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Doppio sguardo prima del voto

Finalmente si vota, anche se gli elettori possono scegliere solo i partiti, non i deputati. Speriamo che da martedì si discuta di proposte concrete per rilanciare l’economia del paese. Per aiutare i lettori a valutare l’azione del Governo Berlusconi, riassumiamo i principali dati macroeconomici delle due ultime legislature. E per il futuro mettiamo a confronto gli impegni contenuti nei programmi. Le nostre stime dicono che il programma della Casa delle libertà costa tra 36 e i 101 miliardi di euro all’anno, tra 2,5 e 7 punti e mezzo di Pil. Quello dell’Unione tra i 20 e i 24 miliardi, tra 1,4 e 1,7 punti di Pil.

Tornando coi piedi per terra

Dopo cinque anni di campagna elettorale, domenica 9 e lunedì 10 aprile (fino alle 15) andremo finalmente a votare. Speriamo che da martedì si cominci a fare sul serio, confrontandosi su proposte concrete per rilanciare la nostra economia. Discutendo non solo di cosa, ma soprattutto di come. Si è parlato molto di economia nelle ultime settimane, ma per vendere tagli fiscali, di cui solo raramente o parzialmente si è indicata la copertura, dunque tagli virtuali, uno specchio per allodole. Quelli annunciati poi a pochi giorni dal voto sono frutto dell’improvvisazione, probabilmente non passerebbero neanche a un preliminare esame di fattibilità tecnica. Da martedì speriamo davvero di tornare coi piedi per terra.

Guardando indietro…

Sarà questa la prima volta nella storia repubblicana che un Governo è rimasto in carica per un’intera legislatura. Si potrà perciò andare a votare giudicando i risultati raggiunti dall’azione dell’esecutivo in questi cinque anni. È il modo migliore per misurare l’azione di un Governo. Gli elenchi delle cose fatte sono poco informativi in un paese in cui si varano tantissime leggi e si fanno tante micro-riforme che non cambiano pressoché nulla o che sono comunque destinate a rimanere inattuate.

Per facilitare i nostri lettori abbiamo qui sotto voluto raccogliere i principali dati macroeconomici, dalla crescita del prodotto lordo all’inflazione, ai conti pubblici, agli scambi con l’estero, oltre a indicatori sulla distribuzione del reddito prima e dopo l’entrata in scena del Governo Berlusconi. Abbiamo escluso gli anni in cui si sono tenute le ultime due elezioni politiche (1996 e 2001) dato che è difficile attribuire i risultati di questo interregno all’uno o all’altro Governo. Il glossario può esservi d’aiuto nell’interpretare il significato di questi indicatori e il motore di ricerca vi servirà per trovare sul sito analisi in grado di spiegare l’andamento dei conti pubblici, della bilancia commerciale, dell’occupazione, e così via.

1997-2000

2002-2005

Crescita e investimenti

– Tasso di crescita Pil medio annuo
(deviazione rispetto a UE-15)

2.2
(-0.9)

0.3
(-1.2)

– Investimenti fissi lordi/Pil(variazione)

+0.2

+0.1

Povertà e disuguaglianza

– Disuguaglianza nei redditi(variazione indice di Gini)

-1.3

1.2

– Tasso di povertà relativa(variazione)

-0.3

1

Mercato del lavoro

– Tasso di occupazione
(variazione)

2.7

1.6

– Tasso di disoccupazione
(variazione)

-1.1

-1.4

Conti pubblici

– Debito pubblico /Pil
(variazione)

-11.1

-2.3

– Deficit pubblico
(variazione)

-5

+1

– Avanzo primario
(variazione)

-0.3

-2.7

– Pressione fiscale
(variazione)

0

-0.7

– Incassi da condono
(media annua)

377 milioni
(0.035% Pil)

10.2 miliardi
(0.76% Pil)

– Spesa corrente primaria
(variazione)

-0.1

2.3

Conti con l’estero

– Partite correnti
(variazione)

52.8 miliardi

-16.9 miliardi

– Stock investimenti diretti esteri
(variazione)

64.2 miliardi

39.5 miliardi

Note: I dati su disuguaglianze e povertà si riferiscono ai periodi 1998-2000 e 2002-4.
         Le variazioni sono 2000 su 1996 e 2005 rispetto al 2001.

