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Il punto sul ponte

La gara d’appalto per il general contractor che dovrebbe costruire il ponte sullo Stretto è alla fase finale. Ma sul 60 per cento di finanziamento da reperire sul mercato c’è poca chiarezza. Toccherebbe al Parlamento dissipare i dubbi. Se si vuol costruire il ponte con finanziamenti statali, si discuta di questa scelta. Se invece si decide che i capitali devono essere privati, si renda nota l’indisponibilità dell’operatore pubblico e si proceda ad appurare subito se il mercato è o meno interessato all’opera. Altrimenti si rischia di finire in un brutto pasticcio.

Il 12 ottobre la Stretto di Messina spa nomina, scegliendolo fra i due concorrenti rimasti in lizza nella gara d’appalto, il general contractor che si impegna a realizzare il ponte sullo Stretto.
Fra il dire e il fare c’è come sempre di mezzo il mare, ma qui oltre il mare ci sono di mezzo anche altri problemi.
Se tutto va bene problemi di governance; se qualcosa va storto il problema del completamento dell’opera, in pratica il problema di rimanere con Messina devastata, due piloni di quattrocento metri e niente ponte. Tra i due estremi, un ulteriore pesante carico per la finanza pubblica, senza che se ne sia discusso apertamente.
Alla luce della recente esperienza del Tunnel della Manica questi dovrebbero essere problemi ben noti: quello della governance è indicato in un recente editoriale sul Financial Times come il problema centrale del Tunnel. Quello del completamento è stato superato soltanto grazie alla determinazione di Margaret Thatcher. (1) Ma chissà, forse perché è sott’acqua e non si vede.

Costi e finanziamenti

Torniamo al nostro ponte. Il suo costo previsto è di 6 miliardi, di cui 2,5 (circa 40 per cento) già sottoscritti da società pubbliche azioniste della Stretto di Messina e 3,5 ancora da reperire sul mercato. Su questo l’amministratore delegato della Stretto di Messina spa, Pietro Ciucci, dichiara: “Per quanto riguarda l’aumento di capitale, sottoscritto dagli azionisti Fintecna, Anas, Rete Ferroviaria Italiana (di cui una prima tranche è già in esecuzione), coprirà le spese fino ai primi anni di cantiere. La società si rivolgerà solo a partire dal 2008 ai mercati”. (2)
Dunque, la società intende portare avanti i lavori con i 2,5 miliardi di cui dispone, per poi ricorrere al mercato per il reperimento degli altri 3,5 miliardi occorrenti a completare l’opera quando ciò si renderà necessario.
I dettagli sulle modalità di raccolta di questo ulteriore 60 per cento, e in particolare sulla possibilità di interventi a carico di risorse pubbliche che si potrebbero prospettare in conseguenza di eventi imprevisti, sono contenuti in una convenzione del dicembre 2003 che non è attualmente di dominio pubblico perché ritenuta “documentazione sensibile”. (3)
La società scrive che quel restante 60 per cento è da reperire sui mercati internazionali senza garanzie da parte dello Stato. (4) Nel sito www.messinasenzaponte.it si asserisce invece che nella convenzione il ministero garantisce “il 100 per cento dei costi imprevisti e la totalità dei rischi di gestione senza alcun tetto di spesa”.

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Un percorso che porta solo guai

