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Cosa pensano gli italiani delle tasse

Non ha supporto empirico la credenza che la maggioranza dei cittadini italiani vorrebbe avere più risorse per sé, così da affrontare le molte falle di un sistema di servizi pubblici verso cui nutrirebbe sentimenti di evidente sfiducia. Lo si ricava dall’analisi dei dati dell’ultima indagine Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie. Di fronte all’alternativa meno tasse e meno servizi oppure tasse elevate e maggiori servizi, la maggioranza assoluta del campione sceglie la seconda opzione. Senza grandi distinzioni per reddito, titolo di studio e area geografica.

Superata la boa del confronto elettorale, con la vittoria “ai punti” dell’Unione, è auspicabile che di tassazione si possa finalmente tornare a ragionare con pacatezza, riflettendo non solo sulle proposte in campo in tema di riduzione e riequilibrio del carico fiscale ma anche sui costi-opportunità che ciò comporta.
Incalzata dalla martellante campagna sul fisco del centrodestra (basti ricordare l’annuncio sull’abolizione dell’Ici sulla prima casa), la coalizione di centrosinistra ha risposto presentando voci a volte dissonanti e finendo col promettere che in caso di vittoria la pressione tributaria ed extratributaria non sarebbero comunque aumentate, semmai diminuite. Il tema della riduzione delle imposte, già cavalcato dalla Casa delle libertà nel 2001 e quasi sopito dopo il mancato compimento della riforma fiscale del 2003 (un’Irpef a due sole aliquote marginali, 23 per cento fino a 100mila euro e 33 per cento oltre i 100mila euro), ha tenuto quindi banco anche nell’ultimo test elettorale.

Meno tasse per tutti?

Ma davvero gli italiani pensano che le tasse siano un male in sé e che quindi vadano abbassate rispetto al livello attuale? Davvero le famiglie e le imprese ritengono che una tassazione più bassa sia motivata non solo da ragioni economiche (più sviluppo), ma anche politiche (più libertà), come ha ripetuto per anni il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti?
La più recente indagine campionaria della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane, relativa ai redditi del 2004 e pubblicata nel gennaio del 2006, contiene una sezione sulle opinioni in materia di senso civico e fiscalità di circa la metà dei capifamiglia del campione, intervistati con criteri statisticamente rappresentativi. Chiamati a scegliere tra l’opzione di uno Stato leggero, semplice “guardiano notturno”, e una in cui allo Stato si attribuiscono finalità non solo allocative, ma anche redistributive, a correzione ancorché parziale delle iniquità prodotte dal mercato, i soggetti intervistati sembrano propendere in larga misura per la seconda.
Il 39,8 per cento ritiene infatti che “la funzione dello Stato è quella di fornire a tutti i cittadini il maggior numero di servizi pubblici (scuola, sanità, pensioni, ecc.), anche se il livello della tassazione che ne deriva è molto elevato” (corsivo nostro) e il 33,1 per cento si riconosce nella frase secondo cui “Vi sono spese necessarie per il benessere sociale che lo Stato deve sostenere, quindi bisogna fare in modo che le tasse e le imposte coprano queste spese aumentandole ogni qualvolta sia necessario” (corsivo nostro).
Solo per il 13,5 per cento circa degli intervistati, invece, “Il prelievo fiscale è troppo alto, dunque se non ci sono soldi a sufficienza, bisogna diminuire le spese riducendo i servizi”, così come per il restante 13,6 per cento “Lo Stato dovrebbe prelevare il minimo indispensabile di tasse e imposte per i servizi pubblici veramente essenziali (difesa, giustizia, polizia, ecc.) e lasciare il resto all’iniziativa privata”. In sostanza, posti di fronte all’alternativa meno tasse (e quindi meno servizi) oppure più tasse (o tasse elevate) e maggiori servizi, le famiglie italiane scelgono la seconda.

