli operatori uristici locali. Quali risposte dà questo progetto?

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