Le reazioni negative di Regioni ed enti locali alla Finanziaria 2006 si concentrano sul livello dei tagli. Ma ancor più dovrebbe preoccupare la filosofia del provvedimento. Porre un limite alla spesa rappresenta infatti un’indebita interferenza del centro sull’autonomia della periferia. Ed è concettualmente incompatibile con il federalismo che ammette solo il controllo sul saldo di bilancio. E’ necessario evitare manovre estemporanee e impostare invece con urgenza un sistema di finanza pubblica regionale e locale che sia certo, stabile e coerente. Le reazioni dei rappresentanti di Regioni, province e comuni ai tagli alla spesa locale contemplati nel progetto di Finanziaria 2006 sono sacrosante, ma anche un po fuorvianti, dal momento che si concentrano solo sul livello e non sul significato della manovra riduttiva. Si blocca la spesa Certamente, il livello preoccupa. È vero che le percentuali (meno 3,8 per cento per le Regioni e meno 6,7 per cento per gli enti locali rispetto ai dati 2004) si applicano solo alla parte minore delle uscite, quella che rimane togliendo le preponderanti spese per sanità, personale e interventi sociali. Ma è anche vero che la finanza locale ha già raschiato il barile, tanto che per alimentarsi deve dilatare in modo inquietante le concessioni edilizie e le entrate tariffarie, come già esposto su queste colonne. Anche piccole riduzioni possono in tale quadro provocare gravi danni. Le stesse spese in conto capitale, a dispetto degli incrementi permessi ( +6,9 per le Regioni e +10 per cento per gli enti locali, sempre rispetto al 2004), possono creare strozzature nella programmazione pluriennale degli investimenti. Segnali contraddittori È bizzarro che simile progetto di Finanziaria, che mortifica il buon governo locale facendo di ogni erba un fascio, si accompagni a un decreto legge contro levasione fiscale (Dl 29.9.05) che invece introduce un premio selettivo, concedendo ai Comuni che partecipino allaccertamento sui tributi erariali il 30 per cento del maggior introito conseguito.
Ma ancor più dovrebbe preoccupare la filosofia della “botta in testa a tutti”, senza distinguere tra il buono e il cattivo né tra il necessario e il superfluo. Così si rischia di scavare la tomba allancor gracile federalismo e di allontanare la speranza di un governo locale che sia ovunque serio ed efficace.
Porre un limite alla spesa, anzi a una parte della spesa, rappresenta infatti unindebita interferenza del centro sullautonomia della periferia. Ed è concettualmente incompatibile con il federalismo che ammette solo il controllo sul saldo di bilancio, oltre al controllo sullerogazione effettiva dei servizi essenziali che sono costituzionalmente garantiti. Il Governo ne dà una giustificazione appellandosi al patto di stabilità interno. Ma, ammesso e non concesso che la difesa tenga sul piano giuridico, di sicuro non vale su quello politico.
Larticolo 22, comma 11, prevede un timido meccanismo di premio/penalità. Infatti, nel rispetto dellobiettivo complessivo di finanza pubblica, i limiti di spesa sono allentati o inaspriti a seconda che gli enti locali siano sotto o sopra la spesa pro capite media della fascia demografica di appartenenza. Ma a ben vedere, è anche questo un colpo al federalismo. Perché esalta il centralismo, dà infatti piena discrezionalità al ministero dellEconomia che decide limitandosi a “sentire” la Conferenza Stato-città. E perché, di nuovo, si guarda al lato delle spese e non al saldo, punendo anche gli enti locali che hanno speso di più grazie a un maggiore sforzo fiscale autonomo.
Cè molta improvvisazione anche in questo decreto, ma qui basta sottolineare, a livello di indirizzi normativi, i segnali contraddittori che il centro manda alla periferia, che non sono fattori di credibilità delle norme: a che pro darsi da fare ad aumentare le entrate, se possono essere imposti limiti alla spesa che vanificano la maggiore disponibilità?
