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Perché il software non ha bisogno del brevetto

Il software è un’opera dell’ingegno, tutelata dal diritto d’autore. Non serve permetterne la brevettazione, come si chiede ora anche in Europa sull’esempio americano. Intanto, il brevetto è uno strumento sempre meno utile a incentivare l’innovazione. Nel caso del sofware non accelera il processo di diffusione delle conoscenze né ci sono da ripagare ingenti investimenti iniziali. Infatti, vi si affidano soprattutto le imprese più grandi e meno innovative, spesso con l’intento di bloccare le invenzioni altrui, più che di proteggere le proprie.

Il software è un’opera dell’ingegno, tutelata dal diritto d’autore (copyright). Viene inoltre commercializzato con un nome o marchio depositato: oggi quindi un’impresa che sviluppa software è già protetta dal diritto d’autore e dalla legge sui marchi industriali. Negli Usa, a partire dalla fine degli anni Ottanta, si è ritenuto di permettere anche la brevettazione del software: proteggere quindi non più solo il programma (la forma nella quale è scritto), ma anche la funzione che assolve. L’Europa si sta interrogando sull’opportunità di seguire gli Usa su questa strada. Tra i motivi che inducono a rispondere negativamente si intrecciano sia ragioni generali che rendono il brevetto in sé uno strumento sempre meno utile a incentivare l’innovazione, sia ragioni specifiche che rendono il software inadatto al brevetto.

Le ragioni del brevetto

La concessione del brevetto è finalizzata a incentivare l’innovazione, che viene remunerata dai profitti monopolistici, e ad accelerare il processo di diffusione delle conoscenze, tramite il disvelamento, o “rivelazione dell’insegnamento inventivo” contestuale al deposito del brevetto.
Entrambe queste motivazioni sociali sembrano mancare nel caso del software. L’equazione “maggiore protezione uguale maggiore incentivo a innovare” solitamente non vale se le innovazioni hanno natura sequenziale (ovvero si appoggiano su innovazioni precedenti, avendo carattere complementare o incrementale): ampliare la protezione può avere un effetto deterrente superiore all’effetto incentivante (si incentiva il primo innovatore, ma si disincentivano i potenziali innovatori successivi). Riguardo al disvelamento, la brevettazione del software così come intesa negli Usa permette all’innovatore di depositare il software senza svelarne il codice sorgente. È quindi scarso il beneficio che la società riceve come corrispettivo alla concessione del monopolio. Il brevetto ricompensa chi ha ottenuto l’innovazione impiegando ingenti risorse in un progetto complesso e rischioso, investimenti che necessitano di anni di protezione monopolistica per essere recuperati (per esempio, nel settore farmaceutico). Lo sviluppo di soluzioni software non ha questi requisiti. Risolvere un problema con un algoritmo richiede delle valutazioni astratte e capacità creativa, non investimenti. Anche per questo è stato finora escluso dalla brevettabilità, come gli algoritmi matematici. Inoltre, la complessità dell’oggetto software è tale da non consentire un facile giudizio sia in sede di deposito del brevetto, sia in caso di contenzioso: difficilissimo accertare i requisiti di novità e non ovvietà, necessari perché il brevetto sia valido. Negli Usa, visto che l’Uspto si finanzia con le tasse di deposito, il brevetto viene concesso praticamente sempre, e la sua validità viene valutata in tribunale, dove il detentore si ritiene autorizzato a trascinare coloro che considera illegali imitatori. L’esplosione della litigiosità brevettuale – che non riguarda solo il software – costituisce un problema economico rilevante: le risorse spese nel deposito di brevetti inutili e nelle cause legali da questi generate sono spese di rent-seeking che non creano alcun valore per la società. Uno spreco di risorse di cui beneficiano solo gli studi tecnico-legali. (1)

