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Prof. Siniscalco, rifletta

Tanti episodi portano a una sola conclusione: in questo esecutivo un ministro tecnico serve ormai solo a impedire il controllo democratico degli elettori e a coprire di fronte ai mercati scelte di politica economica avventurose. Siniscalco non solo non ha oggi il potere di stabilire l’agenda di politica economica, ma neanche quello di veto. Altri sembrano decidere per lui. Ne risente anche la qualità degli interventi, come si preannuncia per l’Irap e come è già accaduto con la riforma dell’Irpef. La risposta del ministro Domenico Siniscalco. Una lettera del vicepresidente del Consiglio Giulio Tremonti.

Professor Siniscalco, rifletta

Tecnici e politici

I tecnici nel campo dell’economia che si pongono al servizio della politica svolgono due funzioni fondamentali. Primo, aiutano a mettere in luce i vincoli che stanno di fronte alle scelte di politica economica e a curare i dettagli permettendo che i provvedimenti siano coerenti e ben disegnati rispetto alle finalità stabilite dalla politica. Secondo, i tecnici, in quanto vincolati a un preciso obiettivo istituzionale, come la tutela della trasparenza dei conti pubblici e il rispetto dei trattati sottoscritti dal nostro paese, possono resistere alle pressioni di breve respiro della politica, impedendo che questa conduca a scelte che si rivelerebbero incoerenti con quegli stessi obiettivi.
Nella congiuntura attuale e alla luce dello stato precario dei nostri conti pubblici, ci sarebbe davvero bisogno di persone che svolgano queste funzioni. L’ampliarsi dello spread fra Btp e Bund segnala che i mercati sentono forte il bisogno di garanzie. Ma diversi episodi fanno pensare che oggi nell’esecutivo non ci siano più spazi per esercitare queste funzioni. Il ministro Siniscalco, spesso si autodefinisce un tecnico. Ma oggi non ha più la possibilità di decidere l’agenda di politica economica del Governo. Ha perso anche il potere di veto. Meglio forse allora avere un ministro politico che giochi allo scoperto. Almeno sarebbe direttamente responsabile di fronte agli elettori e ai mercati.

Tanti, troppi episodi

Che in questo Governo non ci sia spazio per le competenze tecniche è dimostrato dalle tante nomine varate in questa legislatura, dai vertici della Consob, ai consiglieri Antitrust, a quelle lottizzate dei consiglieri Rai. Alcune di queste nomine sono state varate con il suggello dello stesso ministro dell’Economia. Come l’operazione che ha portato all’allontanamento di Vittorio Mincato dai vertici dell’Eni e alla costituzione di un consiglio d’amministrazione dell’azienda petrolifera in cui nessun consigliere di nomina governativa ha alcuna esperienza in tema di energia. Basta la vecchia politica per un risultato del genere: non abbiamo bisogno di un “tecnico”.
Siniscalco ha anche lasciato vacante per dieci mesi il posto di Direttore generale del Tesoro. Quando si è deciso a trovare un sostituto, lo ha fatto consentendo che la Ragioneria generale dello Stato si privasse di una guida autorevole, in grado, anche per i rapporti di Vittorio Grilli con il Quirinale, di meglio resistere alle pressioni dei politici. Si noti che solo un mese fa Siniscalco aveva negato risolutamente la possibilità di questo avvicendamento alla guida della Ragioneria.

Conti poco trasparenti

Siniscalco si era presentato con un’operazione verità sui conti pubblici ed eravamo stati i primi a complimentarci con lui per questa scelta di rottura nei confronti delle pratiche del suo predecessore. Ma ha poi presentato dati incompleti nella Trimestrale di cassa, formulando per la prima volta una forchetta di stime sul deficit 2005 anziché una stima puntuale. Per poi contraddirsi con una nuova operazione verità nella sua audizione parlamentare della scorsa settimana, in cui ha di fatto ammesso che la forbice era solo un artificio retorico per mascherare lo sforamento del tetto del 3 per cento. Del resto, due operazioni verità per uno stesso ministro sono troppe. Significa che a un certo punto la verità non si è detta. La recente bocciatura Eurostat può aggravare il sospetto che i conti non siano sotto controllo: era dal 1995 che il rapporto debito/PIL non aumentava.