Sicché manca un pezzo di informazione importante; ma qualunque sia il suo contenuto, il corso di azioni che si sta seguendo è subottimale, se va bene. Se va male, molto peggio.
Gli scenari possibili sono tre: nel primo il mercato risponde bene e sottoscrive il capitale necessario; nel secondo non lo fa, ma subentra lo Stato attingendo a risorse pubbliche; nel terzo i fondi non si trovano e l’opera resta incompiuta. Se si verifica lo scenario più ottimistico, la società si trova comunque a operare dal 2004 al 2008 in assenza di azionariato di controllo (perché i 2,5 miliardi degli azionisti presenti costituiscono il 40 per cento del capitale, o ancora meno se i costi superano i 6 miliardi). Sarebbe allora meglio interpellare subito i mercati evitando questo problema di “blurred accountability”. Nel caso in cui il mercato non risponde, ma al suo posto risponde lo Stato (l’unico che razionalizza l’operato della società se anticipato con certezza), il piano d’azione è insoddisfacente dal punto di vista delle procedure decisionali democratiche: staremmo impegnando risorse pubbliche future, ma senza discuterne, perché formalmente stiamo approvando un progetto privato. In questo caso, sarebbe opportuno discutere delle possibili destinazioni alternative di tali risorse e organizzare, se si decidesse di procedere alla realizzazione del ponte, una struttura di management pubblico. Se infine il mercato non dovesse rispondere e il Governo di turno avesse altro a cui pensare, la situazione sarebbe ovviamente disastrosa. Si noti che questa non è un’ipotesi del tutto irrealistica: per completare il Tunnel c’è voluta la volontà di ferro della Thatcher; per il ponte tutto questo accanimento non lo si vede affatto, né a destra né a sinistra. (5)
Questo “Poi vedremo, intanto cominciamo”, dunque, può solo generare guai, l’unica incertezza è sulla loro entità. Il punto è che sono “guai accattati“, come si dice in siciliano: guai comprati, che si potrebbero ben evitare. Toccherebbe allo Stato – cioè al Parlamento, non al Governo che non dispone ovviamente dei fondi che si renderebbero necessari nelle legislature a venire – far chiarezza: se si vuol costruire il ponte con finanziamenti statali, si discuta di questa scelta; se si decide che o lo fa il mercato o niente, si renda nota l’indisponibilità dell’operatore pubblico e si proceda subito ad appurare se il mercato ci sta o no. Perché restando voltati dall’altra parte si rischia di cacciarsi in un brutto pasticcio.

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(1) L’editoriale è di John Kay, 13 settembre (leggibile anche su www.johnkay.com). Per la cronaca, nel caso del Tunnel non andò affatto tutto bene: i costi di realizzazione furono quasi doppi del previsto, e i flussi di traffico, a dispetto delle stime iniziali, non consentirono successivamente di coprire neanche le spese di gestione. Ulteriori approfondimenti sul caso sono contenuti nello “in depth” dedicato del FT.

(2) In P. Busetta, Un collegamento per lo sviluppo, Liguori 2005, p. 144.

(3) Questa convenzione, firmata dalla Stretto di Messina e dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti il 30 dicembre 2003, regola svariati aspetti della realizzazione e gestione del ponte, come prescritto dal Dl n. 114 del 24 aprile 2003. Io ho chiesto, per telefono, una copia sia alla società che al ministero: la prima mi ha risposto che avrei dovuto avere una motivazione giuridicamente rilevante, il secondo che si trattava di documentazione sensibile.

(4) Di questo “prende atto” il Cipe nell’agosto 2003, nell’approvare il programma preliminare della società (delibera n. 66). La società parla di project finance nel suo sito, www.strettodimessina.it.

(5) Per inciso, ho cercato documenti sul perché la sinistra ha cambiato idea sul ponte, ma non ne ho trovati. Ho chiesto per email al responsabile Mezzogiorno dei Ds se ce ne fossero, ma non ho ricevuto risposta.

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  1. Bruno

    Articolo interessante. Purtroppo non approfondisce la similitudine tra la raccolta di Fondi per il 50/60 % non sottoscritto a favore del Ponte di Messina e la raccolta di Fondi negli anni sessanta a favore della costruzione del sistema autotradale Italiano. Anche allora non si sapeva dove reperire la rimanenza percentuale (circa il 35%) non sottoscritta dalla finanza governativa. Ma si trovarono soluzioni (si parlo’ allora di “interesse supremo nazionale”), ed allo stesso modo si troveranno quelle per il Ponte sullo Stretto. Non necessariamente mi riferisco ad emissioni di Bond sul mercato internazionale, con clausole di favore per i cittadini italiani emigrati. La Standard & Poor’s broker house, per esempio, sta “scalando” l’ Impregilo da mesi e questo lascia aperta la porta a molte soluzioni di finanziamento per il Ponte a livello internazionale.

