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Le regole dell’associazione

Le associazioni di categoria hanno reagito con severità nei confronti dei soggetti coinvolti nelle recenti vicende giudiziarie. Tuttavia, nessuno si è chiesto cosa fare prima, per evitare che si ripetano i fenomeni patologici. Invece, una associazione che sappia definire in anticipo rigorosi standard di comportamento con idonee procedure di monitoraggio e di sanzione, non diverrebbe certo immune dalle illegalità, ma sarebbe in grado di ricostituire quel capitale di fiducia del quale le nostre relazioni economiche hanno oggi straordinario bisogno.

Che cosa hanno in comune l’Abi, la Confcommercio e la Lega delle cooperative? Sono strutture associative con caratteristiche tra loro profondamente diverse. L’Abi ha il compito di tutelare gli interressi del sistema bancario, la Confcommercio quelli delle imprese che operano nel terziario, la Lega delle cooperative svolge invece attività di tutela, promozione e assistenza nei confronti, appunto, delle cooperative.
Le tre associazioni hanno però condiviso la non piacevole situazione di avere propri esponenti o rappresentanti di imprese aderenti coinvolti in vicende giudiziarie di indubbia gravità. Ovviamente, sebbene ricorrano intrecci e rapporti con le stesse persone, queste vicende non sono in alcun modo tra loro assimilabili e bisogna stare lontani da una facile e strumentale confusione che prescinda da un rigoroso accertamento delle singole responsabilità.

Misure severe verso gli indagati

C’è però un dato che merita di essere sottolineato. Di fronte agli interventi dell’autorità giudiziaria, tutte queste associazioni hanno adottato severe misure: dall’avvio di una verifica indipendente sui propri conti, alla espulsione dei soggetti al centro delle indagini della magistratura, mostrando, così, il desiderio di una immediata reazione per evitare un danno di immagine che si riflette sull’intera categoria di interessi rappresentati. Nessuno si è però chiesto, con la dovuta dose di autocritica, se, e prima che i buoi scappassero dalla stalla, esistessero strumenti efficaci per prevenire comportamenti patologici dei propri esponenti o aderenti. È del tutto evidente che non esistono naturali doti profetiche e che le associazioni di categoria non possono e non devono sostituirsi agli organi inquirenti nella caccia agli illeciti. Ma è altrettanto evidente che da tempo emergevano preoccupanti segnali di situazioni quanto meno opache che qualche dubbio avrebbero dovuto sollevare e che avrebbero meritato di essere controllate nel loro evolversi.

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Interressi, associazioni e buone pratiche

In altri termini, le associazioni che organizzano e assistono un così vasto numero di imprese si devono limitare a una mera, e ovviamente giusta, opera di rappresentanza o devono anche occuparsi di favorire nei comportamenti dei propri aderenti la condivisione di valori coerenti con le finalità che le ispirano? In fin dei conti, la strada maestra per promuovere gli interessi di categoria è quella di generare un clima di fiducia e di rispetto, inevitabilmente compromesso da eventi patologici che finiscono con l’espandersi al di là dei loro oggettivi confini.
Proprio quello che è successo nei mesi passati testimonia come sia diffusa la tentazione di confondere singoli, quanto rilevanti episodi, con le disfunzioni di un intero sistema, confusione che potrebbe essere evitata (o quantomeno attenuata) con qualche più efficace intervento preventivo.
Nel nostro tessuto sociale le organizzazioni di categoria rivestono per tradizione un ruolo di grande rilievo anche come soggetti che partecipano alla formazione di scelte politiche e legislative ed è quindi importante che siano, e soprattutto vengano percepite, come motori di diffusione e controllo di “buone pratiche” dei propri aderenti.

Non basta punire chi sbaglia

Sono nate su questo terreno iniziative apprezzabili, ma, è forse mancata una più attenta verifica della reale possibilità di selezionare e controllare gli aderenti secondo parametri “virtuosi”.
Possono esserci forme di autodisciplina in grado di definire una sorta di rete protettiva per favorire trasparenza nei comportamenti, professionalità, affidabilità e responsabilità di quella collettività che si riconosce nella struttura associativa, ma che nello stesso tempo si avvale anche del suo riconoscimento?
Non bisogna farsi illusioni: l’autoregolamentazione non ha virtù miracolistiche e non si sostituisce certo allo Stato nell’individuare le illegalità. Se, però, è fondata su vincoli realmente condivisi e adeguatamente stringenti, può avere un ruolo importante nel creare un ambiente ostile al loro prodursi. D’altronde, nel nostro ordinamento si stanno sempre più diffondendo modalità di cooperazione e coordinamento tra il regolatore pubblico e le organizzazioni collettive, in qualità di regolatori privati, nella disciplina delle attività di impresa e professionali.
Una associazione di categoria che non si limiti a essere severa con chi ha sbagliato, ma che sappia definire in anticipo rigorosi standard di comportamento con idonee procedure di monitoraggio e di sanzione, non diverrebbe certo immune dalle mele marce, ma sarebbe in grado di ricostituire quel capitale di fiducia del quale le nostre relazioni economiche hanno oggi straordinario bisogno.

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  1. Antonio De Franco

    Propongo la traduzione dell’articolo del prof. Vella agli economisti Inglesi, Tedeschi, Usa, Indiani, Giap., ecc. con comparazione dell’istituto associativo sindacale tra le diverse nazioni.
    Si avrà modo di rilevare che il nostro non ha eguali come non ha eguali, ad es., il ruolo pubblico dei professori universitari assunti a tempo indeterminato senza alcuna valutazione sulla qualità del loro operato in favore degli studenti nel tempo.
    A monte di teoriche questioni morali (e di regole) dell’associazionismo sind.le vi è la necessità reale di estrometterlo dal “parastato” (quando una associazione è a libro paga del Governo si dice anche “dirigismo”) e porre fine all’intermediazione di funzioni e di danaro pubblici, insomma di “privatizzarlo” così che risponda effettivamente e soltanto alla sua base.
    Una associazione sind.le che provvede “soltanto” (che minimalismo regressivo!!!) alla tutela dei suoi iscritti con le quote da essi versate a non altro titolo che non sia quello dell’iscrizione possono conseguire la propria moralità con immediatezza, trasparenza e linearità ma soprattutto in modo autonomo (l’indipendenza dovrebbe essere un valore per tali organismi fatto salvo il severo controllo dell’opinione pubblica).
    La sinossi dei sistemi ci chiarirà anche la differenza che c’è tra “concertazione” e “corporativismo” che rimanendo all’interno del sistema nazionale resta molto confusa e dai contorni sfumati.
    Grazie. Antonio De Franco

    • La redazione

      La ringrazio per il commento con il quale in parte concordo, in parte dissento. Concordo quando fa riferimento ai docenti universitari per i quali un rapporto di lavoro incardinato su una attenta e costante verifica dei risultati conseguiti, sul piano della didattica e della produzione scientifica, sarebbe più trasparente, funzionale ed efficiente.
      In parte dissento, invece, sul ruolo delle associazioni, se ho ben inteso il Suo pensiero.
      Mi occupo di diritto dell’impresa e dei mercati finanziari e Le posso assicurare che in Inghilterra come negli Usa le associazioni di rappresentanza hanno una importante funzione di compartecipazione alle scelte di regolamentazione (in alcuni casi addirittura nominano alcuni dei membri delle Autorità di controllo) . Questo, non in omaggio ad uno spirito corporativo, ma in ragione del fatto che è lo stesso legislatore a favorire e incentivare la funzione di filtro della autodisciplina privata. Ed è questa una scelta evidentissima anche nella più recente evoluzione dell’ordinamento comunitario. D’altronde, più i privati mostrano capacità di darsi proprie regole facendole anche rispettare, più si allontana il rischio di interventi pubblici rigidi ed eccessivamente vincolanti.

  2. marcello battini

    alle associazioni indicate nell’articolo, ritengo sarebbe opportuno aggiungere anche la categorie di liberi professionisti, specialmente i medici che, stando alle cronache giudiziarie, troppo spesso sono coinvolti in vicende non esaltanti.

    • La redazione

      Nel mio intervento ha richiamato le recenti vicende che hanno coinvolto
      associazioni imprenditoriali, ma, ovviamente, e con le dovute
      modulazioni, i criteri per rendere più stringente ed efficace
      l’autoregolamentazione possono valere anche nel campo delle professioni.
      Grazie per il commento

  3. Guido Di Massimo

    Caro Professore,

    come anche Lei scrive nel suo articolo, le associazioni di categoria si preoccupano dei loro interessi (e aggiungerei “innanzitutto” o “solamente” dei loro interessi, e di conseguenza anche in genere oggettivamente a danno degli “esterni” all’associazione). Se intervengono contro qualche iscritto è solo perché e quando l’iscritto ha recato un danno pubblico di immagine controproducente per la categoria stessa. L’autoregolamentazione difficilmente dà buoni risultati per il semplice motivo che il gruppo di controllo dell’associazione, che deve proporre e applicare il codice di autoregolamentazione, deve in genere avere l’assenso degli iscritti che difficilmente darebbero il loro assenso a chi li costringerebbe a regole diverse da quelle del loro interesse; in pratica in ogni autoregolamentazione si annida un conflitto d’interessi. Né l’intervento dello Stato risolverebbe; anzi, peggiorerebbe il legame – oscuro e quindi negativo – che lega le associazioni allo Stato. A me sembra che l’unico modo per garantire la moralità e trasparenza di un’associazione sia quella – una volta stabiliti “standard di comportamento” sani – di demandarne la verifica ad organi esterni privati, indipendenti e che siano sostituiti con una certa frequenza: questo ad evitare sia la nascita di “incrostazioni” e collegamenti troppo “familiari” tra controllori e controllati, sia l’intervento della magistratura (la società dovrebbe funzionare autonomamente evitando di diventare una società “vigilata” ovunque da giudici e poliziotti che dovrebbero avere altro a cui pensare).

    Cordialmente. Guido Di Massimo

    • La redazione

      Caro Di Massimo,
      La ringrazio per le osservazioni e sono assolutamente d’accordo.
      L’autoregolamentazione, per non risolversi in una mera operazione
      “promozionale”, presuppone non soltanto buone regole, ma anche, e
      soprattutto,buone sanzioni per chi le regole non le rispetta. Sotto
      questo profilo, la presenza di comitati esterni alle associazioni,
      formati da persone autorevoli e indipendenti, e con il compito di
      verificare la reale e concreta applicazione dei codici di
      autodisciplina, potrebbe proprio prevenire quei rischi di “familiarità”
      tra controllori e controllati che Lei giustamente sottolinea.
      Un cordiale saluto

  4. Gianni Carlucci

    Scusi ma De Franco non metteva in predicato la funzione delle associazioni sindacali ma il fatto tutto italiano che il sindacato è parastato cioè è a carico del bilancio dello Stato svolgendo una politica sindacale dirigista. Insomma in Italia il soggetto economico delle OO.SS. non sono gli iscritti bensì lo Stato proprio secondo l’impostazione del sindacato corporativo fascista. Non condividere l’analisi di Antonio De Franco vuol dire o non conoscere il sistema italiano o essere in malafede e difendere l’indifendibile.

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