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A chi è utile

La natura burocratica e costosa dell’attività di brevettazione fa sì che a essa si affidino soprattutto le imprese più grandi e – paradossalmente – meno innovative, spesso con l’intento non di proteggere le proprie invenzioni, ma di bloccare quelle altrui. La possibilità di essere trascinati in costose cause legali è in grado di scoraggiare sia le numerose piccole imprese che operano in ambito proprietario, sia la miriade di operatori che collaborano al circolo virtuoso dei progetti Open Source. L’incertezza, i lunghi tempi dei processi e l’impegno finanziario sono un’arma nelle mani delle grandi imprese detentrici di brevetti (validi o no), per indurre altre imprese ad accettare accordi extragiudiziali che possono anche implicare restrizioni della concorrenza. La legislazione sul diritto di proprietà intellettuale deve essere chiara e ridurre le incertezze. La concessione di brevetti dalla validità opinabile non va evidentemente in questa direzione.
In Europa ci sono poche grandi case di software che non siano distributrici o sussidiarie di grandi imprese americane. Queste non aspettano altro che l’estensione dei propri brevetti ai paesi europei. A desiderare un esito simile, possono essere solo la potente lobby degli avvocati o i funzionari dell’European Patent Office (Epo), i quali hanno pensato bene di organizzare, il 30 marzo 2005, un Information Day presso il Parlamento europeo.
http://events.european-patent-office.org/2005/0330/ Tra le motivazioni della “urgenza” della brevettabilità del software ve ne è una davvero singolare: il Parlamento europeo deve legiferare in proposito, perché ormai l’Epo ha già concesso più di 30mila brevetti in ambito software (in palese violazione della normativa vigente: “la prassi ha ormai scavalcato i vincoli normativi”). Resta da vedere se il Parlamento è ancora sovrano, o deve limitarsi a recepire le pressioni dei lobbisti avvallandone i comportamenti mediante modifiche legislative che ne sanino gli abusi.

Per saperne di più

Sul ruolo controproducente dei brevetti, si veda J. Bessen- E. Maskin (2000), “Sequential innovation, patents, and imitation”, Working Paper del Mit: http://www.researchoninnovation.org/patent.pdf .

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(1) Per rendersi conto direttamente dell’esplosione del numero dei brevetti depositati negli Usa senza avere i requisiti di novità e non ovvietà, si può consultare il sito ufficiale Uspto: http://patft.uspto.gov/netahtml/search-adv.htm facendo una ricerca con parole chiave come “computer” o “internet”.

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Sommario 15 giugno 2005

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L’Agenzia e la base imponibile delle addizionali locali

  1. Federico Morando

    Cari Professori,
    Concordo sul fatto che l’applicazione degli attuali brevetti al campo del software risulterebbe (e già risulta, negli USA) azzardata se non controproducente, ma non pensate che uno strumento di tipo brevettuale, ma con durata commisurata ai ritmi di innovazione dell’industria informatica (2-3 anni, max. 5) ed abbinata a precisi obblighi di disclosure (API, protocolli di comunicazione e -dopo un certo periodo- codice sorgente), potrebbe rendere questo settore sia più innovativo che più aperto all’innovazione incrementale?
    Il software è oggi protetto in modo significativo dal segreto industriale (forse più che dal copyright): se si ritornasse alla filosofia del brevetto -monopolio temporaneo in cambio di informazione diffusa- forse si potrebbero ottenere risultati positivi… e positivi anche per le piccole aziende innovative, che oggi le grandi multinazionali del software possono tranquillamente “clonare funzionalmente”, purché abbiano abbastanza programmatori [magari non innovativi, ma competenti].
    [Dal punto di vista teorico, penso a degli argomenti tipo quelli di Samuelson, Davis, Kapor e Reichman (1994): “A Manifesto Concerning the Legal Protection of Computer Programs”, Colum. Law Rev.. In poche parole, il punto è che il copyright non protegge le vere fonti di valore -di tipo funzionale, non espressivo- dell’innovazione attuata via software e spinge ad operare compensazioni in direzione di limitazioni alla decompilazione e simili… Il tutto a discapito dell’innovazione incrementale, che giustamente pare una preoccupazione centrale in questo articolo.]
    Distinti saluti,
    Federico Morando

    • La redazione

      Gentile signor Morando,
      nel suo commento sono sollevati diversi punti che meritano
      ciascuno adeguata risposta:

      1) Suggerisce per il software una protezione brevettuale di durata inferiore ai 5 anni.
      Certamente concordo nell’auspicare tutele di minore durata, ma non solo per il software, e non solo per il brevetto. Ad esempio, non vi è alcuna giustificazione di efficienza che possa spiegare il recente allungamento da 50 a 70 anni dalla morte dell’autore della protezione assicurata dal copyright. Se proprio dovessimo avere una legge che consente il brevetto, allora meglio che questo sia breve. Nel caso del software restano però due problemi molto rilevanti:
      a) a causa delle esternalità di rete e degli effetti di lock in,
      anche pochi anni di esclusiva nella commercializzazione di un prodotto possono tradursi in una posizione dominante duratura;
      b) le argomentazioni da noi esposte sulla difficoltà di accertare i requisiti di novità e non ovvietà delle innovazioni software, sia per l’ufficio brevetti sia per un tribunale, restano valide ed invitano alla massima cautela.

      2) Propone di condizionare la concessione del brevetto sul software a disclosure su API, protocolli di comunicazione e codice sorgente: un monopolio temporaneo in cambio di informazione diffusa è meglio del segreto se vogliamo un rapido progresso tecnico.

      Anche qui concordo sul fatto che, se la società assegna un potere di monopolio, debba almeno avere in cambio la distribuzione dell’informazione adeguata a riprodurre l’invenzione.
      Ma restano comunque almeno due evidenti obiezioni:
      a) il segreto resta sempre e comunque una opzione disponibile. Non si può imporre a un programmatore di brevettare, così come non si può imporre alla Coca Cola di brevettare e rendere pubblica la ricetta segreta della sua bevanda.
      b) non concordo comunque sul fatto che il brevetto stimolerebbe l’innovazione. Occorre chiarire cosa si intende per software.
      Attualmente, negli USA vengono depositate come innovazioni tutelate dal brevetto delle funzioni specifiche, come ad esempio le Macro, la Fat o le DLL. Se si permette di brevettare tante singole funzioni, che in qualsiasi applicativo sono presenti anche a centinaia, allora chiunque voglia realizzare software viene trascinato su un campo minato. Il programmatore open source o la piccola impresa che opera anche in ambito proprietario sono condannati alla paralisi, poiché solo con estrema difficoltà potrebbero sia ricercare ex ante (prima di sviluppare un nuovo programma) se ci siano brevetti che coprano ogni singola possibile funzione che intendono utilizzare, sia sostenere ex post eventuali cause legali per infringement.

      3) Sostiene che la tutela del copyright non protegge le vere fonti di valore – di tipo funzionale, non espressivo- del software e spinge ad operare compensazioni in direzione di limitazioni alla decompilazione e simili… il tutto a discapito dell’innovazione incrementale.

      Verissimo. Ma viviamo in un mondo imperfetto. Meglio un sistema in cui la protezione riguarda correttamente la funzione e non la forma, ma che nella pratica arricchisce gli avvocati e gli studi tecnico-legali, attraverso l’esplosione di una litigiosità incomprimibile, o un sistema che tutela la forma espressiva, è talvolta soggetto a inefficienti forme di mascheramento anti-decompilazione, ma che ha il pregio di non bloccare l’innovazione? L’attività di programmazione è in larga parte un’attività creativa, se non proprio artistica. Brevettare le funzioni é come brevettare una progressione armonica, o una operazione matematica.
      Immaginiamo un musicista o un matematico che, prima di creare debba accertarsi che nessuno prima di lui abbia usato una sequenza di note o una sequenza di operazioni… Proprio nell’articolo da lei citato si suggerisce che vi sarebbero ottime opportunità di profitto per chi dovesse gestire i dabatase da consultare a tale scopo. Il fattore che nonostante tutto ci
      fa propendere per il copyright piuttosto che per il brevetto è la certezza del diritto. Relativamente facile accertare la lesione di un copyright.
      Arduo e incerto l’accertamento dei requisiti di brevettabilità.