L’analisi dei dati

L’analisi dei dati mostra che la preferenza accordata a una visione anche redistributiva del ruolo economico Stato è moderatamente crescente all’aumentare del reddito.
Il 64-65 per cento di individui collocati nei due decili più poveri della popolazione si riconosce nelle prime due opinioni, mentre il valore corrispondente per quelli posti nel decile più ricco è del 75 per cento. Valori di poco inferiori, intorno al 73-74 per cento, si registrano nei decili mediani della distribuzione. Solo il 36 per cento degli individui del primo decile, il più povero, vorrebbe al contrario uno Stato “leggero” (ossia opta per la terza o la quarta affermazione di cui sopra). Percentuali ancora minori si registrano nei decili successivi al primo. Non trova quindi supporto empirico la credenza che vede la maggioranza dei cittadini desiderare di avere più risorse per sé, così da affrontare le molte falle di un sistema di servizi pubblici verso cui nutrirebbe sentimenti di evidente sfiducia.
Risultati sostanzialmente simili a quelli che emergono dall’analisi per decili si ricavano se il campione intervistato viene suddiviso in base ad altre caratteristiche socio-economiche quali la condizione professionale, l’area geografica di residenza e il titolo di studio. Ad esempio, in base alla condizione professionale non si registrano marcate differenze rispetto ai valori medi, relativi a tutta la popolazione intervistata. Il 77 per cento degli impiegati e dei dirigenti, il 70 per cento degli operai e il 65 per cento dei lavoratori autonomi (diversi dai liberi professionisti) si riconoscono nella prima o nella seconda affermazione. Solo il 18 per cento dei dirigenti e dei lavoratori non dipendenti si identificano nella frase “Lo Stato dovrebbe prelevare il minimo indispensabile di tasse e imposte per i servizi pubblici veramente essenziali (difesa, giustizia, polizia, ecc.) e lasciare il resto all’iniziativa privata”.
Più servizi (e quindi più tasse) sono invocati soprattutto dai residenti dell’Italia centrale e settentrionale (78 per cento), ma anche al Sud e nelle Isole la percentuale di individui che optano per questa ipotesi sfiora il 67 per cento. La scelta di uno Stato “leggero” è relativamente più gettonata da chi ha un basso titolo di studio (il 29 per cento di quelli con la scuola dell’obbligo) rispetto a chi ha conseguito il diploma (27 per cento) e soprattutto la laurea (20 per cento). Anche in questo caso, tuttavia, la maggioranza assoluta del campione rigetta l’opzione meno tasse (e meno servizi) per tutti.
La rilevazione statistica della Banca d’Italia indaga in una parte del questionario anche l’atteggiamento etico degli intervistati in tema di progressività dell’imposta.
Quanti si riconoscono nel principio costituzionale secondo cui ciascun soggetto è tenuto a contribuire al finanziamento della spesa pubblica in funzione crescente della propria capacità contributiva? Posti di fronte al quesito se si è d’accordo con l’affermazione secondo la quale “più un cittadino guadagna e più alto (in percentuale) dovrebbe essere il suo contributo alle spese sostenute dallo Stato”, il 68 per cento del campione risponde “Abbastanza/molto”, il 20 per cento “Così così” e solo il 12% “Per niente/poco”. Anche in questo caso l’analisi per decili mostra un trend moderatamente sensibile al reddito degli intervistati: nel caso specifico un trend crescente all’aumentare del reddito. Il valore più basso di chi risponde “Abbastanza/molto” è quello del secondo decile (58 per cento), un valore si noti comunque superiore al 50 per cento. Quello più alto è appannaggio del nono decile (73 per cento). Tra coloro che si riconoscono poco o per niente nell’ideale della progressività, le percentuali più elevate si riscontrano nei due decili più poveri della distribuzione, pari rispettivamente al 15 e al 18 per cento.
In termini relativi, sembra quindi che alla redistribuzione operata dalla tassazione progressiva i più refrattari siano i soggetti a basso reddito (che probabilmente comprendono anche una quota di evasori), non già il ceto medio o quelli abbienti. Favorevoli in maggioranza alla progressività appaiono non solo gli impiegati (69 per cento), gli operai (66 per cento) e i dirigenti (61 per cento), ma anche gli imprenditori e i liberi professionisti (55 per cento) e gli altri lavoratori autonomi (53 per cento). Contrari il 17-21 per cento dei lavoratori autonomi, un valore doppio rispetto a quello degli impiegati e dei pensionati (9 per cento).
Quali indicazioni di sintesi ricavare dai dati? Forse che la maggioranza degli italiani ritiene le imposte non già un furto, ma il necessario supporto attraverso il quale l’insieme delle risorse prodotte dalla società viene messo a disposizione dello Stato per finalità collettive. Lungi dall’essere uno strumento intrinsecamente vessatorio, la fiscalità non si contrappone alla libertà di accedere a beni e servizi di natura collettiva o a prestazioni (sanità, previdenza, assistenza, eccetera) la cui fornitura da parte dello Stato è giustificabile su un piano di equità ed efficienza, ma anzi la garantisce. Le tasse non sono un fine in sé. In uno stato che non sia feudale o monarchico, esse servono a coprire il costo dei servizi pubblici, a ridistribuire da chi ha di più a chi ha di meno e a promuovere pari, o almeno non troppo distanti, condizioni di partenza tra i cittadini.
Le pastoie della burocrazia, gli sprechi e più in generale i “fallimenti dello Stato”, fenomeni in cui si imbatte la gestione concreta delle politiche pubbliche, non dovrebbero essere sufficienti a legittimare lusinghe poco credibili (“Meno tasse per tutti”), ma essere di stimolo affinché si proceda con maggior coraggio, anche in termini finanziari, nell’azione di ammodernamento e potenziamento dei programmi di spesa sociale esistenti.

