Lavoce.info

Il match point del doppio turno

Il problema dell’Italia non è la sostanziale equivalenza in termini di consenso delle due coalizioni. Anzi, significa che il sistema politico italiano ha ormai trovato un suo schema bipolare e competitivo. La questione è invece la legge elettorale, che va cambiata. Il maggioritario a doppio turno, già utilizzato nell’elezione dei sindaci, unisce due pregi: limita la capacità di ricatto dei partiti estremisti e consolida gli incentivi all’aggregazione tra le forze politiche in due schieramenti contrapposti. E va abbandonato il bicameralismo perfetto.

Se mai ci fosse stata qualche residua incertezza sulla qualità della nuova legge elettorale, i risultati sono lì a fugarla. Abbiamo un vincitore, ma privo della maggioranza sufficiente per governare con tranquillità in una delle due Camere. Per di più, il sistema proporzionale esaspererà il conflitto all’interno di una coalizione di Governo già troppo eterogenea. Ciascun membro della coalizione vincente cercherà di proteggere il proprio elettorato di riferimento a scapito degli alleati. Al Senato, dove letteralmente ogni singolo voto sarà determinate, ciò può significare la completa paralisi dell’attività legislativa. Una paralisi che non ci possiamo permettere, stante la stasi economica e la difficile situazione dei conti pubblici. 

 

Il problema

 

Il problema non è la sostanziale equivalenza in termini di consenso delle due coalizioni, la cosiddetta “spaccatura” del paese. Anzi, questa è paradossalmente un bene, perché significa che dopo un decennio di esperimenti, il sistema politico italiano ha ormai trovato un suo schema bipolare e competitivo, con maggioranze di diverso orientamento politico che possono facilmente avvicendarsi al governo del paese. Semmai, il problema è esattamente l’opposto: l’incapacità di governare rischia di mandare in frantumi il sistema bipolare, facendoci ripiombare nel marasma di Governi brevi, coalizioni instabili e trasformismi politici che fino agli anni Novanta hanno di fatto impedito agli italiani di scegliersi chi li governava.

 

La madre di tutti i problemi è la nuova legge elettorale, che non ha consentito alla coalizione che ha ottenuto più voti di avere i numeri per governare, e che non offre ai politici gli incentivi giusti per farlo bene. Non c’è dubbio dunque che debba essere cambiata. Prima del voto, l’Unione si è impegnata a modificarla, e a farlo con il più ampio consenso possibile. È opportuno che tenga fede all’ impegno. E prima il dibattito parte, meglio è. Più si avvicina il momento delle elezioni, più diventa difficile cambiare la legge, perché ogni partito penserà solo all’effetto sui suoi seggi in Parlamento. Inoltre, cambiare la legge elettorale potrebbe accelerare la formazione di nuove aggregazioni politiche (il partito democratico a sinistra, un partito moderato a destra), il che ridurrebbe la conflittualità all’interno delle coalizioni. Infine, se la nuova maggioranza non dovesse reggere alla prova, votare di nuovo con questa legge riprodurrebbe l’impasse attuale. La riforma della legge elettorale deve quindi essere una priorità del nuovo Parlamento. Ma in che direzione cambiarla?

 

La riforma della riforma

 

Ci sono due possibilità concrete. Una è quella di ritoccare la legge elettorale attuale, mantenendone la struttura, ma eliminando i difetti più evidenti. Per esempio, reintroducendo le preferenze nella scelta dei candidati. Questa soluzione andrebbe forse nella direzione di migliorare la qualità della classe politica , ma non risolverebbe il problema della eterogeneità delle coalizioni e del potere di veto dei piccoli partiti, e non garantirebbe una maggioranza conforme nelle due Camere. Una possibile soluzione al primo problema è aumentare in modo rilevante le soglie minime per ottenere la rappresentanza parlamentare dei partiti. Ciò ridurrebbe la presenza delle frange estreme in Parlamento, ma non l’incentivo dei partiti residui a competere all’interno delle coalizioni per gli stessi voti. Questo incentivo è insito nello stesso sistema proporzionale.