Con tutto il rispetto delle difficoltà congiunturali, è necessario evitare manovre estemporanee e impostare invece con urgenza un sistema di finanza pubblica regionale e locale che sia certo, stabile e coerente. Urge insomma realizzare quel federalismo fiscale che larticolo 119 della Costituzione detta ma che nessuno nellattuale maggioranza pare abbia fretta di realizzare. Nemmeno quelli che più si battono per il federalismo e che in realtà lo tradiscono: non comprendono infatti che il fallimento si evita non già mettendo altra carne al fuoco nel paniere delle competenze, bensì rendendo effettivo lampio spazio di autonomia già concesso. Ma questo è un altro discorso.
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maria teresa leone
Capita anche che i comuni abbiano i soldi e non possano spenderli a causa dei limiti di spesa. E, si badi bene, la maggior parte dei soldi i comuni non li ricevono dallo Stato, ma dai propri cittadini, con un controllo politico sulla spesa, quindi immediato e costante.
I limiti alla spesa dei comuni, insomma, serve solo a bilanciare gli sprechi dello Stato.
Matteo Barbero
L’urgenza di dare attuazione al nuovo (ma ormai non più tanto!) art. 119 Cost. è innegabile. Proprio per questo pare francamente incomprensibile la scarsa attenzione di politici e studiosi (compresi Voi de LaVoce.info, che non ve ne siete occupati se non per criticarle, talvolta, mi sia consentita una critica bonaria, in modo abbastanza superficiale) nei confronti delle elaborazioni dell’Alta Commissione sul federalismo fiscale. Tali documenti rappresentano, infatti, per quanto ne sappia, l’unica proposta organica finora formulata nella direzione che tutti noi auspichiamo.
La redazione
Il rapporto finale dell’Alta Commissione sul federalismo, che finalmente ha visto la luce nei giorni scorsi, consente di avviare un confronto produttivo sui modi e sui tempi di realizzazione dell’art. 119 della Costituzione. Esso merita quindi immediata e forte attenzione. Ciò detto, rimane valida la mia tesi sul federalismo tradito, perchè la regola di non
interferenza sulla spesa ma solo di controllo dei saldi è già desumibile con chiarezza dai principi esistenti: principi dei quali la Finanziaria 2006 rappresenta una vistosa violazione.
Prof. Gilberto Muraro
ANTONIO BOTTONI
Le sarei grato se potesse indicarmi dove posso approfondire il significato del controllo sul saldo di bilancio relativo alle spese degli enti locali.
la ringrazio.
La redazione
Lo spirito e alcune delle possibili tecniche del controllo sui saldi si possono evincere dall’art. 30 della Finanziaria 2000 concernente il patto di stabilità interno introdotto dal precedente governo.
lucia di giovine
vorrei far notare che le spese degli enti locali territoriali subiscono un continuo incremento annuale senza che i relativi amministratori se ne preoccupino più di tanto, essendo abituati a ottenere trasferimenti dallo stato e contributi della comunità europea. ritengo che ognuno di noi possa constatare gli sprechi che vengono effettuati con l’unico scopo di mantenere e consolidare clientele elettorali a tutti i livelli. a scapito dei servizi pubblici e delle tasche dei cittadini. tanto per fare un esempio, quest’anno il comune di perugia ha portato l’ici per gli immobili non locati al 9 per mille. penso che lo abbia fatto in piena autonomia decisionale di entrate in applicazione dell’art. 119 cost. . non mi sembra infatti che sia stata emanata una norma di legge statale in tal senso, nonostante la legge istitutiva preveda un’aliquota massima del 7 per mille e nonostante che la ripartizione delle competenze in materia tributaria preveda, stante una lettura letterale dell’art. 117 cost, la competenza dello stato per la definizione degli elementi essenziali dei tributi.
La redazione
E’ legittimo essere per il centralismo per sfiducia nell’autonomia locale, ma non è questo il punto. Ribadisco la mia tesi: ci sono enti locali male amministrati ed enti locali bene amministrati; trattarli allo stesso modo e interferire nelle loro decisioni senza distinguere, non migliora le cose sul piano concreto, anzi le peggiora, ed implica un tradimento del federalismo sul piano dei principi.