Leggi anche:  Sulla patrimoniale un tabù da superare

 

Tabella 1 – Opinioni su ruolo dello Stato, livello della tassazione e funzionamento dei servizi – Individui distinti per decili di reddito

Decili*

Opinioni

(a) (b) (c) (d)

1

40,55

23,13

20,46

15,86

2

40,12

26,63

16,66

16,59

3

41,45

35,41

10,41

12,73

4

34,19

36,31

16,85

12,65

5

41,68

31,63

13,86

12,83

6

40,01

34,14

14,42

11,43

7

32,82

36,79

14,31

16,09

8

41,40

34,66

10,62

13,32

9

46,70

35,05

7,81

10,44

10

39,94

36,34

10,09

13,63

Totale

39,81

33,06

13,55

13,58

(*) Decili di individui ordinati per livelli crescenti di reddito familiare disponibile equivalente (scala Ocse modificata).

Opinioni:

(a) La funzione dello stato è quella di fornire a tutti i cittadini il maggior numero di servizi pubblici (scuola, sanità, pensioni, ecc.), anche se il livello della tassazione che ne deriva è molto elevato
(b) Vi sono spese necessarie per il benessere sociale che lo Stato deve sostenere, quindi bisogna fare in modo che le tasse e le imposte coprano queste spese aumentandole ogni qualvolta sia necessario
(c) Il prelievo fiscale è troppo alto dunque se non ci sono soldi a sufficienza, bisogna diminuire le spese riducendo i servizi
(d) Lo Stato dovrebbe prelevare il minimo indispensabile di tasse ed imposte per i servizi pubblici veramente essenziali (es.: difesa, giustizia, polizia, ecc.) e lasciare il resto all’iniziativa privata.
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (2006).

 

Tabella 2 – Opinioni su ruolo dello Stato, livello della tassazione e funzionamento dei servizi – Individui distinti per condizione professionale

Condizione professionale

Opinioni

(a) (b) (c) (d)

Operaio

38,17

31,72

14,33

15,78

Impiegato

41,77

36,98

13,40

7,85

Dirigente/direttivo

43,67

33,43

5,30

17,60

Imprenditore/libero prof.

39,17

34,35

8,41

18,07

Altro lavoratore autonomo

34,55

31,18

16,42

17,85

Pensionato

41,88

32,64

13,13

12,35

Altri non occupati

33,97

31,10

17,34

17,59

Totale

39,81

33,06

13,55

13,58

Opinioni (a), (b), (c) e (d): cfr. legenda Tab. 1.
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (2006).

Tabella 3 – Opinioni su ruolo dello Stato, livello della tassazione e funzionamento dei servizi – Individui distinti per area geografica di residenza

Area geografica

Opinioni

(a) (b) (c) (d)

Nord

37,76

37,02

11,24

13,98

Centro

44,21

34,11

11,67

10,02

Sud e Isole

40,03

26,60

18,13

15,24

Totale

39,81

33,06

13,55

13,58

Opinioni (a), (b), (c) e (d): cfr. legenda Tab. 1.
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (2006).

 

Tabella 4 – Opinioni su ruolo dello Stato, livello della tassazione e funzionamento dei servizi – Individui distinti per titolo di studio

Titolo di studio

Opinioni

(a) (b) (c) (d)

Fino alla scuola dell’obbligo

39,77

31,82

14,59

13,82

Diploma

38,38

35,01

12,68

13,93

Laurea e oltre

45,11

35,18

9,12

10,58

Totale

39,81

33,06

13,55

13,58

Opinioni (a), (b), (c) e (d): cfr. legenda Tab. 1.
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (2006).

 

Tabella 5 – Opinioni sul sistema fiscale italiano: “Più un cittadino guadagna e più alto (in percentuale) dovrebbe essere il suo contributo alle spese sostenute dallo Stato”. Quanto è d’accordo?

Decili*

Per niente/ poco

Così così

Abbastanza/molto

1

14,64

18,83

66,54

2

17,98

23,50

58,50

3

10,42

19,26

70,32

4

10,40

20,41

69,20

5

12,21

21,37

66,42

6

12,14

22,27

65,60

7

10,56

18,42

71,03

8

10,44

18,17

71,39

9

10,89

15,93

73,18

10

11,12

24,45

64,44

Totale

12,05

20,28

67,67

(*) Decili di individui ordinati per livelli crescenti di reddito familiare disponibile equivalente (scala Ocse modificata).
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (2006).

Tabella 6 – Opinioni sul sistema fiscale italiano: “Più un cittadino guadagna e più alto (in percentuale) dovrebbe essere il suo contributo alle spese sostenute dallo Stato”. Quanto è d’accordo?

Condizione professionale

Per niente/ poco

Così così

Abbastanza/molto

Operaio

14,08

19,51

66,41

Impiegato

8,89

21,42

69,68

Dirigente/direttivo

18,59

20,51

60,91

Imprenditore/libero prof.

21,31

23,87

54,83

Altro lav. autonomo

17,30

30,01

52,68

Pensionato

9,52

17,42

73,05

Altri non occupati

13,61

22,81

63,58

Totale

12,05

20,28

67,67

Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (2006).

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  1. riccardo boero

    Egregi dottori Colombini e Toso

    lo studio riportato mostra risultati assai interessanti ma a mio parere viziati dagli squilibri della situazione italiana. Un dato di fatto da non dimenticare mai, parlando di tasse, e` il pesante e insostenibile deficit statale, che falsa la percezione del trade-off tasse pagate / servizi erogati.
    In altre parole, l’opinione pubblica perecepisce una qualita` di servizi largamente superiore allo sforzo di pagare le tasse, (grazie al deficit), e chiaramente vorrebbe insistere in questa direzione.
    Ammettiamo ora di ripetere il sondaggio in una situazione risanata. A parita` di servizi, occorrerebbe un livello di tassazione tale da generare un grave malcontento verso il fisco che certo modificherebbe i risultati del sondaggio. Se invece risanassimo la situazione tagliando i servizi, il budget necessario per pagarli privatamente causerebbe alle famiglie tali difficolta` da diventare assolutamente intrattabili su ogni proposto aumento di imposte, dunque anche qui i risultati del sondaggio non sarebbero gli stessi.
    In conclusione, la presenza del deficit rende il sistema tasse / servizi estremamente vantaggioso per gli italiani, che senza alcuna sorpresa vorrebbero approfittarne ancora di piu’. Peccato pero’ che nel sondaggio non sia possibile interrogare i nostri nipoti che in un modo o nell’altro dovranno pagare la fattura inflazionista di un deficit finanziato con l’espansione monetaria.

  2. Rinaldo

    Per semplicità di riferimento, riproduco qui sotto uno stralcio (il più significativo) dell’articolo in oggetto:

    “Chiamati a scegliere tra l’opzione di uno Stato leggero, semplice “guardiano notturno”, e una in cui allo Stato si attribuiscono finalità non solo allocative, ma anche redistributive, a correzione ancorché parziale delle iniquità prodotte dal mercato, i soggetti intervistati sembrano propendere in larga misura per la seconda.
    Il 39,8 per cento ritiene infatti che “la funzione dello Stato è quella di fornire a tutti i cittadini il maggior numero di servizi pubblici (scuola, sanità, pensioni, ecc.), anche se il livello della tassazione che ne deriva è molto elevato” (corsivo nostro) e il 33,1 per cento si riconosce nella frase secondo cui “Vi sono spese necessarie per il benessere sociale che lo Stato deve sostenere, quindi bisogna fare in modo che le tasse e le imposte coprano queste spese aumentandole ogni qualvolta sia necessario” (corsivo nostro). ”
    Invero interessante e singolare la conclusione alla quale giungono gli autori dell’articolo!
    Ma davvero la logica conclusione a cui si debba arrivare con le risposte ai sondaggi sia quella dagli autori immaginata?

    E se per caso, invece, volessero dire che:

    “Non è affatto necessario rinunciare al maggior numero possibile di appropriati servizi pubblici erogati dalla Stato, ne tantomeno è auspicabile ridurre il benessere sociale a cui le tasse dovrebbero provvedere ma: NON PAGANDO PIU’ TASSE, BENSI RIDUCENDO GLI ENORMI SPRECHI E LE STRUTTURE ESUBERANTI ED IMPRODUTTIVE, TIPICHE DEL NS. STATO !!!
    Forse questa opzione non è stata presa in considerazione dai redattori!

  3. Gianluca Reggiani

    Dall’articolo sembrerebbe che i contraenti del patto fiscale siano due: i cittadini e lo Stato. Vorrei permettermi di insinuare il dubbio che essi, invece, siano tre: del terzo, però, curiosamente, non si parla mai.
    Lo Stato, infatti, prima si indebita con la Banca d’Italia-BCE, dando titoli in cambio di banconote, poi offre servizi, quindi tassa i cittadini per restituire i soldi alla Banca d’Italia. Se il patto fiscale fosse a due, i cittadini non potrebbero pagare nulla, perché non esisterebbero le banconote: queste ultime, infatti, non sono emesse dallo Stato, bensì dalla Banca d’Italia.

    Nel suo bilancio la stessa Banca pone al passivo l’intera somma delle banconote in circolazione; medesima operazione compie lo Stato, che d’altra parte per avere quelle banconote dà in cambio titoli: perché di questo particolare bene (così prezioso) nessuno vuole dichiararsi proprietario?

    In realtà nel 1971, anno dell’abolizione della convertibilità oro/dollaro, le Banche centrali avrebbero dovuto aggiornare il modo di redigere il bilancio.
    Se prima aveva una giustificazione porre al passivo le banconote, perché almeno ufficialmente esse avevano un corrispettivo nell’oro inscritto all’attivo, con l’abolizione della convertibilità oro/dollaro il denaro si è trasformato in un bene garantito dal nulla: le Banche centrali dovrebbero quindi porre al passivo i costi tipografici di produzione e all’attivo l’intero valore nominale del denaro stampato.

