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Per qualche antivirale in più

In attesa del vaccino, per contrastare l’influenza aviaria i Governi hanno un solo strumento: dotarsi di scorte diversificate e quantitativamente sufficienti di antivirali. L’offerta è però limitata. Gli organismi sovra-nazionali dovrebbero perciò assumersi la responsabilità diretta della produzione. Avrebbero così l’occasione per verificare la capacità di risposta tempestiva delle strutture internazionali a emergenze sanitarie e umanitarie mondiali. Non farlo significa rendere più probabili gli scenari peggiori, con costi, anche economici, altissimi.

Cresce la preoccupazione per la diffusione del virus A(H5N1), ma si moltiplicano anche le prove dell’ingiustificata disattenzione che i Governi hanno dedicato al problema dell’influenza aviaria negli anni passati. Sono gravi, in particolare, i ritardi nella predisposizione di adeguate scorte di antivirali: la valutazione non cambia neanche alla luce delle polemiche di questi giorni sulla possibile inefficacia di uno dei due farmaci raccomandati per il trattamento dell’influenza aviaria.

Un caso di resistenza all’antivirale

Un articolo pubblicato il 14 ottobre su “Nature”, e largamente ripreso dalla stampa, riferisce che l’oseltamivir, fino ad oggi considerato uno dei due antivirali in grado di contrastare l’influenza aviaria, si sarebbe mostrato inefficace verso il virus A(H5N1).
Il caso è quello di una quattordicenne che sembra essere stata infettata direttamente da un essere umano. La ragazza è stata curata con l’antivirale oseltamivir, secondo la profilassi consigliata dall’Organizzazione mondiale di sanità ed è stata dimessa dall’ospedale dopo tre settimane, sulla base di esami di laboratorio che mostravano la completa scomparsa del virus.
In successive ricerche sono stati prodotti alcuni cloni di virus aviario che risultavano parzialmente o totalmente resistenti al trattamento, anche quando reinoculati in modelli animali. Tuttavia, anche il clone virale resistente all’oseltamivir è risultato curabile con il secondo antivirale consigliato dall’Oms, lo zanamivir. L’indicazione di Nature è quella di diversificare le scorte di antivirali e di monitorare l’evoluzione umana del contagio, per la possibilità che si producano ceppi resistenti agli antivirali efficaci.
Queste conclusioni non dovrebbero sorprendere semplicemente perché invitano a diversificare le difese e la diversificazione è alla base di ogni strategia di riduzione del rischio. Quindi, in attesa di un possibile vaccino, è ancora oggi auspicabile che i Governi si dotino di scorte diversificate e quantitativamente sufficienti di farmaci antivirali attivi contro l’influenza aviaria.

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Un’offerta limitata

Ma qui si incontra il vero problema: le strozzature nell’offerta degli antivirali, che sono prodotti da due sole imprese europee. La limitata capacità produttiva, la durata del processo di produzione e una crescente domanda mondiale consentono di soddisfare parzialmente, e rispettando le inevitabili code, le richieste dei singoli Governi.
Il Regno Unito, per esempio, riceve 800 mila dosi di antivirale al mese e stima di completare la copertura del 25 per cento della popolazione in un anno. In un contesto di colpevole disattenzione, il nostro ministro della Salute ha ordinato 2,5 milioni di dosi di antivirali per colmare il deficit precauzionale trovato in eredità (154-180 mila dosi, pari allo 0,3 per cento della popolazione). Se al Governo inglese vengono consegnate 800mila dosi al mese per un piano di acquisto annunciato nel marzo scorso, sarebbe utile sapere quante dosi riceve l’Italia per un piano annunciato qualche settimana fa e quante (e quando) ne ricevono i paesi in prima linea nel fronteggiare l’epidemia come, ad esempio, l’Indonesia.
Appare evidente che in questa situazione le due imprese produttrici di antivirali, anche per non aver voluto a suo tempo aderire alle richieste dell’Oms che invitava ad accrescere drasticamente la produzione, non sono in grado di soddisfare in tempi accettabili le richieste dei vari paesi.
Le medesime difficoltà di approvvigionamento si verificherebbero nel caso in cui venisse predisposto un vaccino specifico per l’immunizzazione di massa.
A questo punto è auspicabile che la responsabilità della produzione dei farmaci attivi per contrastare l’influenza aviaria sia assunta direttamente dagli organismi sovra-nazionali con l’attivazione di impianti produttivi sotto il loro diretto controllo. Potrebbe essere una grande occasione per verificare la capacità di risposta tempestiva delle strutture internazionali a emergenze sanitarie e umanitarie mondiali.
In assenza di interventi radicali come questo, rischia di diventare realtà lo scenario, forse neanche troppo pessimista, tratteggiato lo scorso settembre dagli esperti europei riuniti a Malta per la seconda conferenza europea sull’influenza: prevede, per l’Italia, 16 milioni di contagiati, 2 milioni di ricoveri e 150 mila morti. E rischiano di essere enormemente elevati i costi economici di una possibile diffusione planetaria del virus A(H5N1).
La Banca Mondiale, sulla base di uno studio statunitense del 1999 sulle conseguenze economiche di una pandemia influenzale ad alta patogenicità, stima prudenzialmente non meno di 550 miliardi di dollari Usa per i soli paesi industrializzati. (1)

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(1) Le stime si basano su di un tasso di mortalità al di sotto dello 0,1 per cento della popolazione, inferiore quindi allo 0,5 per cento e a al 2,5 per cento registrati rispettivamente negli Usa e nel resto del mondo al tempo dell’influenza spagnola.

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  1. capsicum

    la campagna dei media sugli antivirali fa cadere le braccia ad un semplice medico di famiglia come me. Prendiamo per esempio il Relenza: va assunto entro le prime dodici ore dall’inizio dei sintomi, va assunto ad orari precisi e regolari. Mettiamo che si riesca a fare diagnosi entro dodici ore ( e chi la farebbe? su quali basi? quali sintomi d’allarme, posto che non ve ne sono di specifici?) e che il paziente assuma il farmco: quali benefici attendersi? Una riduzione di gravità? Non è provata, nel caso della H5N1. Una riduzione di durata? E’ quanto viene promesso dalla ditta farmaceutica per la normale influenza, ma è documentato per la aviaria? No. Non abbiamo casi cui riferirci, la casistica attuale è aneddotica, non scientifica. Allora perchè tanto can can? Per rassicurare il pubblico sul motivetto del “la scienza può tutto”? O per favorire gli affari dei produttori?
    O perchè si deve comunque dire qualcosa, vera o verosimile, purchè accettabile dalle masse?
    Non esistono certezze in epidemiologia, come non esistono in medicina. Sappiamo solo una cosa con relativa certezza: che in un momento imprecisabile ed imprevedibile tra domani e i prossimi 50 anni, ci sarà una grossa e brutta pandemia:ce ne sono sempre state ed è impossibile che non ce ne siano mai più.Ma non sappiamo 1- se sarà una mutazione della aviaria piuttosto che una contaminazione con altro vrus piuttosto che una mutazione di H3 o H2; 2- quale sarà il suo indice di mortalità 3- se provocherà dei postumi permanenti o no (come la Spagnola, p. es.), e questo solo per cominciare con le cose che non sappiamo e che non sapremo fino a che questa epidemia non comincerà effettivamente. Anche le vostre disquisizioni, mi spiace dirlo, sono oziose e fuorvianti e sembrano andare nello stesso verso delle tante chiacchiere di rassicurazine collettiva. Rassicurazioni che, se hanno un ruolo per così dire “nell’equilibrio psichico delle masse”, non lo hanno nell’infomazione scientifica seria. Cordiali saluti

    • La redazione

      Capsicum chiede quale sia l’utilità pratica dell’accumulo di antivirali. Cominciamo con il dire che questa è la posizione dell’OMS, che almeno dal 2003 sta invitando a costituire delle scorte di antivirali, al fine di contenere le conseguenze di una possibile pandemia umana indotta dal virus A(H5N1), con risultati però diversi: alcuni paesi hanno prontamente aderito a questo invito, altri lo hanno fatto tardivamente, altri tergiversano. Ai ritmi produttivi attuali per assicurare al 20% della popolazione mondiale una copertura di antivirali occorrerebbe almeno un decennio. Sui benefici da attendersi dagli antivirali di nuovo il rimando è alle indicazioni dell’OMS, anche se giova ricordare che: esistono dei casi clinici (pochi) documentati dell’efficacia degli antivirali, da ultimo quello della ragazza vietnamita di 14 anni considerata il primo caso certo di trasmissione da uomo a uomo del virus A(H5N1); diversi studi di laboratorio (in vitro e su modelli animali) hanno evidenziato che il virus A(H5N1) è sensibile all’oseltamivir (Tamiflu) e allo zanamivir (Relenza).
      In questa situazione di ambiguità o incertezza scientifica (scoppierà la pandemia? Saranno efficaci gli antivirali? ….) ai decisori pubblici si pone il compito di scegliere tra il fare nulla e aspettare che il tempo faccia il suo corso e risolva l’incertezza scientifica, oppure agire precauzionalmente. Ai decisori pubblici spetta l’onere di comparare le due strategie e scegliere, se esiste, quella dominante, cioè conveniente. I pochi studi effettuati in questo ambito indicano come l’acquisto di antivirali appaia la scelta migliore anche con probabilità di pandemia inferiore al 3%, cioè di tre pandemie ogni 100 anni (negli ultimi 400 anni sono state registrate almeno 31 pandemie), e/o un’efficacia degli antivirali inferiore al 70%.
      Infine i problemi che lei enuncia: mutazione del virus, tasso di mortalità, effetti permanenti possono essere inclusi e valutati nei modelli decisionali. Proprio perché non esistono certezze, come lei dice, si impiegano le distribuzioni di probabilità e si predispongono scenari che vengono comparati tra loro. Questa però non è una pratica oziosa, ma l’applicazione di teorie decisionali coerenti che, pur non risolvendo l’incertezza e non trasformando processi decisionali incerti in problemi deterministici, consentono di definire-rappresentare azioni razionali di fronte alle scelte disponibili. Per maggiori informazioni, consulti questo documnto http://www.who.int/csr/disease/influenza/H5N1-9reduit.pdf
      Marcello Basili

  2. Luigi Rosa

    Comque vadano le cose una cosa è certa. C’e’ chi ci ha guadagnato , e anche molto. In pimis le case farmaceutiche che hanno un fatturato anno paragonabile a quello di piccoli stati. In secondo tutte le aziende che hanno venduto i loro antivirali sul web. Ne sono fiorite a migliaia. Non mi vergogno di dire che anche io ho “fiutato” il business ed, insieme a qualche amico, abbiamo acquistato qualche dominio inerente l’influenza aviara. vedi http://www.influenzaaviaria.it per esempio. Attualmente stanno letteralmente piovendo decine e decine di offerte per tali nomi a dominio. Embe’ mi sembra non giusto, ma quantomeno legittimo. Per non parlare di tutti quelli che hanno preso la palla al balzo, il cosiddetto “mercato” indotto: mascherine protettive, guanti,… etc etc Non c’e’ che dire: niente male: l’influenza aviaria sta facendo girare un bel po’ di soldi. Come i matrimono e i -conseguenti- divorzi. Peccato che gran parte del denaro venga bruciato all’estero.

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