Inoltre, la riduzione del ruolo delle frange estreme rafforzerebbe il centro dello schieramento politico. Dietro l’apparente seduzione di una moderazione della conflittualità, vi sarebbe il rischio di un ritorno al passato: il “centro” resta eternamente al potere, alleandosi di volta in volta con una parte o l’altra dello schieramento politico residuo. In modo neppure troppo nascosto, è a questo modello che mirano i partiti centristi che hanno sostenuto la riforma elettorale e che adesso sostengono la necessità di una grande coalizione. Ma è uno schema che abbiamo già conosciuto, e le cui conseguenze, in termini di inefficienza nell’azione pubblica e di corruzione politica, sono ben note.

Anche l’introduzione della “sfiducia costruttiva” alla tedesca non risolverebbe il problema. La “sfiducia costruttiva” cura l’instabilità, ma non rinforza la capacità di decidere dei Governi e non rimedia all’eterogeneità delle coalizioni.

 

Il ritorno al maggioritario

 

Una soluzione alternativa potrebbe essere il ritorno al sistema elettorale precedente, abolito dal Governo uscente. Ciò avrebbe il vantaggio della semplicità: si tornerebbe al sistema sperimentato nell’ultimo decennio, che ha garantito stabilità alle legislature e la possibilità dell’alternanza. Ma, anche se si trovasse il consenso politico per tornare indietro, il Mattarellum non era esente da critiche. Intanto, i seggi assegnati su base proporzionale (il 25 per cento) mantenevano le tendenze disgregatrici tipiche del sistema proporzionale puro. Inoltre, il sistema maggioritario a turno unico ha aumentato il potere contrattuale dei partiti estremisti. Pur senza disporre di grandi consensi a livello nazionale, questi partiti hanno imposto la propria agenda politica sugli altri membri della coalizione con il ricatto che altrimenti avrebbero presentato un loro candidato nei collegi uninominali. A riprova di quanto fosse credibile, si ricordi che il centrodestra ha perso le elezioni nel 1996, quando si è presentato senza la Lega Nord, e il centrosinistra nel 2001, quando si è presentato senza Rifondazione comunista.

Leggi anche:  Soldi ai partiti: un pericoloso salto all'indietro

 

Il maggioritario a doppio turno

 

È dunque indispensabile trovare un sistema elettorale alternativo, che riproduca i vantaggi del maggioritario senza offrire potere di ricatto ai partiti estremisti. Questo sistema esiste ed è in parte già praticato in Italia, nelle elezioni per il sindaco nei comuni con più di quindicimila abitanti. È il sistema maggioritario a doppio turno, che consente solo ai due candidati più votati al primo turno di ripresentarsi al secondo. Unisce due pregi. Da un lato, limita la capacità di ricatto dei partiti estremisti. Dall’altro, consolida gli incentivi all’aggregazione tra le forze politiche in due schieramenti contrapposti. Converrebbe senz’altro ai principali partiti, tant’è vero che era stato proposto e quasi accettato nel momento di massimo dialogo istituzionale tra le forze politiche, durante l’esperienza della Bicamerale del 1997. Passata la febbre elettorale, è possibile che se ne possa riparlare.

 

L’abbandono del bicameralismo perfetto

 

Infine, si dovrebbe ammettere che nessuna di queste soluzioni è in grado di garantire la stessa maggioranza nelle due Camere. La difficoltà si è manifestata con chiarezza in questa tornata elettorale, ma si era presentata anche in occasioni precedenti e con un diverso sistema elettorale (il Governo Berlusconi del 1994, privo di maggioranza al Senato). I termini del problema sono in realtà molto semplici. O si rendono esattamente identiche le due Camere (compreso l’elettorato passivo), oppure c’è sempre la possibilità, teorica e pratica, che i risultati possano divergere, quale che sia il sistema elettorale. Ma se si rendono esattamente uguali le due Camere, che senso ha averne due? È chiaro che l’unica soluzione razionale è la “specializzazione” delle Camere per funzioni, abbandonando il bicameralismo perfetto che è ormai una specificità solo italiana nel contesto dei paesi avanzati. Il suo superamento è un’ipotesi continuamente avanzata nel dibattito politico: è presente nella riforma costituzionale approvata dal centrodestra, e anche nel programma elettorale dell’Unione. Sfortunatamente, il problema sembra di ancor più difficile soluzione che una modifica della legge elettorale.