    Proviamo a immaginare uno Stato “democratico” che stampi banconote dal nulla, le iscriva per sbaglio al passivo e poi dichiari: “Cari cittadini, abbiamo un debito cospicuo: per ridurlo non possiamo far altro che ricorrere a un prelievo fiscale dell’x%”. In uno Stato siffatto vi sarebbe ben poca democrazia, perché il Parlamento si renderebbe responsabile dell’immotivato indebitamento dei cittadini, evidentemente a favore di alcuni creditori non dichiarati.

    Prerogativa dei sovrani è dunque il diritto di commettere un errore di bilancio.

  4. Giuseppe Fedeli

    Estraggo dal vostro articolo la seguente porzione di frase:
    “Le pastoie della burocrazia, gli sprechi e più in generale i “fallimenti dello Stato”, fenomeni in cui si imbatte la gestione concreta delle politiche pubbliche, non dovrebbero essere sufficienti a legittimare lusinghe poco credibili….”.
    In essa viene accennato un uso inefficiente delle risorse prelevate tramite la tassazione; uno spreco in cui ci ” si imbatte” ineluttabilmente.
    A quando una analisi degli sprechi e dei costi sopportati senza un ritorno adeguato ?

    Giuseppe Fedeli.

  5. claudio poli

    Ho l’impressione che anche in questo caso funzioni il NIMBY, nel senso che, in astratto, la risposta positiva a PIU’ TASSE per PIU’ SERVIZI può anche essere data dalla maggioranza degli intervistati, ma probabilmente pensando che ciò riguardi altre categorie sociali. I lavoratoti autonomi in specie, pur non potendolo dichiarare apertamente, sono anche fortemente contrari a pagare le tasse che già ci sono e la misura dell’evasione fiscale è lì a dimostrarlo……..

  6. raffaello lupi

    Molti sarebbero d’accordo nell’avere piu’ tasse e servizi pubblici efficienti. Se però si scende nel concreto, è generalmente condivisa la sensazione che il settore pubblico “spenda peggio” . cioè in modo meno efficiente, di come fanno i privati. L’ostilità verso le tasse è quindi probabilmente dovuta alla sensazione che molte delle risorse in questo modo incamerate vadano in concreto sprecate. Anche grazie al lassismo e alla burocratizzazione nella gestione di gran parte degli uffici pubblici. Non a caso, la disaffezione fiscale è minore dove i servizi pubblici sono piu’ efficienti e ci sono meno sprechi (vedi Emilia Romagna e altre regioni “Rosse”).
    Occorre poi fare i conti anche con la sensazione di iniquità nella ripartizione dei carichi fiscali, addossati in gran parte ai titolari di capacità economica facile da individuare e tassare. Non è il caso di lanciare velleitarie e impotenti campagne contro alcuni milioni di “autonomi” (si è fatto male a parlare di “manette” in campagna elettorale). Occorre piuttosto “portare un livello ragionevole di tassazione dove non c’è”, cosa che il governo berlusconi (un po’ per pigrizia e un po’ per calcolo politico aveva fatto solo “tramite condono”). Nessuno è nemico di piccoli commercianti e artigiani, e probabilmente chiunque altro, al loro posto, dichiarerebbe redditi poco verosimili se avesse la (fondata) sensazione che la probabilità di controllo è statisticamente irrisoria, e oltretutto basata su studi di settore dai risultati inevitabilmente “sottostimati”. Chi ha capacità economica “emersa” è arrabbiato perchè è tartassato, e chi ce l’ha “sommersa” si sente criminalizzato. Per arrivare a redditi “ragionevoli” personalizzati, occorre la stessa flessibilità necessaria a eliminare gli sprechi sulla spesa. E’ l’indolenza burocratica a far perdere la faccia a tutto ciò che è pubblico.

