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Quante verità sui conti pubblici?

L’audizione di Siniscalco alle commissioni Bilancio di Camera e Senato è reticente sullo stato dei nostri conti pubblici. Per questo non serve a rassicurare i mercati. Né a valutare se è davvero possibile fare a meno di una manovra correttiva. Le prospettive negative dei conti pubblici non dipendono solo dalla crescita economica, ma anche dalla politica di bilancio seguita negli ultimi anni: un’ipoteca sul futuro che stiamo cominciando a pagare.

Era stata annunciata come un’operazione verità. L’audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato del ministro Domenico Siniscalco doveva servire a fornire un quadro realistico dei nostri conti pubblici, alla luce dei dati sull’andamento dell’economia nel primo trimestre. Se ne sentiva il bisogno perché quel meno 0,5 di crescita nel primo trimestre 2005, seguito a un meno 0,4 per cento in chiusura di 2004, rendeva di fatto irraggiungibili le previsioni di crescita del Pil su cui si regge la Relazione trimestrale di cassa resa nota solo due settimane fa.
L’operazione verità era tanto più necessaria in quanto il Governo, per la prima volta nella storia, si era sin qui limitato a fornire una forbice di stime per il deficit 2005. Nella Relazione di cassa lo aveva collocato fra il 2,9 e il 3,5 per cento, insomma tra gli inferi di uno sforamento anche dei nuovi vincoli posti dal Patto di stabilità e crescita e il purgatorio di un semplice avvio di una procedura per deficit eccessivo in corso d’anno e un richiamo formale della Commissione europea. Verità si imponeva anche perché, come lo stesso ministro aveva riconosciuto in una intervista a Repubblica, il rischio di un aumento del costo del debito (con l’apertura dello spread fra gli interessi sui Btp e quelli sui titoli di Stato tedeschi o finlandesi) è tutt’altro che remoto per il nostro paese, soprattutto alla luce degli ultimi dati congiunturali e dell’aumento dei tassi negli Stati Uniti.

Reticenze

Ma la verità va detta fino in fondo. Altrimenti meglio non preannunciarla. Serve solo a suscitare nuovi interrogativi. E ieri Siniscalco in Parlamento è sembrato reticente sui probabili saldi 2005, sul tendenziale al netto delle una tantum e sul modo con cui queste stime vengono formulate. Vediamo perché. Siniscalco ha collocato il deficit 2005, al di sotto del 4 per cento. Di fronte alle domande della commissione ha anche fornito una stima puntuale: 3,75 per cento. Si tratta di previsioni, come è consuetudine, a legislazione vigente, dunque senza alcuna delle misure di riduzione dell’imposizione sul lavoro paventate in questi giorni anche come sgravi Irap, e senza incorporare gli effetti del possibile rinnovo del contratto del pubblico impiego (si rimane ai 95 euro previsti dalla Finanziaria). Dunque, la nuova stima rivede la precedente solo a seguito delle ultime previsioni di crescita dell’economia nel 2005, ora ridotte dal ministro (forse peccando ancora di eccessivo ottimismo) dall’1,2 allo 0,6 per cento.
Ma un rallentamento dello 0,6 per cento della crescita del Pil non può di per sé comportare un peggioramento del disavanzo così forte (l’elasticità apparente del disavanzo dovrebbe essere tra lo 0,5 e l’1 per cento, per ogni punto di crescita in meno ci potrebbe essere fino a un punto di disavanzo in più, mentre nelle stime della Trimestrale questa elasticità si collocava attorno allo 0,25 per cento). Cosa ha spinto il ministro a prevedere un peggioramento così sensibile dei nostri conti pubblici anche rispetto allo scenario più negativo prospettato nella Trimestrale di cassa? Oltre ai dati del primo trimestre, sono nel frattempo intervenuti altri fattori che legittimano una visione più prudente sullo stato dei nostri conti pubblici?

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Una forchetta retorica

Il sospetto è che la previsione della Trimestrale di cassa lungi dal costituire “un’analisi trasparente e completa” da aggiornare solo per la minore crescita, avesse introdotto la forchetta 2,9-3,5 per cento per il disavanzo 2005 solo come un artificio retorico, ben sapendo che le condizioni indicate affinché ci si collocasse sul limite inferiore erano tutte irrealizzabili. Considerava come incerti gli effetti negativi delle revisioni già decise da Eurostat e accettate dall’Istat (ad esempio, le Ferrovie o l’Anas) e non teneva conto delle possibili conseguenze delle ulteriori revisioni richieste da Eurostat e attualmente sub iudice (da Infrastrutture e Alta velocità a Scip, dal divario tra cassa e competenza alla vendita delle strade statali). Ecco un’altra possibile operazione verità: dove arriverebbe il disavanzo nel 2005 se la trattativa con Eurostat dovesse andar male?