… ma anche in avanti

Quando si va a votare è bene, comunque, guardare non solo indietro, ai risultati di questa legislatura, ma anche in avanti, ai programmi presentati dalle due coalizioni per i prossimi cinque anni. Qui a fianco troverete le schede da noi predisposte per riassumere i principali contenuti dei due programmi, evidenziando ciò che li differenzia e ciò che li accomuna.

Le schede coprono i maggiori temi di politica economica, dalle politiche per lo sviluppo a quelle energetiche e ambientali, dai trasporti alle banche e alla finanza, dalle politiche per la concorrenza alle privatizzazioni, dalla scuola al lavoro, dalle pensioni alle politiche per la famiglia, dall’informazione al federalismo, dalla giustizia agli aiuti ai paesi in via di sviluppo. I programmi elettorali sono programmi elettorali. Quindi nascondono molte cose, a partire dai costi delle diverse misure. Il fatto è che se si dicesse quanto costano, si dovrebbe anche spiegare come finanziarle.

Abbiamo tuttavia provato a quantificare i costi dei principali impegni assunti sin qui dai due schieramenti in termini di tagli fiscali e spese aggiuntive. È una stima comunque per difetto perché abbiamo escluso una lunghissima serie di bonus, previsti dai programmi, ma il cui costo è difficilmente quantificabile. Ne forniamo comunque un elenco nella nota allegata, assieme ai dettagli sulle nostre stime.

Il programma della Casa delle libertà costa tra 36 e i 101 miliardi di euro all’anno, dunque tra due punti e mezzo e sette punti e mezzo di Pil. Quello dell’Unione costa tra i 20 e i 24 miliardi, tra 1,4 e 1,7 punti di Pil. La forbice tra valori minimi e massimi si spiega col fatto che i programmi sono reticenti su molti dettagli importanti, fondamentali per valutare i costi delle diverse misure. In questi casi abbiamo voluto stimare i costi delle ipotesi più estreme (meno o più costose per l’erario).
Al di là dei proclami sul recupero dell’evasione fiscale o sugli effetti della crescita, la Casa delle libertà non ha voluto fornire alcun dettaglio sulle presunte coperture. Il ministro Tremonti si è limitato a sostenere che le misure potranno essere coperte da un piano di massicce dismissioni di beni pubblici. L’alienazione di attività possedute dalla pubblica amministrazione può sì portare a un abbattimento del debito pubblico e conseguente riduzione della spesa per interessi, ma provoca allo stesso tempo una perdita di entrate da dividendi per l’erario e un aumento delle spese per riaffittare gli immobili eventualmente ceduti. In valore presente scontato, sotto ipotesi del tutto ragionevoli, il beneficio netto per i conti pubblici è negativo. Quindi si tratta di coperture inesistenti, se non negative. Anche se i tagli venissero messi in pratica, si trasformerebbero in tasse aggiuntive di altra natura, o in minori spese, per lo stesso importo.
L’Unione ha proposto coperture per circa 7 miliardi di euro, fra aumento della tassazione delle rendite finanziarie, aumento dei contributi previdenziali degli autonomi e ripristino dell’imposta di successione sui patrimoni più alti. Dunque circa un terzo degli impegni dell’Unione è in qualche modo credibile.

 

I costi dei principali impegni presi dalle due coalizioni (miliardi di euro)

 

Casa delle libertà (1)

Unione (2)

 

min

max

min

max

riduzione cuneo fiscale

6

6

10

10

pensioni minime

5

30

 

 

quoziente famigliare (1)

3

18

 

 

riordino assegni famigliari e deduzioni fiscali

 

 

1

2

asili nido e non autosufficienti

 

 

4

6

riforma ammortizzatori sociali

 

 

2,5

3,5

terza fase riforma IRE-IRPEF

10

12

 

 

restituzione fiscal drag

 

 

2

2

detassazione utili reinvestiti (1)

5

5

 

 

graduale riduzione IRAP(2)

2,5

25

 

 

abolizione ICI prima casa

2,5

3

 

 

riduzione aliquota depositi bancari(3)

1,9

1,9

0,9

0,9

Totale

35,9

100,9

20,4

24,4

Note: in allegato dettagli sull’elenco degli impegni (secondari) non inclusi in queste stime.