  2. stefano

    L’articolo conferma in pieno l’impressione che ho avuto quando sono stato invitato all’ambasciata britannica a Parigi per assistere alla presentazione del ponte fatta dalla società Stretto di Messina SpA. Oltre al diffuso scetticismo presente in sala rispetto al “project financing”, la delegazione della suddetta società non ha saputo darmi alcuna risposta rispetto all’ammontare dei futuri costi di manutenzione del ponte. Vorrei aggiungere quindi un quarto scenario: la società realizza l’opera ma non rientra dei costi di manutenzione e fallisce. Che ne facciamo del ponte? Aspettiamo che faccia la fine delle arance calabresi o interverrà lo stato? Visto il concetto di “manutenzione” in Italia sono leggermente preoccupato…

  3. Giuseppe Passoni

    Condivido la lettura di Modica sugli scenari probabili per il Ponte sullo Stretto di Messina.
    Oltre al conclamato e pluricitato esempio di Eurotunnel anche il Ponte+Tunnel tra Danimarca e Svezia (http://www.sundogbaelt.dk) si avvia ad un simile epilogo.
    In entrambi i casi si dovrebbe apprendere che i flussi merci comunque preferiscono alternative piu’ economiche (via acqua) e quindi contare sul traffico passeggeri (che piu “agevolmente” raggiungono la Gran Bretagna o la Svezia in aereo !!!) o sul piccolo cabotaggio e’ una misera prospettiva pert queste “grandi opere”.
    Lo stretto di Messina presenta le medesime “condizioni al contorno” dei due casi precedenti!
    In Italia servono altre infrastrutture atte a sfruttare meglio la geografia dello “stivale” nel contesto del Mediterraneo ed evitare che consorzi ispanico-francesi (www.ferrmed.com) riescano a “drenare” il crescente flusso merci nel Mare Nostrum a discapito dei languenti porti italiani, come acutamente fatto notare da Bruno Dardani (IlSole24Ore, 8 Giugno 2005, pag 20).

    giuseppe.passoni@polimi.it

  4. franco

    Leggevo l’intervento di un lettore che sosteneva che chi cambia la legge perde i voti.Io non sono convinto penso che molti elettori del centrodestra che delusi da Berlusconi e dalle sue leggi ad personam potrebbero orientarsi in un sistema maggioritario a votareil centrosinistra a favore di candidati moderati(margherita-Di Pietro-socialisti)con un sistema proporzionale invece potrebbero restare nel centrodestra e votare i partiti moderati di quest’alleanza come Udc o simili cercando di rafforzarli .

  5. Pierpaolo

    Lo ammetto l’idea di un ponte così maestoso mi affascina e lo scetticismo tutto francese sulle possibilità ( e probabilmente capacità) degli italiani di portare a buon fine un progetto del genere mi infastidisce.
    Però (perchè c’è sempre un però) è davvero una priorità? In giro per l’Italia si vedono veri e propri scempi e mancanze infrastrutturali da Terzo o Quarto mondo.
    Raggiunger l’Adriatico dal Tirreno e viceversa in qualsiasi punto dello stivale è un’impresa…e nel mezzo ci sono gli Appenini, non l’Himalaya. Fra questi tentativi abbozzati citerei una Fano-Grosseto in perenne costruzione(adesso ci sono dei punti in cui si è costretti a fare slalom tra i piloni della futura (?) autostrada.
    La Barriera di Mestre è allucinante. Non ci vuole mai meno di 40 minuti di fila per attraversarla.
    Ci sono dei tratti di autostrada in Liguria con tassi di mortalità a far rabbrividire a ogni passaggio.
    Chi dal litorale toscano va a Roma deve armarsi di pazienza e percorrere l’Aurelia che è poco di più di quello che avevano fatto i Romani oltre 2 milleni fa.
    La Salerno-Reggio Calabria non la commento perchè fa già tutto da sola…
    Che dire? E’ proprio bella l’idea di un ponte…

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