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Autostrade per il benessere degli italiani

Nelle settimane passate lavoce.info ha ospitato uno scambio di opinioni alquanto interessante sulla privatizzazione e sulla performance generale del sistema autostradale tra tre noti economisti, di cui uno è il presidente del consiglio di amministrazione della maggiore concessionaria autostradale.

La scarsità delle informazioni

In primo luogo, colpisce la dovizia di dati con i quali il presidente di Autostrade ha risposto alla tesi di Andrea Boitani e Marco Ponti. Perché sia possibile un dibattito sui costi e sui benefici del sistema autostradale, è necessario che l’informazione sul settore sia pubblica. Invece, la reperibilità di dati oggettivi, compresi gli incrementi tariffari, risulta spesso problematica, se non per via privata. Questo discorso vale in maniera più pregnante per le convenzioni tra le società concessionarie e l’Anas. La natura dei contratti stessi, in quanto concessioni di una infrastruttura di interesse pubblico, rende necessaria la trasparenza e pubblica “dibattibilità” delle loro caratteristiche. Tuttavia, la trasformazione dell’Anas in spa, ha reso possibile, secondo alcuni giuristi, la “privatizzazione” anche del rapporto concessorio, e la tradizionale “riservatezza” della pubblica amministrazione italiana, qui intesa in senso lato, ha trovato una modalità ulteriore di esprimersi.
La premessa è utile per chiarire che, allo stato, il dibattito pubblico non può che essere falsato. Un regolatore o un economista che voglia sostenere che, ad esempio, la “x” del price cap sia stata fissata in maniera impropria o che il sistema di regolazione della qualità è straordinariamente generoso, si trova di fronte alla oggettiva difficoltà di documentare le proprie affermazioni, come invece ha potuto fare, con puntiglio e correttezza, Gian Maria Gros-Pietro.

Un sistema tariffario generoso?

Per quanto riguarda il merito, un punto centrale appare la spiegazione della sorprendente performance del titolo Autostrade (poi Autostrade per l’Italia). Cosa giustifica, in soli quattro anni e mezzo, per tre dei quali peraltro l’indice Mibtel crollava, il (più che) triplicarsi del valore di una impresa in un settore tradizionale e con tariffe regolate? Molte ragioni indubbiamente, tra le quali anche una maggiore efficienza nei business non regolati, la proiezione internazionale dell’impresa, il cambiamento nella sua struttura e i bassi tassi di interesse. Ma difficilmente, data la dimensione del rialzo, si può escludere una certa generosità del sistema tariffario. La privatizzazione si è quindi risolta in un significativo trasferimento di ricchezza.
Gros-Pietro ammette che, se il sistema tariffario fosse stato più “semplice”, il prezzo di privatizzazione avrebbe potuto essere più elevato. Con ciò implicitamente, a mio parere, ammette che anche la lettera del sistema regolatorio italiano definito nel 1997 era aperta a una serie di possibili interpretazioni, in particolare in merito alle modalità della revisione tariffaria quinquennale, a fronte delle quali il prezzo di privatizzazione ha scontato anche l’eventualità che la revisione avvenisse attraverso l’applicazione del cosiddetto claw back.
A questo proposito giova ricordare che non esistono varie possibilità, tutte corrette, di applicare il price cap, come sembra suggerire Gros-Pietro. La “fissazione” del prezzo per un periodo (regolatorio) temporaneo, che consente legittimamente alle imprese regolate profitti supernormali nel breve-medio periodo, non può che essere compensata da aggiustamenti della tariffa a scadenza del periodo. (1) E questo perché nel lungo periodo i guadagni di efficienza realizzati attraverso la formula di incentivo devono essere trasferiti all’utenza. Come in un settore competitivo una posizione di vantaggio temporaneo di una impresa viene gradualmente erosa dalla concorrenza, nei monopoli regolati il margine di sovraprofitto sui costi deve essere messo in questione, a scadenza, dal regolatore.

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I confronti internazionali e intertemporali