Nessun potere di veto

A novembre Siniscalco ha dovuto accettare, obtorto collo, una manovra di riduzione dell’Irpef che non voleva. Anche in questo caso, eravamo stati i primi a sostenerlo nel suo richiamo allo stato dei nostri conti pubblici. La resa è stata poi su tutti i fronti: la manovra sull’Irpef non è stata elaborata dai tecnici del ministero, ma dagli esperti economici dei partiti. Il risultato è stata una manovra pessima, indipendentemente da ogni considerazione sulla validità o la tempestività dell’intervento. Il conflitto politico tra Forza Italia, che voleva una forte riduzione delle aliquote, e An e Udc che chiedevano invece una manovra attenta alle esigenze delle famiglie, ha generato, alla fine di un lungo braccio di ferro, un improbabile connubio tra deduzioni per gli oneri familiari decrescenti nel reddito e variazioni nelle aliquote per i vari scaglioni. Con la conseguenza di dar luogo ad aliquote effettive marginali d’imposta erratiche e altalenanti, con punte elevate in corrispondenza dei livelli bassi di reddito. Un pasticcio degno di un paese sottosviluppato, piuttosto che di una moderna economia avanzata. Nessun tecnico decente (e ce ne sono molti di bravi nel ministero dell’Economia), lasciato a se stesso, avrebbe mai avvalorato un simile intervento. Con un po’ d’attenzione, le stesse finalità distributive e di gettito avrebbero potuto essere ottenute introducendo minori distorsioni nell’imposta.

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Un ministro commissariato

Da ultima vi è la previsione di un “comitato politico ristretto” che dovrebbe affiancare il ministro nel definire la copertura della manovra sull’Irap. Il comitato sarà formato da esperti economici di tutti i partiti dell’attuale maggioranza. Certo, la scelta degli interventi è eminentemente politica. Tuttavia, la costituzione di quest’organismo ha il sapore di una messa sotto tutela politica del ministro. Speriamo che questo si limiti alla sola determinazione degli indirizzi generali degli interventi, senza sconfinare nella stesura dei dettagli degli interventi stessi. C’è il rischio che l’ingerenza della politica in questa fase produca di per sé una bassa qualità tecnica dei provvedimenti, così come è avvenuto con l’ultima riforma Irpef. Se ciò si ripetesse con l’Irap, le conseguenze sarebbero gravi. Come ricordato in recenti contributi, interventi sull’Irap, anche solo su parte della base imponibile, sono comunque destinati a generare importanti effetti redistributivi, sui prezzi, sulla traslazione dell’imposta, sulla finanza regionale, sulla coerenza del sistema tributario complessivo, che devono essere attentamente valutati per definire gli interventi appropriati di copertura. Affidare questi giudizi tecnici a un gruppo di politici interessati soltanto al proprio guadagno elettorale di breve respiro è molto pericoloso. Ricordiamo che si tratta di interventi cospicui: fino a 15-16 miliardi di euro per il prossimo triennio.

Quindi?

Ci troviamo dunque di fronte a una situazione paradossale e inquietante. Abbiamo un ministro dell’Economia “tecnico”, che è ora chiamato solo a coprire di fronte agli elettori e ai mercati scelte compiute da altri. Si dice che sia il predecessore di Siniscalco, Giulio Tremonti, a decidere di nuovo in via XX Settembre. Non ne sentivamo la mancanza. Ma se è davvero lui a decidere, è bene che lo faccia apertamente, prestandosi al vaglio degli elettori e difendendo le proprie scelte di fronte alla Commissione europea e agli investitori. E se la presenza di Siniscalco può servire, prima facie, a rassicurare i mercati, a questi ultimi non può sfuggire chi davvero tiene le redini della politica economica. Forse è il tempo di riflettere, caro Professore.

La risposta del ministro Siniscalco

Martedì 24 maggio, lavoce.info ha pubblicato un articolo che solleva la questione del mio ruolo all’interno del Governo. Rinviando ad altra discussione le molte questioni specifiche su cui non sono d’accordo, vorrei sollevare due punti principali di dissenso.
Primo tema: la descrizione del “ministro tecnico”, che apre l’articolo del 24 maggio, è una caricatura che ignora totalmente la natura del processo decisionale in un Governo. Il ministro dell’Economia, tecnico o politico, non è un eremita che sta seduto in via XX Settembre, limitandosi a segnalare vincoli, produrre conti trasparenti, calare veti all’occorrenza. Partecipa a un dibattito continuo nel Governo e in Parlamento, ove si compiono scelte democratiche e non tecnocratiche, spesso combattute e frutto di ampio dibattito e compromesso. Le decisioni possono essere, ovviamente, di diversa qualità. Ma lo stereotipo di ministro tecnico descritto non esiste in natura e certamente non corrisponde al mio modo di lavorare.
Secondo tema: il ministro dell’Economia, come compito principale e soprattutto come prima occupazione, formula una politica economica e la sottopone al Consiglio dei ministri, al Parlamento, all’opinione pubblica, ai mercati. A cui risponde. In questo contesto è ovvio che la politica economica, appropriata o sbagliata che sia, non è la somma di atti più o meno ben riusciti in base a canoni accademici, né di schede tematiche settoriali tramutate in legge. È una direzione di marcia complessiva per affrontare i problemi del paese. L’anno passato, il nostro paese ha approvato una riforma della previdenza che ha reso sostenibile il debito pubblico nel lungo periodo; ha realizzato un forte contenimento della spesa corrente, soprattutto per consumi intermedi e finali, evidenziata proprio nella Trimestrale di cassa; ha introdotto una regola di contenimento della spesa corrente across the board; ha chiuso la stagione dei condoni fiscali e aggiornato gli studi di settore; spinto le privatizzazioni. Tutto ciò per assicurare un bilancio strutturale ragionevole ove spesa ed entrate decrescono in modo sostenibile.
Quest’anno, il paese si trova a fronteggiare una brusca accelerazione di mali antichi: la bassa dinamica della produttività e della crescita nel settore privato; le compatibilità finanziarie del bilancio pubblico in un contesto di crescita nulla o negativa; delicate situazioni industriali e complesse vicende nel settore creditizio. Per affrontare tali questioni servono senz’altro misure puntuali.
Ma occorre soprattutto una politica economica condivisa che dia a tutti gli agenti privati un segnale per muovere nella giusta direzione. Una direzione che discuto con i miei colleghi ministri, con la Commissione europea, con le agenzie di rating e gli investitori, e cerco di mettere in pratica tra i molti vincoli. Sinceramente, con i miei colleghi economisti vorrei discutere di questa politica economica. Fatta di decisioni e responsabilità.

Una lettera del vicepresidente del consiglio Giulio Tremonti

Pubblichiamo questa lettera del vicepresidente del consiglio, Giulio Tremonti, di cui abbiamo appreso dai giornali.  Pur essendo a noi indirizzata, non ci è mai stata recapitata. La pubblichiamo comunque per informare i lettori.  Ci offre l’occasione per precisare che è stato il ministro Siniscalco, non noi, ad evocare la figura del ministro tecnico, definendo il proprio ruolo in più occasioni come segue : “Della politica non mi interesso. Ho detto fin dall’inizio che avrei svolto il mio ruolo di ministro da tecnico e questo sto continuando a fare.”  Giusto invece avere ministri politici, responsabili delle loro azioni di fronte agli elettori.  Bene che siano anche competenti.  Combinazione rara, ma non impossibile.  Noi, come sempre, li giudicheremo in base ai risultati.  Come abbiamo già fatto tracciando a suo tempo un bilancio articolato del ministero Tremonti.


Signori Professori, non Vi avrei risposto, se non mi aveste tirato in ballo, prima come ministro dell’Economia e delle Finanze e poi come vicepresidente del Consiglio dei ministri. La mia risposta, appunto:

a) secondo Voi un ministro tecnico non solo potrebbe esistere, ma dovrebbe “decidere l’agenda di politica economica” ovvero, in alternativa, “esercitare il potere di veto”. Senza questi poteri (di decisione o di veto), il ministro tecnico, per il solo fatto di esistere, impedirebbe il “controllo democratico (sic!) degli elettori”.
A me questo sembra un ragionamento piuttosto suicida, sul piano logico, e piuttosto strano, sul piano democratico. Dallo Statuto albertino, in poi, quelle da Voi indicate sono infatti tutte funzioni essenzialmente ed esclusivamente politiche. E’ così che la figura del ministro tecnico integra un caso in cui l’aggettivo cancella il sostantivo. E viceversa. Una siffatta figura semplicemente non esiste, nella Costituzione della Repubblica Italiana (artt. 92-96).
In ogni caso, quella del ministro tecnico, da Voi idealizzata, e perché no per proiezione sognata (e ditelo!), mi pare una figura professionale su cui c’è una “letteratura” vasta, ma non positiva. Ed anzi spesso insospettabilmente violenta. Benedetto Croce si pronunciò contro: “l’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli: una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese; un ideale che mai la storia ha attuato e nessuna voglia mostra di attuarlo”. Poi Luigi Einaudi ha scritto: “A farlo non sono competenti gli specialisti ed i “competenti”. Costoro hanno un ben diverso compito: quello dell’esecuzione… sono disadatti, perché guardano ad un solo aspetto della questione; mentre, anche nelle questioni minime, bisogna guardare al complesso. Per gli esperti, per la burocrazia, il paese è materia da manipolare, è carne da macello; non anima da plasmare e da educare”;

b) non entro nel merito delle Vostre analisi “tecnopolitiche”. Non lo faccio per noia sopravvenuta e per coerenza con quanto segue. Ho terminato la mia attività di ministro con la riforma delle pensioni, calendarizzata per il voto finale in Parlamento proprio nei giorni delle mie dimissioni. Ora mi occupo soprattutto di politica. Esercizio di carattere generale questo che, nel tempo presente e futuro, in Italia ed in Europa, trovo enormemente interessante e spero utile per il mio Paese.
Per quanto riguarda infine il Vostro invito a “prestarmi al vaglio degli elettori”, mi permetto di informarVi che io l’ho già fatto. E che lo rifarò.

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La risposta del ministro

  1. Luca Cifoni

    A differenza di quanto appare dal comunicato Eurostat, il 2004 non dovrebbe essere l’anno in cui il rapporto debito/Pil torna a crescere. Infatti il Tesoro in sede di trimestrale ha operato una revisione del debito 2003, che nei prossimi giorni saà probabilmente ufficializzata dall’Istat. Per quell’anno il rapporto viene rivisto verso l’alto di 3 decimi, al 106,6. Aggiungendo l’effetto Eurostat si arriva a 106,8, che resta superiore al 106,6 del 2004. A meno di ulteriori correzioni. Ciò naturalmente non cambia di molto la situazione, che resta quella che è.

  2. Guido Meak

    Scusate ultimamente vi ho letto poco e forse ho perso il filo di qualche discorso. Mi pare che l’attuale governo rispecchi con fedelta’ il dramma della nostra societa’ italiana: una generalizzata latitanza di strategia e una persistente assenza di visione. Queste, esattamente come fuori dai Palazzi, unite per fortuna allo sporadico presentarsi di singoli estri.
    Poiche’ mi pare che si stia seguendo un sentiero di peggioramento, essendosi l’attuale governo ulteriormente allineato al ribasso rispetto al suo quasi-clone dei mesi scorsi, non sono sicuro di capire le ragioni di questa forte presa di posizione della vostra Redazione che a molti potrebbe sembrare un attacco personale anziche’ un sostegno. Vogliamo forse dare un’ennesima martellata alle capacita’ (anche di rappresentarci degnamente all’estero) espresse dal nostro esecutivo? Pare.
    Condivido p-i-e-n-a-m-e-n-t-e la vostra sensazione di saturazione e addirittura auspicavo un vostro grido. Ma io leggo nelle vostre righe quantomeno un: “La situazione e’ un disastro, Prof. Siniscalco lascia perdere.” Quando invece avrei voluto leggere un: “La situazione e’ un disastro, Prof. Siniscalco, c’e’ bisogno che tu vada avanti se riesci con piu’ determinazione. Noi (voi) economisti sosterremo ogni volta che potremo le tue scelte piu’ coraggiose, forza!”.
    Ma ripeto, forse ho perso qualche episodio, o forse non sono abbastanza attento da capire tutte le sottigliezze. In questo caso mi scuso.

    • La redazione

      Grazie. Contrariamente a quanto riportato da diverse testate, non abbiamo affatto invitato Siniscalco a dimettersi. Abbiamo segnalato un problema a nostro giudizio molto grave che non deve rimanere sottaciuto. Spetta al ministro, se lo riterrà, trovare il modo più appropriato per affrontare il problema. Lo giudicheremo, come sempre, sulla base dei risultati.

      Cordiali saluti

  3. gianni vaggi

    Cari amici de ‘La Voce’
    la richiesta di riflessioni al collega ed amico Ministro Domenico Siniscalco si potrebbe accompagnare ad una proposta, semplice, banale, ovvia. E cioè che la recente riforma dell’IRPEF venga azzerata, insomma riconoscere è stato un errore, frutto forse di demagogia o chissà che altro, certo non di buona economia. Perché non mi pare si trovi in alcun economista, più o meno ortodosso, che una riforma dell’imposta sul reddito delle persone che introduce significativi elementi di regressività, quindi beneficiando i redditi più elevati, abbia la capacità di rilanciare i consumi e la domanda.
    La manovra non è stata di poco conto poiché ha rappresentato comunque circa lo 0.5% del PIL. In un’economia con un rapporto debito PIL al 106% e un deficit abbondantemente al di sopra del 3% una manovra di tali dimensioni potrebbe essere utilizzata meglio. Vi sono almeno quattro possibilità.
    a. La riduzione del cuneo fiscale fra costo del lavoro e salario.
    b. La riduzione dell’IRAP.
    c. Una riforma dell’IRPEF mirata al sostegno dei redditi medio bassi.
    d. Non fare nulla, così almeno non peggiorava il deficit.
    In qualunque caso la riforma del 2004 andrebbe azzerata. Dovrebbe essere ovvio non perché l’economia serva la ‘verità’, questo sarebbe troppo, ma almeno perché spesso serve a fare di conto.
    Posso capire che suoni come una provocazione, eppure tutti sanno che la manovra è passata perché si è ‘impuntato’ Berlusconi, con forti dubbi e contrasti in AN e UDC, ma alla fine è stata approvata, come tante altre misure in questo parlamento. Difficile che Primo Ministro, Governo e maggioranza tornino indietro e quindi ammettano l’errore, ma ciò non toglie che questa possa essere l’indicazione di un ‘tecnico decente’, ripeto non per amore di verità, ma per esigenza di ‘non-menzogna’, che è cosa più limitata. Certo parlare di aumentare le tasse può essere impopolare, ma ci sono tasse e tasse, e poi in molti paesi questo è stato accettato, anche da noi, vedi la prodiana Eurotassa, dipende dall’obiettivo che ci si da. Semmai lasciamo che siano i politici e non gli economisti, tutti decenti, a dire che le tasse vanno sempre e solo ridotte.
    Una chiosa. Alla luce di quanto sopra non credo che sottoscriverei una riforma dell’IRPEF che abbia ‘le stesse finalità distributive’ di quella approvata dal governo Berlusconi. La manovra non serve al rilancio dell’economia e peggiora la distribuzione del reddito, come molti dei contributi da voi pubblicati mostrano, in particolare quello di Vincenti. Non è solo un problema di efficienza, erraticità delle aliquote e distorsioni, c’è un chiaro problema di re-distribuzione verso i ricchi. E forse sarebbe ora che anche la distribuzione del reddito tornasse a reclamare la sua parte nel dibattito economico.

    Gianni Vaggi
    Università di Pavia

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