Leggi anche:  Venezuelani al voto in un paese distrutto

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Soldi ai partiti: un pericoloso salto all'indietro

Precedente

Un Programma di stabilità di legislatura

Successivo

Un’autostrada che porta in Spagna

18 commenti

  1. Maurizio Grassi

    Concordo quasi completamente con la tesi degli autori. Il doppio turno suggerito è quanto il professor Sartori va ripetendo almeno da una decina di anni avendo fatto anche proseliti, a suo tempo, tra le forze politiche (D’Alema su tutti). Direi che il modello elettorale delle amministrative nei grandi comuni dovrebbe essere esteso a tutti i tipi di elezione cui sono chiamati i cittadini: amministrative per comuni al di sotto dei 15.000 abitanti, elezioni regionali, europee e politiche. Se funziona per città come Milano o Roma perchè non dovrebbe funzionare anche per realtà più piccole o più grandi?
    Sul bicameralismo invece nutro qualche riserva: preferirei che le due camere fossero rese identiche invece che specializzarne una (magari riducendo a 315 i deputati e riducendo a 18 l’età per votare al Senato). Ciò per un motivo di salvaguardia legislativa. E’ bene che su provvedimenti di rilevanza nazionale, che possono essere anche molto gravi – si pensi la decisione del governo D’Alema di appoggiare i bombardamenti NATO in Bosnia – ci si fermi a riflettere almeno in due fasi distinte per ridurre i rischi di errore. E’ lo stesso principio per cui esistono due gradi di giudizio di merito nei processi o due piloti sugli aerei.
    Se la preoccupazione è una maggior efficienza del Parlamento nel legiferare si può pensare di riformare i regolamenti delle due camere ad esempio rendendo più difficile l’ostruzionismo.

  2. Igor Iattoni

    Sono perfettamente d’accordo con quanto argomentato dagli autori, soprattutto nell’ultima parte dell’articolo. In particolare sono fermamente convinto che questo risultato elettorale abbia dimostrato quanto sia superato il bicameralismo perfetto, che poi perfetto non è viste le differenze anche in termini di elettorato passivo che probabilmente anche con altre leggi elettorali avrebbero determinato maggioranze diverse nei due rami del Parlamento. Il punto è, e su questo non concordo con il lettore Maurizio Grassi, che o si riconoscono compiti e prerogative diverse alle due camere o le si deve equiparare in tutto e per tutto, rendendone una il clone dell’altra. Ma di enti inutili forse in Italia ne abbiamo già troppi. Non credo poi che il bicameralismo risponda all’esigenza di permettere una maggiore riflessione su temi particolarmente importanti, poichè normalmente i casi portati ad esempio dal lettore Maurizio Grassi necessitano tempi rapidi e votazioni delle due assemblee molto ravvicinate. Al contrario è dimostrato che il bicameralismo rallenta le decisioni e la formazione delle leggi, portando a volte alla paralisi su alcuni temi (si pensi a quante volte abbiamo letto sui giornali che una proposta di legge, già approvata alla Camera, giace al Senato dove non ne è prevista neppure la discussione, o viceversa).
    Ma forse pretendere che siano i parlamentari a decidere di eliminare un ramo del Parlamento è un po’ troppo, tant’è che non mi sembra che nelle discussioni fra i politici ascoltate in questi giorni il problema sia stato sollevato.

    • La redazione

      Grazie per la richiesta di precisazione
      Abbiamo in mente il modello francese, doppio turno di collegio.