Non è solo colpa della bassa crescita

In realtà, non tutti i problemi del nostro bilancio derivano dalla bassa crescita: la Germania era accreditata dalla Commissione europea in aprile di una crescita ancor più bassa della nostra nel biennio 2005-2006. Eppure la previsione per il disavanzo pubblico tedesco era di un sensibile miglioramento: quasi un punto di Pil in due anni. Per l’Italia, invece, la Commissione prevedeva un peggioramento del disavanzo di 1,6 punti in due anni, dal 3 al 4,6 per cento. Il fattore che pesa di più sulla nostra situazione è forse la politica di bilancio seguita in questa legislatura: quattro anni. trascorsi aspettando che l’economia si decidesse a crescere al 3,5 per cento l’anno (così immaginava il Dpef del 2001), tamponando intanto il disavanzo pubblico con interventi una tantum che, tra l’altro, hanno avuto effetti negativi sull’andamento di lungo periodo delle entrate.
Qual è davvero il saldo tendenziale al netto delle misure una tantum cui nel triennio 2001-2003 l’Italia ha fatto ricorso per 3,3 punti di Pil, al contrario di Francia e Germania che nello stesso periodo non ne avrebbero affatto utilizzate, come documentato in un recente studio dell’Ocse (1)?
Secondo la Corte dei conti, al netto degli effetti del ciclo e delle misure straordinarie il rapporto disavanzo/Pil è stato negli ultimi quattro anni in media pari al 4,3 per cento. È una stima verosimile? Nel 2004 la quota delle entrate sul Pil è per la prima volta scesa al di sotto del livello raggiunto nel 1996 e secondo le previsioni della Commissione europea nel 2005-2006 le entrate perderanno ancora 1,6 punti in quota del Pil, chiaro sintomo della debolezza della loro componente strutturale, non più compensata da introiti una tantum. Ben vengano i propositi di lotta all’evasione, ma quale è la loro credibilità dopo la serie di condoni con annessi scudi fiscali che ha depotenziato la capacità di contrasto dell’amministrazione finanziaria?
Bene chiarire questi interrogativi quanto prima. Anche perché, nell’audizione di ieri, il ministro ha voluto escludere manovre correttive per il 2005. Quali altre cattive notizie ci porterebbero a una manovra correttiva? Basterebbe, ad esempio, una conclusione del contratto del pubblico impiego attorno ai 115 euro, non lontano da quei 111 su cui si è già impegnato il Governo (e che dovrebbero comportare un aggravio di spesa di circa un miliardo di euro)? E se il Pil nel 2005 crescesse dello 0,1-0,2 per cento, come sembra oggi probabile, a che livello si collocherebbe il nostro deficit?  Il modo migliore per rassicurare i mercati consiste nel non apparire reticente garantendo che in futuro non sarà necessario avere nuove operazioni verità. Anche perché di verità ne esiste una sola. E due operazioni verità in dieci mesi per lo stesso Ministro sono troppe.

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(1) V. Koen e P. van den Noord, Fiscal gimmickry in Europe: One-off measures and creative accounting, Economics Department Working Paper, n. 417, OECD, febbraio 2005.

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Autostrada, oh cara

  1. Kerub

    sommando i contributi eventualmente peggiorativi, elencati nella trimestrale di cassa , mi pare che si arriva già a 3,97%:

    2,90 (DEFICIT MINIMO)
    0,23 (FS)
    0,14 (ANAS)
    0,35 (MIN.DIF.)
    0,10 (VINCOLO 2%)
    0,25 = (RINNOVI)
    ——————
    3,97

    Sbaglio qualcosa?

    • La redazione

      Sì, sbaglia qualcosa: l’ultimo termine (lo 0,25%) sarebbe migliorativo del disavanzo del 2005. Si riferisce infatti allo slittamento al 2006 dei rinnovi 2004-05 dei contratti dei dipendenti pubblici. Premettendo il segno meno al termine 0,25 si ottiene un totale di 3,47% ovvero circa 3,5% come si
      dice nella Relazione trimestrale. Le somme della Relazione, insomma, non sono sbagliate. Come si dice nel
      nostro articolo manca qualche addendo ulteriore.

      Cordiali saluti

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