  7. Giulio Tassoni

    Egr. prof. Toso,
    questo interessante articolo non può non farmi pensare che, ancora una volta, gli italiani dicano una cosa e ne pensino un’altra. Non so se questo sia dovuto ad una percezione generale di egoismo, relativamente al taglio dei servizi. Ma è indubbio come non si possa collegare questo sondaggio a quelli pre-elettorali. Il punto è, tuttavia, più complesso, e riguarda la sensazione, che gli italiani hanno, che il pubblico sprechi risorse e che questo spreco sia alla base del grande stock di debito pubblico cui ogni governo dovrebbe far fronte. Il fatto che dal ’92 al ’01 si siano attuate manovre economiche improntate al virtuosismo fiscale, e che queste politiche abbiano salvato il nostro Paese da quello che osservatori estremamente qualificati (uno su tutti: Dornbusch) descrivevano come un fallimento inevitabile, non è preso in alcuna considerazione. Qualcuno obietta che questo virtuosismo è stato messo in atto a spese dei contribuenti, con manovre “lacrime e sangue” (il che è vero, con un’unica eccezione: l’eurotassa), ma questo, secondo me, non fa che confermare la tesi sopra esposta: gli italiani percepiscono il prelievo fiscale come qualcosa di iniquo (non a caso Berlusconi ha proposto di tagliare l’ICI, un’imposta indiretta con uno scarso grado di progressività, attenuato solamente dalla detrazione per la prima casa), ma si vergognano a dirlo. In realtà, infine, in considerazione del soprammenzionato stock di debito pubblico, il prelievo fiscale in Italia non ha solo il compito di sostenere i servizi pubblici, ma anche di generare avanzi. Secondo me c’è una assoluta non curanza di questo aspetto da parte dell’elettore medio. Insomma: il “grande malato d’Europa” aspettava solamente qualcuno che gli dicesse che gli avrebbe tolto le medicine, anche a colpi di televendite. Mi sembra ovvio che l’abbia trovato. Il punto semmai è: vale la pena condividere una malattia con chi non si vuole curare?
    Grazie

  8. Simone Sereni

    Commento, perchè molto colpito dalla maggior parte dei commenti all’articolo di Colombini e Toso di cui ho letto solo alcune frasi…
    Ma è possibile che quando parliamo di fisco (e la campagna elettorale lo ha tristemente mostrato) siamo tutti concentrati sul “come” e “dove” ma nessuno ci dice più “perchè” (pagare le tasse)?
    Anche il “perchè” è un elemento di politica economica (mi pare si chiami “scelta di valore”)… chi ancora obietta all’uso del prelievo fiscale con l’argomento della presunta maggiore efficienza della “legge della giungla” vs Servizi pubblici, sta chiaramente scegliendo il principio di “valore” della disgregazione sociale.
    Credo sia responsabilità di tutti gli attori in uno stato civile (conquistato dopo millenni di storia) non tornare alla legge del più forte (tradotto: chi può e finchè può, se la cava da solo). Anche questa è tema da politica economica e fiscale.

  9. Hominibus

    Richiamiamo l’attenzione degli autori sull’aspetto che é sempre ignorato da chi tratta l’argomento tasse.
    Il lato che rimane sempre escluso da approfondimenti é quello che precede la spesa e riguarda la modalità del prelievo in cui si consuma un vero e proprio imbroglio amministrativo.
    Lo Stato dice che i cittadini debbono contribuire alla copertura delle spese per servizi indivisibili in proporzione alla loro capacità contributiva, dando la libertà all’amministratore di turno di fare come gli pare mediante azioni separate su patrimonio, reddito e rendite in assenza completa di raziocinio, salvo quello di salvaguardare la ricchezza conseguita.
    Vi preghiamo di volere stimolare una seria riflessione su questa disonestà manifesta.

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