  3. Fabrizio Tonello

    Benché sia, in generale, d’accordo con le conclusioni degli autori sul doppio turno, dissento radicalmente da una loro affermazione: “il sistema maggioritario a turno unico ha aumentato il potere contrattuale dei partiti estremisti”.
    Si tratta di un giudizio di valore a priori che in democrazia non può essere accettato: nella repubblica, tutti i cittadini hanno diritto ad essere rappresentati e nessuno è titolato a pronunciare il giudizio se un partito sia “estremista” o no (De Gasperi, vorrei ricordare, si oppose all’idea di mettere fuori legge il PCI).
    L’etichetta di “estremismo” (quando non di illegalità, cospirazione, terrorismo…) è regolarmente imposta a formazioni politiche nuove quando il sistema politico dà i primi segni di tensione e crisi: molto spesso queste formazioni diventano poi partner accettati, e talvolta di governo, quando il regime politico evolve.
    Inoltre, è un pessimo approccio quello di disegnare un sistema elettorale con la mente ai risultati: la teoria politica vuole che un sistema debba sosddisfare certe condizioni di equità, rappresentatività, efficienza, non che sia confezionato nell’interesse di una o più parti in gioco.
    Il maggioritario a turno unico ha un difetto ben maggiore di quello di aumentare “il potere contrattuale dei partiti estremisti”: la sua scarsa rappresentatività. Non solo esso teoricamente consente di ottenere il 100% dei seggi con una minoranza di voti ma, IN PRATICA, ha consegnato una maggioranza di seggi ai laburisti, nelle ultime elezioni, con appena il 35% dei suffragi. Questo è un risultato assai poco accettabile dal punto di vista della teoria democratica.

  4. GP

    Ho trovato assai preoccupante l’articolo qui pubblicato ed in particolare il continuo ricorso a concetti quali il “potere di ricatto delle frange estreme”.
    Innanzitutto una legge elettorale non deve solo garantire la governabilità ma anche essere rappresentativa della realtà del paese. In tal senso il continuo alludere al proporzionale come l’origine di tutti i mali mi sembra quantomeno discutibile: dal punto di vista squisitamente teorico, il tanto vituperato “una testa un voto” è il meccanismo elettorale più democratico.
    Sostenere che occorre porre “rimedio all’eterogeneità delle coalizioni” è, a mio parere, una posizione palesemente illiberale ed allude al fatto che solo una piccola parte dell’elettorato, quella di maggioranza relativa, debba aver voce in capitolo nella stesura dei programmi: è la morte delle politica e l’anticamera della dittatura. Le diversità non vanno negate ma vanno gestite: è un vero e proprio sopruso imporre che una limitata parte della popolazione possa decidere in tutto e per tutto del futuro di un Paese. Ora più che mai è necessario saper dialogare con “le frange estreme” che peraltro non appaiono neanche tanto estreme ma solo diverse.
    Inoltre noto con dispiacere che si continua a promuovere il falso ideologico della superiorità del bipolarismo. In nessun paese europeo c’è un sistema perfettamente bipolare ed ovunque vi sono almeno tre poli di aggregazione (Uk, Germania, Francia): ciò vuol dire nessun Paese europeo ha una legge elettorale moderna? Infine ricordo che, in Italia, c’è un 15-20% dell’elettorato che non ritiene che il costituendo partito democratico sia un partito di “sinistra”: sono forse tutti degli estremisti massimalisti?
    L’analisi degli autori mi sembra frutto non tanto delle loro indubbie competenze economiche quanto delle loro idee politiche e, in considerazione della loro educazione, inevitabilmente ed univocamente legata alla realtà USA che però è piuttosto distante da quella europea.

    • La redazione

      grazie per il suo commento, con cui però siamo profondamente in disaccordo.
      Lei confonde la democrazia liberale con la democrazia populista. Il populismo vede la democrazia come uno strumento per aggregare le preferenze
      dei cittadini, e giudica le istituzioni democratiche esclusivamente in base a questo criterio. Il liberalismo vede la democrazia come uno strumento per scegliere chi ci governa, nel presupposto che il governo della cosa
      pubblica vada comunque delegato e non possa essere scelto direttamente dai cittadini.