      Raimondello Orsini

  2. Giacomo Cosenza

    Egregi Professori, in primo luogo grazie per avere posto all’attenzione dei vostri lettori un tema di non facile comprensione per i non addetti ai lavori, ma tanto importante per il nostro futuro. La scorsa settimana sono stato a Bruxelles come rappresentante di un gruppo di PMI che opera nel comparto ICT per parlare direttamente con i MEP italiani di tutti gli schieramenti e raggruppamenti politici. La situazione e’ molto confusa e credo che il vostro diretto interessamento possa contribuire a fornire importanti e auterovoli elementi ai nostri MEP per una corretta valutazione della problematica in questione. Tenete pero’ presente che l’argomento risulta di particolare complessita’, anche linguistica e terminologica, da avere richiesto circa 250 emendamenti della direttiva. Ieri si e’ svolto, con modalita’ quantomeno sui generis, la votazione in Commissione Giuridica presieduta dall’On Giuseppe Gargani. Non volendo entrare in questo contesto nel merito dei singoli emendamenti passati e di quelli bocciati, sappiate solamente che le multinazionali che sostengono la brevettabilita’ del software (molte delle quali, e sono americane, detengono la maggior parte dei 30 mila brevetti software illegali con la precedente normativa) hanno salutato con molta soddisfazione il risultato della votazione in commissione.
    Il 5 o il 6 luglio ci sara’ la votazione in plenaria a Strasburgo e vi sollecito quindi a fare il possibile per comunicare in tempo utile ai nostri MEP il vostro prezioso punto di vista. Allo stesso tempo, proprio per la numerosita’ degli emendamenti e la “raffinatezza” terminologica utilizzata, vi consiglio di confrontarvi con http://www.ffii.org e di contattare la rappresentanza italiana di questa fondazione nella persona del Dott. Marco Menardi (mmenaz@mail.com). Mi e’ stato chiesto proprio questa sera di tornare a Bruxelles per 4/5 giorni per continuare l’azione di sensibilizzazione dei MEP sui rischi che si corrono con la brevettabilita’ del software. Potete contattarmi per qualsiasi delucidazione e approfondimento al mio indirizzo di email (giacomo.cosenza@sinapsi.com).

    Non credo abbiate problemi a reperire i riferimenti telefonici e di posta elettronica dei MEP Italiani. Nel caso fatemi sapere e ve li passero’ io.

    Concludo con un ringraziamento di cuore per quella che sembra essere una delle rare e spero non ultime occasioni, in cui la ricerca accademica economica si coniuga e da direzione strategica al tessuto economico e imprenditoriale nazionale ed europeo.
    Giacomo Cosenza
    p.s.
    Vi leggo sempre con molto interesse e la vostra Voce cotribuisce costantemente ad arricchire di spunti e riflessioni il nostro agire in un contesto ambientale che tutto incentiva, meno che lo spirito imprenditoriale e innovativo.

  3. Angelo Mondati

    Come viene spiegato nell’articolo il software è un’opera dell’ingegno e uno stesso risultato ,che visivamente sembra identico, può essere ‘descritto’ da un programma sviluppato sia con linguaggi diversissimi che con tecniche e istruzioni ugualmente diverse.
    Come è possibile accettare di poter brevettare ,ad esempio, il click del mouse su di una immagine per vederne la versione ingrandita ? Questo risultato può essere raggiunto in svariati modi e da migliaia di programmatori indipendenti uno dall’altro. Oppure brevettare la funzione generica di editor di testi. E’ inconcepibile.
    Le grandi software house, grazie alle loro risorse, avrebbero vita facile e potrebbero anche campare di rendita. D’altro canto si aprirebbe la possibilità che qualcuno brevetti una funzione insignificante, in sordina, per poi magari richedere le royalties agli sventurati che, inconsapevolmente, hanno, creato individualmente quella funzione.
    Il copyright e le varie tipologie di licenze esistenti già proteggono le applicazioni e permettono alle software house un’ampia gamma di scelte su come e se condividere il codice sorgente e l’applicazione finita.
    Esistono centinaia di migliaia di software che fanno le stesse cose o sono nati per risolvere gli stessi problemi. Le condizioni che rendono vincenti gli uni o gli altri, sono valori aggiunti come semplicità, costi contenuti, assistenza, disponibilità di aggiornamenti etc etc.
    Senza tralasciare il fatto che un programma di un certo spessore è formato da migliaia di righe di codice, con il rischio di infrangere non si sa quanti brevetti.
    Non vedo proprio come tale iniziativa possa portare ad innovazione e competitività: mi sembra invece più un freno al libero sviluppo del software e, di riflesso, del libero pensiero.

