L’unica garanzia di pluralismo è data da una vera frammentazione del controllo dei mezzi di informazione. Lo dimostra uno studio recente sul Perù di Alberto Fujimori. Attraverso una sistematica opera di corruzione, il presidente peruviano riuscì a imporre la sua volontà a parlamento e tribunali. Ma il regime cadde perché non ebbe altrettanto successo con i mezzi di comunicazione. La proprietà della stampa e della televisione non era infatti concentrata in poche mani. Controllarla interamente si rivelò impossibile, oltreché molto più costoso rispetto a giudici e politici.

Lavoce.info ha già affrontato a varie riprese il tema scottante del rapporto tra politica e mass media. In particolare, l’argomento è stato trattato dal punto di vista della political economy. (1)
In questo breve contributo, vorrei portare all’attenzione dei lettori un recente articolo di due economisti di Stanford, John McMillan e Pablo Zoido. Si tratta di un lavoro empirico notevole e allo stesso tempo agghiacciante.

Il Perù di Fujimori

Lo studio riguarda il regime di Alberto Fujimori, al potere in Perù dal 1990 al 2000. Nel 1990 il Perù disponeva di tutte le istituzioni tipiche di una democrazia moderna: una costituzione, elezioni, partiti di opposizione, separazione dei poteri e libertà di stampa. Dopo essere giunto al governo in seguito a libere elezioni, Fujimori intraprese un processo di sovvertimento sistematico delle istituzioni democratiche. Il suo braccio destro, Vladimiro Montesinos, formalmente a capo dei servizi di sicurezza, si occupava di elargire pagamenti periodici a una parte consistente degli esponenti più importanti del potere politico, del sistema giudiziario e dei mezzi di comunicazione. In cambio richiedeva fedeltà e favori. Ad esempio, l’appoggio del presidente della Corte suprema costava 35mila dollari al mese, mentre un politico dell’opposizione di primo piano vendeva la sua condiscendenza per uno stipendio mensile tra i 10mila e i 20mila dollari. Cariche di minore importanza si accontentavano invece di poche migliaia di dollari.
Questo processo sistematico di corruzione è venuto alla luce perché Montesinos teneva una meticolosa contabilità di tutti i pagamenti fatti. Spesso videoregistrava gli incontri con i corrotti (i cosiddetti “vladivideos”) e a volte chiedeva loro di firmare contratti scritti. Sulla base di questa documentazione unica, McMillan e Zoido hanno svolto un’analisi statistica del costo di “comprare una democrazia”. Da quest’analisi emergono due conclusioni.

Una formidabile difesa contro l’autocrazia

Montesinos sapeva che per instaurare una dittatura occorre neutralizzare gli strumenti con cui i cittadini controllano l’operato del governo. Con i politici e i giudici filò tutto liscio. Per comprare il controllo del potere legislativo, cioè una maggioranza stabile in parlamento, Montesinos spendeva meno di 300mila dollari al mese. Per il controllo di quello giudiziario, inclusa la Corte suprema e il tribunale con competenza sulle questioni elettorali, ne bastavano circa 250mila. Con queste somme il regime poteva imporre la sua volontà su parlamento e tribunali. Ne traeva beneficio in vari modi, per esempio modificando la costituzione, manipolando le elezioni e controllando l’assegnazione di contratti pubblici.
Montesinos ebbe molto meno successo con i mezzi di comunicazione. Quelli che soccombevano alle sue lusinghe chiedevano cifre decisamente più alte rispetto a giudici e politici: una rete televisiva ottenne 1,5 milioni al mese, cioè quasi tre volte l’ammontare pagato a tutti i giudici e tutti i politici. E non bastava. Una rete televisiva e alcuni giornali non accettarono mai tangenti e continuarono a fare il loro mestiere di informare la gente. Finalmente, nel 2000 il regime di Fujimori cadde sotto un’ondata di indignazione popolare, stimolata dagli scandali che giornali e televisioni rimasti indipendenti avevano portato alla luce. Il momento determinante si ebbe quando alcuni vladivideos caddero nelle mani di giornalisti e furono trasmessi dall’unica rete che era rimasta indipendente.
La mobilitazione popolare che ne seguì constrinse Fujimori e Montesinos a lasciare il potere e a fuggire all’estero.
La conclusione di McMillan e Zoido è che in Perù i mass media hanno giocato un ruolo ben più importante delle istituzioni tradizionali nel difendere e ripristinare la democrazia.

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Il pluralismo è la migliore garanzia di indipendenza

Dalla cella in cui sta scontando una serie di condanne ricevute dopo il ritorno della democrazia, Montesinos ha senz’altro il tempo di chiedersi che cosa sia andato storto. Lo studio di McMillan e Zoido gli fornisce una risposta. Sebbene si trattasse di un paese in via di sviluppo, il Perù godeva comunque di un certo pluralismo del mercato dei mass media. La proprietà della stampa e della televisione era piuttosto frammentata. Ogni volta che Montesinos riusciva a comprare il silenzio e il consenso di un’altra rete (o di un altro giornale), gli spettatori gli sgusciavano dalle grinfie e cominciavano a prendere le notizie da giornali e telegiornali rimasti indipendenti.
Il ruolo della televisione è stato particolarmente importante perché in Perù, come nel resto del mondo (tranne alcuni paesi dell’Europa del Nord), la maggioranza dei cittadini non legge il giornale. Montesinos si trovava di fronte ad almeno nove organizzazioni televisive indipendenti, di cui solo una di proprietà dello Stato. Riuscì a controllarne otto, ma la nona, Canal N, una rete commerciale dedicata unicamente all’informazione, continuò imperterrita a dire la verità ai peruviani. Canal N non è un’organizzazione con scopi idealistici ma appartiene a un piccolo gruppo privato peruviano. Evidentemente i proprietari si resero conto che dire la verità quando gli altri tacevano era un’ottima strategia di crescita commerciale.

E in Italia?

A noi non resta che sospettare che Montesinos abbia scelto il paese sbagliato. Le sue chance sarebbero state decisamente più alte se avesse attuato il suo piano in una nazione con un duopolio televisivo. Il pluralismo può avere due significati: molte voci o molti proprietari. 
L’esperienza peruviana dimostra che il primo tipo di pluralismo è un effetto del secondo. La radice dei problemi italiani è la forte concentrazione della proprietà. Il fatto che Rai e Mediaset offrano informazione incompleta e di parte è solo un sintomo, che sotto il governo Berlusconi ha assunto forme grottesche, ma che esisteva in buona sostanza anche prima e che -non illudiamoci- persisterebbe, in modi diversi, anche qualora Berlusconi lasciasse. Cercare di agire sul sintomo dettando regole per la produzione di informazione non serve a molto. Impariamo da Montesinos: l’unica vera garanzia di indipendenza viene solo da una drastica frammentazione della proprietà delle reti televisive.  

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Per saperne di più

John McMillan e Pablo Zoido, “How to subvert democracy: Montesinos in Peru”, Journal of Economic Perspectives, volume 18, numero 4, Autunno 2004, pp. 69—92.

(1) Si vedano ad esempio i contributi di Panunzi e Puglisi, Polo, Zingales e Galasso.

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