  5. Lorenzo Sandiford

    Parole sacrosante. Ci vorrebbe il maggioritario a doppio turno.
    Questo sistema consente agli elettori di votare in un primo momento il partito preferito ed eventualmente, in seconda istanza, di fare la scelta del male minore. Mi è già capitato di sfruttarlo in tal senso nelle elezioni comunali.
    Non solo per diplomazia, eviterei di parlare di eliminazione del ricatto dei partiti estremisti, perché nel doppio turno le forze minori mantengono sempre una significativa influenza, solo che è inserita in un contesto di gestibilità politica. Per cui non vedo grossi problemi nemmeno per i partiti alle estremità degli schieramenti.
    Sul bicameralismo non sono sicuro se sia meglio quello perfetto o no. In ogni caso, pur essendo contrario ad estensioni demagogiche dell’elettorato fino ai sedicenni come è stato proposto (e pure a riduzioni del limite d’età per diventare senatore, se non minime), non sono contrario ad equiparare l’elettorato del Senato a quello della Camera dei deputati, estendendolo fino ai 18enni, o almeno ad ampliarlo fino ai 21enni. Non capisco perché chi vota per la Camera dei deputati non possa farlo per il Senato. Per restare fedeli al criterio della saggezza e competenza legate all’età, l’importante è che i senatori non siano troppo giovani. Insomma manterrei quel criterio solo per chi è chiamato a legiferare.
    Lorenzo Sandiford

  6. Luigi Cannella

    Concordo con le tesi di fondo formulate nell’articolo e l’indicazione del doppio turno come soluzione elettorale migliore date le circostanze italiane. Personalmente ritengo che si debba adottare il collegio uninominale anche nelle elezioni regionali – è già attivo nelle provinciali – con un triplice obiettivo: primo, assicurare un maggiore collegamento tra rappresentante e territorio; secondo, ridurre l’incidenza delle cordate clientelari, tipiche nelle competizioni su base di lista; terzo, rendere omogenee le leggi elettorali per ogni competizione.

  7. Paolo Vieta

    Gli autori hanno evidenziato due differenti questioni: un problemino, la legge elettorale, ed un problemone, il bicameralismo. Oggi è il bicameralismo che crea problemi, non la legge elettorale. Infatti alla Camera ha prodotto una maggioranza netta, al Senato no, perchè? Perchè i premi di maggioranza si sono compensati tra le coalizioni, in quanto attribuiti su base regionale. Questo perchè “il Senato della Repubblica è eletto a base regionale”: art. 57 della Costituzione.
    La Costituzione prevede un bicameralismo per due ragioni:
    1-Porre un freno all’azione di governo per scongiurare un rischio di nuova dittatura; in questo senso ha funzionato troppo bene, producendo ingovernabilità.
    2-Rappresentare le Regioni, inserendo l’aspetto federale tra le istituzioni della Repubblica; elemento invece ampiamente disatteso, basti pensare che la mera creazione degli enti regionali dovette attendere trenta anni.
    E’ opportuno quindi che il Paese si ponga il problema di mettere mano alla carta costituzionale che risponde a timori oggi superati e non ad attuali esigenze. Per quanto opinabile, la proposta oggetto del prossimo referendum è un’occasione storicamente troppo importante perchè la si stronchi a cuor leggero.
    Venendo al problemino, mi sembra che si faccia un po’ di confusione nel proporre, per l’elezione dei deputati (singoli elementi di una assemblea), lo stesso sistema che tanto bene funziona per i sindaci (cariche monocratiche, con potere esecutivo). Sottolineo che i sindaci si avvantaggiano non tanto dell’elezione diretta, quanto del premio di maggioranza nel consiglio comunale. Per trasporre coerentemente questo meccanismo su scala nazionale occorre prevedere l’elezione diretta del Presidente del Consiglio (carica monocratica), con premio di maggioranza nella/e assemblea/e: è quello che si chiama il premierato.
    Ma per far questo è necessario tornare al problemone, ovvero modificare la Costituzione.

