Paesi grandi e piccoli hanno cominciato ad analizzare i loro sistemi innovativi nel loro complesso, al fine di identificarne aree di forza e di debolezza. In alcuni casi, i risultati della valutazione sono già diventati ingredienti per la preparazione dei programmi degli anni successivi. Niente di tutto questo accade in Italia. Eppure dagli errori del passato cè molto da imparare. Per esempio, linefficacia di offrire alle imprese incentivi temporanei allinterno di una giungla di altre agevolazioni, spesso sostitutive le une delle altre. Come riportato nello
Come si valutano gli altri
Alcuni grandi paesi, come Australia e Canada, hanno cominciato ad analizzare i loro sistemi innovativi nel loro complesso, al fine di identificarne aree di forza e di debolezza. Altri paesi (come Regno Unito, Svezia, Nuova Zelanda e Olanda) hanno addirittura introdotto per legge lobbligo di valutare le politiche innovative. In Olanda, ad esempio, il decreto legislativo prevede una valutazione ex-ante (cioè lobbligo di considerare i pro e i contro dellimpiego di misure alternative), un monitoraggio in corso di attuazione e una valutazione consuntiva. Lefficacia dei vari strumenti di agevolazione viene poi sottoposta a revisione ogni cinque anni.
Lopportunità di ricorrere alla valutazione sistematica degli esiti e degli strumenti delle politiche di incentivo è riconosciuta come fondamentale anche in paesi più piccoli. I più attivi nel campo della valutazione delle politiche sono Finlandia e Irlanda. Questi paesi sono riusciti a sfuggire alle coalizioni di accademici e scienziati nazionali, ricorrendo ad esperti internazionali indipendenti e a pratiche di benchmarking internazionale per valutare se linvestimento di fondi pubblici per linnovazione e la ricerca è produttivo oppure no. I buoni esempi in questo campo vanno però ben oltre i soliti noti. Come evidenzia il rapporto dellOcse, anche altri paesi piccoli come Belgio e Lussemburgo valutano le loro politiche dellinnovazione (in Belgio, i Fiamminghi lo fanno separatamente dai Valloni, ma lo fanno). Lo stesso vale anche per due paesi di recente ammissione nellUnione europea, come la Repubblica Ceca e lUngheria.
In alcuni casi, i risultati della valutazione sono già diventati ingredienti per la preparazione dei programmi degli anni successivi. In Olanda, ad esempio, la valutazione delle politiche innovative ha prima portato a coordinare e poi a ridurre il numero (ma non lentità complessiva) dei programmi di sostegno dellinnovazione, accrescendone la trasparenza e laccessibilità per le nuove imprese. Nel Regno Unito, seguendo i suggerimenti contenuti nel Dti Innovation Report, fondi pubblici sono stati destinati alla condivisione dei rischi tra imprese inglesi e Governo per lutilizzo a fini industriali di nuove scoperte scientifiche di base, provenienti dal mondo accademico del paese e dallestero.
E in Italia?
LItalia non è nemmeno citata nelle pagine del Rapporto dellOcse che si occupano di valutazione delle politiche. Questa assenza è il risultato di una schizofrenia del nostro dibattito politico.
Da un lato, sottolineare lurgente necessità di incoraggiare linnovazione e la ricerca è ormai diventato un luogo comune. Il governo Berlusconi, per promuovere entrambe, ha promesso e parzialmente realizzato una pluralità di iniziative (puntigliosamente elencate, per esempio, dai ministri Lucio Stanca e Letizia Moratti sul Sole 24 Ore, rispettivamente, del 5 dicembre 2004 e dell11 febbraio 2005). Tuttavia, nel nostro paese il dibattito sugli incentivi allinnovazione e alla ricerca avviene come se in passato non ci fossero mai state politiche di questo genere. Gli altri paesi provano a imparare dagli errori passati, propri e degli altri. In Italia, invece, poco importa che la TecnoTremonti, il sistema di credito di imposta introdotto in parallelo con la Finanziaria 2004 per incoraggiare la spesa in R&S e linternazionalizzazione delle imprese, non sia mai entrata in fase di attuazione. Anzi, il Governo, nel rispondere al questionario dellOcse sulla valutazione delle politiche per favorire linnovazione e la ricerca, non si è fatto scrupolo di aggiungere la TecnoTremonti alla lista delle misure attuate.
È un peccato. Proprio dal fallimento della TecnoTremonti, si potrebbe imparare qualche cosa sullinefficacia di offrire alle imprese incentivi temporanei allinterno di una giungla di altre agevolazioni, spesso sostitutive le une delle altre. Ma, si capisce, è più facile elencare le iniziative intraprese che valutarne rigorosamente gli esiti. Speriamo che quando (se?) il Ddl sulla competitività arriverà in Parlamento e la nuova strategia di supporto allinnovazione sarà finalmente presentata, il Governo colga loccasione di importare dallestero la buona abitudine di prevedere per legge che le nuove politiche di incentivo siano sottoposte a valutazione.
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guido pellegrini
Concordo con molte osservazioni presentate nell’articolo di Francesco Daveri, in particolare con l’affermazione che in Italia, specie nel campo della valutazione delle politiche di incentivazione, non si è fatto spesso tesoro delle esperienze passate. Volevo invece ricordare che vi sono stati studi (direi forse meglio “esperimenti”) di valutazione di alcune politiche di sostegno all’innovazione (in particolare la 46). Questi studi sono stati allegati nella Relazione sugli incentivi alle imprese prodotta annualmente dalla Direzione di coordinamento degli incentivi del MAP e disponibili sul sito (perlomeno lo erano).
saluti
guido pellegrini
La redazione
Grazie del messaggio e dell’utile informazione per i lettori e per chi si occupa dell’effetto degli incentivi.
Rimane purtroppo il fatto che l’OCSE non menziona l’Italia tra i paesi che hanno fatto uso della valutazione delle esperienze passate come guida per le politiche future. Speriamo che le cose cambino.
Saluti,
Francesco Daveri
giuseppe di bello
Caro Francesco,
alcuni anni fa Alberto Arbasino invitò i letterati italiani a fare una gita a Lugano, per sottolineare il loro provincialismo.
Se ho ben compreso, il Tuo è un invito, rivolto ai policy-makers italiani, a compiere un’escursione ben oltre Lugano, ad esempio ad Helsinki o a Dublino.
Vorrei chiederTi delucidazioni a proposito di un passo del Tuo scritto. A proposito di Finlandia ed Irlanda, scrivi che essi “sono riusciti a sfuggire alle coalizioni di accademici e scienziati nazionali, ricorrendo ad esperti internazionali indipendenti e a pratiche di benchmarking”. A proposito di “coalizioni”, non capisco se intendi riferirTi a gruppi di pressione presenti in quei paesi o se invece scrivi facendo riferimento alla nostra situazione. Inoltre, sarei curioso di sapere come viene impostata una politica di “benchmarking” nel campo della valutazione degli investimenti in R&D e soprattutto quali siano le “pietre di paragone” scelte.
Cordiali saluti.
Giuseppe Di Bello
La redazione
Caro Giuseppe, grazie del messaggio.
il riferimento nell’articolo è alle coalizioni di alcuni docenti
universitari italiani che a volte – leggo sui giornali o nelle rubriche delle lettere – si sentono offesi dall’idea di ricorrere ad esperti internazionali (“come se noi non fossimo capaci di valutare i nostri progetti o i nostri allievi”).
Il benchmarking delle politiche di innovazione non è – credo – ancora una scienza. In linea di principio, occorrerebbe fare esperimenti di policy evaluation come suggerisce il premio Nobel Heckman. Un pragmatico compromesso tra ciò che si dovrebbe fare e ciò che una agenzia per l’Innovazione, seria ma con risorse limitate, può fare lo puoi trovare al
sito Web della Agenzia inglese: http://www.dti.gov.uk/innovationreport/
A presto
Francesco