Gian Maria Gros-Pietro, per sostenere la sua tesi, fa riferimento a confronti internazionali. I dati che riporta appaiono indubitabili. Andrebbe però precisato che sulle tariffe di alcuni paesi pesano in maniera consistente le remunerazioni per investimenti fatti di recente (il caso più clamoroso è ovviamente la M6 inglese, interamente di nuova costruzione). La rete di Aspi, invece, è stata realizzata svariati decenni fa, il suo costo è interamente recuperato e solo recentemente è stato avviato un programma di investimenti di cui, infatti, gli utenti italiani iniziano ad accorgersi per gli effetti non trascurabili sulla tariffa.
Inoltre, nel valutare gli effetti della privatizzazione sul sistema economico, Gros-Pietro assume che la dinamica delle tariffe, qualora la società fosse rimasta pubblica, sarebbe stata analoga a quella precedente al 1999. E trascura il fatto che le entrate da tariffa sarebbero rimaste, di fatto, nella pertinenza della collettività.
La prima congettura non è sufficientemente provata. Il price cap prevedeva una applicazione di incrementi sulla base di una dinamica predeterminata, anche se variabile in funzione di parametri da verificare anno per anno. Ovviamente, la verifica di questi parametri altera il rapporto tra dinamica tariffaria e inflazione, ma non è legata alla proprietà pubblica/privata dell’impresa. Inoltre, ai fini di una valutazione più completa, sarebbe utile avere una idea di quello che la revisione tariffaria del 2003-4 ha comportato per il presente e comporterà per il futuro. La serie degli incrementi tariffari confrontati con l’inflazione dovrebbe perciò essere “allungata” al 2005 e 2006. (2)
Quanto alla seconda congettura, va detto che il calcolo dei guadagni per la collettività ha un carattere molto più complesso di quello che scaturisce dal semplice confronto tra due tassi di incremento delle tariffe. Bisognerebbe costruire un controfattuale credibile su una serie di variabili del tipo effettuato in interessanti esercizi sul Regno Unito. (3)
I dati sulla dinamica delle tariffe potrebbero indurre il lettore poco informato a concludere che la Aspi abbia in effetti realizzato guadagni di efficienza miracolosi nel corso del quinquennio analizzato. A fronte di tariffe reali in calo, il valore del titolo esplode. L’ipotesi non è però pienamente supportata dai dati sui costi operativi nei bilanci. D’altronde, come spiega Gros-Pietro, Aspi ha effettuato più interventi di manutenzione rispetto al passato.
A chi voglia capire cosa è successo davvero si consiglia la lettura del documento presentato da Vito Gamberale, amministratore delegato della società, alla Ubm IX Italian Conference e pubblicato sul sito di Aspi. (4) Vi si enfatizza una crescita del traffico al ritmo di circa il 3 per cento all’anno e, di conseguenza, delle entrate di circa l’8 per cento (slide 6). Ciò spiega quale sia la principale fonte della crescita miracolosa di questi anni. Ai lettori e utenti lascio il giudizio su chi debbano essere i beneficiari ultimi, a scadenza di periodo regolatorio, delle maggiori entrate dovute a un aumento consistente del traffico.

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E la qualità?

Un giudizio sulla adeguatezza dell’applicazione del sistema tariffario, come si è configurato nella prima revisione tariffaria anche attraverso le modifiche introdotte dalla legge 47/04, non può essere espresso senza discutere le caratteristiche e i parametri della regolazione, contenuti purtroppo solo nelle convenzioni. In particolare, bisognerebbe poter discutere, oltre che della correttezza di effettuare o meno la revisione tariffaria, almeno della “x”, della remunerazione della qualità e delle previsioni di traffico. È a questi parametri e al modo in cui sono stati calcolati che Gros-Pietro dovrebbe far riferimento per dimostrare il guadagno della collettività. Potrebbe altresì essere utile ricordare che tra le tante norme vantaggiose per le concessionarie, tra cui Aspi, la legge 47/04 stabiliva anche, come contrappeso, la necessità di rivedere il sistema della remunerazione della qualità “entro sei mesi” (da febbraio 2004), forse perché giudicato troppo generoso o basato su indici solo indirettamente legati alla qualità del servizio. Sarebbe quindi utile sapere quale sia a oggi il sistema di regolazione della qualità di Aspi, se ha subito variazioni a seguito del disposto di legge, e in che misura gli incrementi tariffari di questi anni siano dovuti a miglioramenti della “qualità”.

(1) In misura da definire a seconda del peso relativo che si attribuisce ad obiettivi di incentivo e di efficienza allocativa.
(2) A questo proposito, sarebbe utile sapere direttamente dal presidente l’entità dell’incremento tariffario applicato, date le differenze riscontrate dai mezzi di informazione su tratte diverse, difficilmente attribuibili agli arrotondamenti. (3) Per tutti si veda il recente Florio, M. ‘The Great Divestiture’, The MIT Press
(4) Confrontare i documenti che le società presentano per la business community con quelli che esse presentano alla opinione pubblica o ai regolatori è un esercizio sempre fruttuoso.

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  1. luca orsini

    Ottimo articolo; vorrei solo fare alcune ulterioriori riflessioni:
    la formula di qualità mi pare un esempio di una ottima idea la cui implementazione ha creato delle distorsioni alle quali è possibile porrre rimedio. Ad esempio: uno degli elementi della formula è il numero delgli incidenti e la la loro gravità; le concessionarie hanno benefiacito indebitamente della introduzione della patente a punti e dell’ aumento della sicurezza attiva e passiva delle auto. La formula degli incentivi alla sicurezza dovrebbe essere calcolata in maniera realtiva considerando la diminuzione degli incidenti anche sulle strade statali e provincilali in modo depurare i miglioramenti di sicurezza da fattori esterni e introdrre concorrenza con l’anas anche in questo campo.
    Resta aperto poi il tema degli aumenti in tariffa legati ad investimenti che sono effettuati in ritardo rispetto agli aumenti che arrivano invece con grande puntualità.
    I disserivizi continui della torino milano, semi chusa ormai da anni, chiusa a sorpresa (mi viene da dire a tradimento) nella notte non mi paiono compatibilicoi premi di qualità.

    luca orsini

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