    • La redazione

      Grazie del commento. No, noi abbiamo in mente il doppio turno di collegio, non il sistema con premio di maggioranza per l’elezione del sindaco. Questo sistema potrebbe essere introdotto con semplice legge ordinaria, senza modificare la costituzione. Poi certo, sarebbe utile riprendere in mano anche il tema del bicameralismo, ma come correttamente osserva lei si tratta di un problema molto più complesso e che non siamo riusciti a affrontare in due legislature. Dubitiamo che ci riusciremo in questa.

  8. Stefano Strozzieri

    Nella disputa sul migliore sistema elettorale si dimentica, a mio avviso, una questione di non piccola rilevanza: il nostro sistema rappresentativo non garantisce, prima della governabilità, la separazione del potere esecutivo dal legislativo.
    Accettato questo modello dovremo sempre ragionare su di una mediazione, non ottimale, di rappresentatività e governabilità. Il proporzionale aggiustato con il premio di maggioranza in entrambe le camere garantirebbe, matematicamente la maggioranza in parlamento ma risentirebbe di scarsa attinenza con il territorio per cui diventerebbe non più rappresentativo.
    D’altronde il maggioritario, anche con il doppio turno, non darebbe certezza di individuare una maggioranza forte poichè il 50% dei collegi potrebbe andare ad una coalizione ed altrettanto all’altra.
    Ripeto che l’unico modo per uscire dall’empasse è di cominciare a ragionare sulla modifica del nostro ordinamento repubblicano realizzando una reale separazione dei poteri (evitando, fra l’altro, che il prossimo capo del governo si faccia approvare leggi a proprio uso e consumo) e quindi separate elezioni per chi governa e per chi fa le leggi. Il governatore può essere eletto con lo stesso sistema dei sindaci mentre il parlamento con un proporzionale secco ed eventuale sbarramento al 2%.

    • La redazione

      Lei aggiunge un ulteriore problema a quelli da noi discussi, e cioè la scelta tra sistema parlamentare e sistema presidenziale. E’ una scelta su cui si può certamente riflettere (ed esiste un’ampia letteratura che lo fa), ma che non era il punto del nostro articolo. Data per scontata la scelta parlamentare, c’è molto spazio per migliorare agendo sulla legge elettorale. E crediamo che il maggioritatio sia migliore, almeno nel contesto italiano attuale, perché spinge all’agregazione e alla semplificazione del quadro politico.

  9. Lorenzo Sandiford

    Premetto che avevo frainteso il “doppio turno” a cui si riferiva l’articolo, perché mi era sfuggita l’espressione “in parte” nell’analogia col sistema per le comunali.
    Anche se non sono un addetto ai lavori, credo che siano utili al dibattito un’osservazione e una domanda. Le propongo perché sono convinto che il bello di questo sito web (a mio parere il migliore in Italia) è di costituire un ponte unico tra “accademia” e attualità politica, tra specialisti e gente normale interessata alle vicende della società in cui vive.
    L’osservazione è che il “doppio turno di collegio” mi sembra senza speranza fino a che non ci saranno i cosiddetti partiti unici nei due schieramenti. Perché, in effetti, con esso le forze politiche minori degli schieramenti sarebbero molto penalizzate. Si fa prima a cambiare la costituzione..
    La domanda è invece sul “premierato”. Perché non dovrebbe funzionare? Perché in Italia c’è questa paura di ogni forma di presidenzialismo? Una volta fatta una buona legge sulle incompatibilità e i conflitti d’interessi che impedisca di candidarsi a certe cariche monocratiche (ma, con più elasticità, anche nelle assemblee) in assenza di certi requisiti, non vedo quali siano i pericoli. Una forma di presidenzialismo simile al sistema in vigore nei comuni, sia pure con tutti gli opportuni checks and balances del costituzionalismo e gli aggiustamenti al contesto nazionale, mi sembra che possa migliorare la governabilità e la competitività del Paese.