    • La redazione

      Gentile Sig.Mondati,
      Senz’altro simpatizzo con il suo commento, per il quale la ringrazio. Vorrei però fare alcune precisazioni per meglio focalizzare il problema. Ai suoi tempi, il doppio click del mouse per ingrandire un’immagine avrebbe potuto essere un’innovazione degna di brevetto e così pure il foglio elettronico o magari il copia-incolla. Però, di queste innovazioni software meritevoli di un brevetto, penso
      ce ne siano state meno di 100 negli ultimi 30 anni e, per fortuna, non sono state brevettate. Il non farlo ha contribuito, tra l’altro, ad una crescita rapida del settore, al calo dei prezzi ed al movimento Open Source.
      Oltre a ciò, gran parte delle reali innovazioni che usiamo oggi non sono venute da programmatori o imprese spinte dal miraggio della rendita di un brevetto, ma spesso da fondi pubblici, da Università, da ricerche militari.
      Linux o il System X della Apple sono varianti di Unix, sviluppato all’università di Berkeley. Il WEB é nato al Cern di Ginevra, Internet é frutto di un’investimento militare USA.
      Oggi, permettendo di brevettare frammenti di tecnologie in gran parte inventate in passato con soldi pubblici, si finisce con il socializzare le perdite e privatizzare le rendite.

      E’ sufficiente andare sul sito dell’ufficio brevetti europeo,
      http://www.epo.org, dal quale si può fare una ricerca veloce sui brevetti a livello mondiale (rimandano a http://ep.espacenet.com), per accorgersi
      che ci sono 12.179 brevetti a nome Microsoft, 13.494 a nome Sun Microsystems, oltre 100.000 a nome IBM.E’ evidente che, in particolare le ultime due società, sono molto
      attive anche nell’hardware e quindi questi brevetti vanno valutati separatamente, però, il numero di quelli relativi al software rimane comunque imponente. Molto più delle innovazioni che un qualsiasi esperto del settore possa immaginare.
      La tedesca SAP AG, leader nel software ERP, figura con 1130 brevetti, alcuni dei quali, come ad esempio ‘system and method for creating an electronic document’,
      (http://v3.espacenet.com/textdocDB=EPODOC&IDX=EP1544745&F=0)possono sembrare una cosa complessa, ma non contengono alcuna particolare novità. Dato quel problema, molti lo avrebbero risolto in
      quel modo. Sarebbe abbastanza semplice invalidare quel brevetto
      dimostrando che qualcuno aveva utilizzato quella ‘tecnologia’ in precedenza. Però, per invalidarlo, occorrono soldi e tempo, cose che spesso le piccole imprese non hanno.
      Perché allora brevettare cose ovvie? Sia chiaro, questa gente non é stupida, come non lo é Microsoft quando brevetta la ‘Macro’ (United States Patent Application #20040216138).
      Qual é lo scopo? forse avere potere contrattuale con altre aziende detentrici di brevetti, ritardare o impedire l’entrata di concorrenti, costruirsi l’immagine di azienda innovatrice, e, non meno importante, avere degli assets che possano essere mostrati agli investitori come capitale aziendale.
      E’ questo abuso che mi pare di per sé sufficiente ad impedire che anche in Europa, tramite una legislazione favorevole ai brevetti del software, venga dato maggior potere a chi ne ha già tanto, a discapito del libero mercato e dell’efficienza del sistema.
      Cordiali saluti
      Massimo Portolani

      P.S. se trovate un’azienda italiana che abbia brevettato software vi
      prego di farmelo sapere. Io non ci sono riuscito.

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