Un accorgimento utile da seguire nel leggere i programmi è guardare le omissioni, i temi non toccati. Segnalano riforme che non verranno fatte del tutto perché non sono una priorità per la coalizione. Per questo le omissioni significano molto di più di tante promesse.

Ciò che non potremo scegliere

Speriamo che queste informazioni vi possano essere utili per scegliere. Ma ci sono anche cose che, purtroppo, non potremo scegliere. Questa volta non potremo decidere le persone al di là dei partiti. È doppiamente un problema. Primo, perché le persone contano spesso molto più dei partiti. Secondo, perché sarà forte la tentazione da parte dei nuovi eletti a usare la delega che viene loro concessa a proprio esclusivo vantaggio personale. Già ora i deputati eletti con il sistema proporzionale, soprattutto i liberi professionisti, ottengono forti incrementi di reddito da “attività esterne” al loro compito di parlamentare e hanno un rapporto molto labile col collegio che li ha eletti. Se gli elettori continueranno a non poter scegliere i deputati, la situazione non potrà che peggiorare. Per questo ci auguriamo che il Governo che si insedierà dopo il voto metta mano subito alla legge elettorale, ripristinando il sistema maggioritario. O almeno il diritto di esprimere preferenze su chi deve rappresentarci alla Camera e al Senato.

 

(1) Fonte Isae Analisi del trattamento fiscale delle famiglie in Italia e prospettive di riforma, ottobre 2004. Altri lavori (Tutino, Indagine conoscitiva sul trattamento fiscale del reddito familiare e sulle relative politiche di sostegno, Audizione alla Commissione finanze e tesoro del Senato, 15 febbraio 2005; Rapallini, Quoziente familiare: valutazione di un’ipotesi di riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, WP Siep, n. 475, gennaio 2006) forniscono stime intermedie.

(2) Il termine di paragone preso è stato il costo della Tremonti-bis che è stato pari a 2,2 miliardi di euro nei sei mesi in cui è stata in vigore nel 2001 ed è stato stimato (Isae, ottobre 2001) attorno a 5 miliardi di euro nel 2002. Il costo annuo ipotizzato di 5 miliardi è comunque sottostimato, in quanto dal programma sembra che la detassazione riguardi tutti gli investimenti e non solo i loro incrementi o parte di essi (come era il caso della Tremonti-bis). Se così fosse il costo sarebbe ben più alto.

(3) Il gettito Irap attribuibile al settore privato è attorno a 25 miliardi di euro. Di questo circa la metà è imputabile alla parte dell’imposta che grava sul costo del lavoro. Ipotizzando una riduzione della base imponibile pari al 20% del costo del lavoro (ipotesi avanzata nel 2001 come primo modulo della riforma fiscale, che prevedeva l’abolizione dell’IRAP e che non è mai stata attuata) il costo è circa 2,5 miliardi.

(4) Il calcolo è effettuato a partire dal gettito Istat delle “ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale” (pari a 8802 milioni di euro nel 2004) e ipotizzando che per il 40% (3521) questo gettito sia imputabile a interessi assoggettabili all’aliquota del 27%. Portare questa aliquota al 12,5 significherebbe perdere 1891 milioni, mentre portarla al 20% limiterebbe il minor gettito a 913 milioni.

 

 

ALLEGATO:

(1) Impegni non considerati nel programma della Casa delle libertà

– detassazione integrale degli straordinari
– sviluppo ulteriore della nuova legge sui distretti industriali
– basic tax del 5 per cento per microiniziative di giovani o anziani
– raddoppio della detassazione degli utili reinvestiti per investimenti in ricerca e innovazione tecnologica
– abolizione della tassa sulle piccole insegne commerciali
– obbligo di versamento Iva solo dopo l’incasso della fattura
– riduzione Iva sul turismo
– incentivi fiscali per l’attrazione in Italia di residenti esteri
– detassazione degli investimenti in riscaldamento e/o difesa termica
– detassazione per la costruzione di posti auto sotterranei
– incentivi a nuove fonti di energia
– abolizione del canone Tv per gli ultra settantenni
– introduzione di un nuovo 5 per mille a sostengo delle famiglie con disabili
– misure di fiscalità di sviluppo (compensativa) a favore delle aree svantaggiate
– detassazione degli asili aziendali e sociali

A questi incentivi fiscali si aggiungono i bonus:

– bonus bebè
– bonus locazioni
– accesso gratuito a teatri, cinema, stadi, trasporti ferroviari, etc. per gli ultrasettantenni

(2) Impegni non considerati nel programma dell’Unione

– credito di imposta automatico sulle spese di ricerca e riconoscimento di agevolazioni automatiche per le assunzioni di ricercatori.
– crediti di imposta pari al 50 per cento delle commesse dalle imprese alle università o agli istituti pubblici di ricerca.
– garantire coperture previdenziali ed assistenziali ai titolari di contratti post-dottorato o di forme diverse di contratti a tempo determinato presso università ed enti di ricerca
– forme di deducibilità fiscale delle spese di ricerca (con garanzia di affidabili meccanismi di verifica), incentivando la nascita di nuove imprese attraverso strumenti fiscali, logistici e finanziari.

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Italians

  1. Kpax71

    Non so come andrà lunedi,ma io ringrazio la CDL per quello che ha fatto. Voglio fare un esempio di questi giorni,mi occupo di società e bilanci e sto chiudendo i bilanci di diverse società. La maggioranza di queste hanno assunto a tempo indeterminato nel 2005,direttamente o passando attraverso brevi periodi di contratti precari di prova. Bene,facendo i bilanci, mi sto ritrovando enormi risparmi sull’irap soprattutto per quelle localizzate nel Mezzogiorno. A questo punto vi chiedo, questo non significa: 1)riduzione delle tasse 2)avvio graduale dell’eliminazione dell’odiata irap 3) incentivo all’occupazione a tempo indeterminato 4) incentivo all’occupazione del mezzogiorno Se non significa questo, mi sa che non ho veramente capito nulla!

  2. luca

    Salve, ho letto con molta attenzione le tabelle relative ai periodi in cui hanno governato le due coalizioni. Se si eccettua 1 dato, forse 2, tutti gli altri numeri e in particolar modo quelli più significativi riguardanti il tasso di crescita del Pil, il deficit e l’avanzo primario giocano a favore dell’Unione. Calcisticamente parlando sarebbe un 2 a zero secco per l’unione contro il polo. Allora io mi chiedo, ribaltando il teorema di Berlusconi, (in realtà il mio ragionamento è di almeno 3 mesi precedente a quello suo), è mai possibile che “l’italietto” sia così cieco da non leggere una situazione tanto limpida e cristallina? Purtroppo all’italietto basta dirgli: Guarda che non pagherai più l’ici o qualche altra trovata di domani, tipo Non pagherai più l’iva per farlo contento e convincerlo! non importa se poi gli ospedali fanno schifo, se la giustizia è lentissima, se la scuola fa rabbrividire, se l’ordine non è assicurato, la cosa più importante è non pagare le imposte, pardon le tasse cosi (“l’italietto”) capisce meglio, dal momento che disconosce la differenza tra imposte e tasse. Comunque vadano le cose ci sono milioni di italiani che la pensano così e io sinceramente non ne posso più di vivere in un paese dove dalla mattina (barbiere) alla sera (meccanico o altro) incontro così tanti ionici!! Il tintinnio di manette io sinceramente lo vorrei sentire per queste persone!! E non mi si venga a dire che l’italietto non paga le imposte perchè sono troppo alte. Quand’anche fossero del 10%, farebbe comunque in modo di pagarne il 5% nella migliore delle ipotesi perchè è nella sua natura, nella sua indole e nessuno lo cambierà mai!