  10. Camillo

    Mi pare che si dovrebbe dividere il problema in due parti. Una è la possibilità di ciascun cittadino di far sentire la sua voce al momento delle elezioni e dopo. Si chiama populismo? Allora evviva il populismo. A me sembra si possa chiamare meglio “processo verso la democrazia”, intendendo con democrazia non un oggetto definito da un’etichetta bensì un obbiettivo sempre perfettibile, da affinare continuamente soprattutto attraverso l’educazione civica e politica del cittadino e la messa a disposizione di informazioni che gli consentano di esercitare coscientemente i propri doveri e diritti democratici.
    La seconda parte del problema è costituita dai meccanismi di governo. Anche in questo caso si tratta di un processo verso un modello sempre perfettibile (la bella e vivace serie di commenti a questo articolo ne è un esempio) legato alla prima parte del problema sopra espressa.
    Il sistema della delega di governo è, mi sembra, il più efficace nella stragrande maggioranza dei casi. Le modalità ed il contenuto della delega possono essere però messi continuamente in discussione per migliorare il sistema di governo e la rappresentatività del pensiero dei cittadini.

  11. Paolo M

    Il doppio turno di collegio da voi proposto mi pare una seconda scelta perchè, come qualsiasi sistema uninominale maggioritario, ha il difetto di avere risultati troppo prevedibili nei singoli collegi stante il fatto che il nostro Paese ha forti sperequazioni regionali nel voto alle due coalizioni.
    Altrimenti detto: troppi collegi sono “sicuri” per l’una o l’altra coalizione e troppo pochi sono a rischio, e questo consente alle coalizioni di candidare praticamente chi vogliono con la certezza che sarà eletto, con conseguente selezione negativa della classe dirigente.
    Inoltre in intere regioni i simpatizzanti dell’una o dell’altra coalizione, privati della speranza di accedere al Parlamento, potrebbero rinunciare all’attività politica a favore di altre opzioni lavorative, depauperando i rispettivi partiti e favorendo ulteriormente il monopolio della rappresentanza da parte dei partiti avversari, sul “modello” di quegli stati degli USA dove l’uno o l’altro dei due partiti è quasi inesistente e il candidato alle presidenziali in campagna elettorale manco si fa vedere.
    Infine, una coalizione praticamente presente solo in alcune regioni, una volta al governo perchè dovrebbe preoccuparsi delle altre?
    Meglio sarebbe se le due coalizioni fossero pressoché equivalenti nella grande maggioranza dei collegi, ma ovviamente questo non può essere scritto nella legge elettorale.
    Condivido tuttavia l’analisi dei pregi del doppio turno di collegio rispetto al Mattarellum.
    La mia personale prima scelta va al miglioramento della legge attuale, con sbarramento al 4% dentro e fuori delle coalizioni, e collegio uninominale proporzionale tipo il sistema per l’elezione dei consigli provinciali. Assodati infatti i difetti della lista bloccata, temo tuttavia che con le preferenze si tornerebbe subito alle campagne elettorali dispendiose, con conseguente allocazione iniqua delle opportunità di essere eletti e rischio di corruzione per “rifarsi” delle spese.