  3. Enrico Prefumo

    Premetto che non sono certamente un esperto della materia, e che pertanto scuserete il mio commento atecnico, ma mi permetto solo di segnalare che, forse ai fini di una maggior comprensione delle differenze di risultato dei due periodi messi a confronti, sarebbe stato opportuno spiegare il contesto economico internazionale vigente nei due periodi messi a confronto.
    Correggetemi se sbaglio ma non credo che l’Italia viva in un ambiente avulso dal resto del mondo economico e pertanto i risultati ottenuti non sono solo frutto degli interventi di politica economica dei singoli attori che ci governano, ma anche il risultato dell’interazione economica e dello stato di salute degli paesi europei e del resto del mondo.
    Senza tale contestualizzazione leggendo i risultati ad esempio della crescita economica riportati in tabella, sembrebbe che le politiche di crescita messe in atto dal centro sinistra siano stato decisamente più efficaci rispetto a quello del centro destra.
    Non credo che questa sia la realtà.
    Ricordo invece che nel periodo di governo del centro sinistra l’economia europea era assia in salute, rispetto al periodo governato dal centro destra.
    Sarebbe inoltre interessante conoscere non solo perchè la spesa pubblica è aumentata.
    Ovvero se ciò sia imputabile a inefficienze e sprechi del governo di centro destra, oppure se la maggior spesa sia dovuta all’aumento dei salari dei dipendenti pubblici, all’aumento delle pensioni ed alla sanità?

    Enrico Prefumo

  4. Daniele

    Interessante soprattutto perchè son dati che spesso contrastano con quello raccontato in questi giorni di campagna elettorale.

    Credo però che per, una comprensione più agevole , almeno dopo elezioni avvenute sarebbe utile far un commento o un analisi sui dati stessi

  5. Alfredo Giannantonio

    I miei vivi complimenti per gli autori di questo articolo.

    Alfredo Giannantonio
    Parma, 08-06-2006

  6. Riccardo Mariani

    Forse sbaglio ma mi sembra che i dati forniti non siano al netto del contesto internazionale.
    Francamente non so se esiste il modo di sterilizzare questa variabile.
    Di sicuro, in un paese che, per quanta possa navigare con il vento in poppa,, non sarà mai una locomotiva, questa variabile sembra decisiva.
    Come se non bastasse i due intervalli considerati stanno proprio a cavallo tra un periodo di boom (addirittura di bolla) e un periodo fortemente recessivo.

  7. Gaetano Vecchione

    E’ giusto affermare che la crescita media del Pil delle legislature 96-01 e 01-06 sia attribuibile, rispettivamente, ai governi precedenti? Il mio dubbio e’ se la colpa dello stallo della crescita durante il governo della Cdl sia interamente da attribuire ad esso stesso o se potrebbe essere il frutto di politiche attuate negli anni (legislature) precedenti.

  8. LP


    Il valore di 101 mld annuo semplicemente non e’: chiunque, addetto ai lavori, comprende che e’ un valore “terroristico” destinato a spostare i consensi e che non puo’ avere corrispondenza nella realta’.
    Certo e’ il valore massimo associabile ad alcuni progetti (o sono tali solo quelli dell’Unione mentre la CdL fa promesse), ma tale target rappresenta un ideale. Perche’ non menzionare che tale valore asintotico sia per ben 48 mld associabile a 2 misure molto sociali: pensioni minime e quoziente famigliare di cui non vi e’ computo nel programma dell’unione (significa che va tutto bene cosi’?).
    Cio’ che vedo, dal vostro articolo, e’ che mentre dal lato CdL vi sono numerosi progetti (realizzabili in tutto o in parte), in quello dell’Unione ve ne sono meno e a minimo impatto sociale. L’unica cosa che vi leggo e’ la solita, inutile, volonta’ pervicace di “redistribuire” i redditi: intanto tolgo a chi produce (mica tutti rubano) e poi vedro’ come allocarle, perche’ io sono giusto e operero’ per il meglio. Mi piace alzare le pensioni minime, inserire il quoziente famigliare (come in Fra e Ger), inserire il “droit de bail” (Fra), tassare gli interessi c/c dedotte le spese bancarie relative, e altre misure sociali non retoriche, se leggo la voce vado da CdL se leggo il Corriere no: perche’ ?

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