  12. Franco Bortolotti

    Fra le ipotesi da considerare per la riforma della legge elettorale, vedrei la legge elettorale spagnola: un metodo d’Hondt a livello provinciale, che tende al maggioritario nelle “piccole” province (che eleggono pochi deputati) e al proprozionale in quelle più “grandi”.
    Nel caso spagnolo questo metodo ha contemperato forza del notabilato locale e capacità di attrazione dei programmi nazionali, senza cancellare le forze minori. Il sistema spagnolo favorisce la forza politica nazionale più capace di “tenere a bada” le spinte centrifughe locali inglobandole (il PSOE di Gonzales, per molti anni), ma senza impedire ai “notabili dissidenti” di mettere in campo la propria lista con concrete speranze di entrare alle Cortes, al prezzo però di penalizzare la propria area di provenienza politica (più spesso il centro-destra che la sinistra, in Spagna). Ciò significa che nelle piccole province spagnole le elezioni sono un gioco a due (socialisti/popolari) con la variante di forze regionaliste, mentre nelle “grandi” il gioco include le forze (es. gli ex comunisti) meno capaci di afferrare il potere locale ma dotate di appeal ideale su alcuni strati dell’elettorato. Mi sembra un compromesso ragionevole fra i vari principi da tutelare, alcuni dei quali sono erroneamente considerati “totalitari” dai loro sostenitori.
    Bisognerebbe guardare con minore sufficienza al notabilato (e alle sue spinte centrifughe), che peraltro è l’elemento cardine dei sistemi uninominali (come dimostra l’esperienza dell’Italia prefascista). L’unica regione dove l’Unione è progredisce al Senato è la Calabria, dove il notabilato locale ha avuto possibilità di esprimersi. Non amo affatto il notabilato, ma mi sembra una realtà di questo paese, nemmeno la peggiore. Che il notabilato in Italia sia stato cancellato, nelle ultime elezioni, a favore delle prestazioni televisive, giocate a spararla più grossa, non mi sembra un gran progresso.

  13. venturoli massimiliano

    Il problema della governabilità nel nostro paese riguarda senz’ altro sia la struttura istituzionale ( sicuramente da riformare ) sia la legge elettorale ( propendo personale per un maggioritario a doppio turno). Ma è dovuta sopratutto ad dei” poli ” i cui programmi politici, sono il risultato di compromessi, il cui unico fine è creare dei ” cartelli elettorali ” adatti alla ” convoliazione ” del più largo consenso possibile.
    Nessuna riforma, nè istituzionale nè elettorale, potrà eliminare questa ” perversa ” spirale il cui prodotto sono programmi di governo mai del tutto condivisi politicamente dai partiti, ma acettati come “il male minore”, per ottenere i consensi.
    Esempi esemplari sono “la convivenza” tra lo spirito liberista ( nel campo economico ) di Forza Italia con lo spirito di ” economia sociale ” ( nel campo economico ) di Alleanza Nazionale. “Convivenze” simili le si rileva nell’ UNIONE, dove, lo spirito ” clericale ” della Margherita( riguardo le coppie di fatto ed altri temi sociali ) si scontra con la ” laicità ” ( o meglio dire ateismo ) di Rifondazione Comunista.
    Insomma per puro calcolo macchiavellico i partiti si uniscono, senza assimilarsi ( cioè senza condividere un programma politico unitario ).
    Al momento in cui, vinte le elezioni devono legiferare, le leggi sono il risultato di ulteriori ” compromessi “, tra i partiti, necessari per accontentare l’ elettorato di ciascun partito .
    La COLPA di questa situazione politica RICADE TOTALMENTE SUI CITTADINI, ELETTORI, ITALIANI!! Infatti, premiando con il loro voto (dandogli quindi l’ opportunità di governare) queste ” acozzaglie ” programmatiche, non permettono l’ instaurasi di un governo capace di riformare e governare l’ Italia.
    Noi Italiani dobbiamo premiare le agregazioni programmatiche omogenee ( che producono governi forti e riformatori )!!! Visti gli attuali poli ritengo giusto il risultato elettoralr che non premia nessuno.

  14. Franco Ragusa

    Come giustamente rilevato alla fine dell’articolo, non c’è nessuna legge elettorale che potrà garantire maggioranze uguali per due Camere elette con due corpi elettorali diversi.
    Per cui, a che prò questo tipo di premessa?
    “La madre di tutti i problemi è la nuova legge elettorale, che non ha consentito alla coalizione che ha ottenuto più voti di avere i numeri per governare, e che non offre ai politici gli incentivi giusti per farlo bene. Non c’è dubbio dunque che debba essere cambiata.”

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén