Con la riforma della legge elettorale non ci sarà nessun passo avanti verso una maggiore stabilità e governabilità. Sarà un sistema con tutti i difetti del proporzionale, ma senza i suoi pregi. Avremo un bipolarismo più debole, con le stesse coalizioni “acchiappattutto” di oggi, altrettanto frammentate ed eterogenee, ma senza il forte vincolo rappresentato dal collegio uninominale. Aumenterà il potere di ricatto dei partiti più piccoli. Mentre il Senato potrebbe avere una maggioranza diversa da quella della Camera. Con prospettive neo-centriste contrarie all’interesse del paese.

Ormai è quasi certo che la riforma elettorale della Casa delle libertà verrà definitivamente approvata. Passeremo dal maggioritario di collegio introdotto dalla legge Mattarella del 1993 al proporzionale con premio di maggioranza. Non si tratta di un ritorno puro e semplice al proporzionale, ma della sostituzione di un sistema misto con un altro sistema misto. Non sarà un passaggio indolore perché il cambiamento avrà effetti rilevanti sull’esito delle prossime elezioni, sulla stabilità e efficacia dei Governi e sulla evoluzione del sistema partitico.
L’Italia ha una vera e propria fissazione per sistemi elettorali a premio di maggioranza. La legge Acerbo nel 1924 ha aperto la strada. Poi ci aveva provato Alcide De Gasperi nel 1953. Ma il “modello De Gasperi” era diverso dal “modello Berlusconi”: una coalizione doveva dimostrare di avere la maggioranza prima di vedersela incrementare fino al 65 per cento dei seggi. Quello, sì, era un vero premio di governabilità. Tra De Gasperi e Berlusconi si è inserito Pinuccio Tatarella con il riordino dei sistemi elettorali regionali basato anch’esso sul premio di maggioranza: a certe condizioni, può arrivare al 60 per cento.
Nel resto del mondo, questo tipo di sistema elettorale è stato utilizzato in Romania negli anni Trenta. E più di recente, in una versione diversa, in due paesi semi-democratici come il Messico e la Corea. Non esistono oggi altri casi di democrazie consolidate che utilizzino formule proporzionali a premio di maggioranza nelle elezioni nazionali. L’Italia è un caso unico. (1)

La riforma Berlusconi

Quali effetti produrrà la riforma Berlusconi? La risposta è purtroppo scontata: un bipolarismo più debole e quindi un sistema più ingovernabile. Due sono gli elementi centrali delle nuove regole di voto: la sostituzione del collegio uninominale con il premio di maggioranza e la assegnazione del 100 per cento dei seggi con una formula proporzionale. Entrambi sono elementi deleteri nel contesto italiano.
Collegio uninominale e premio di maggioranza hanno una sola cosa in comune: costringono i partiti a formare cartelli elettorali prima delle elezioni. Nel primo caso, infatti, se non ti allei con altri e non hai abbastanza voti per vincere il seggio da solo, perdi. Nel secondo caso, se non ti allei con altri, non riesci a ottenere il premio e quindi la maggioranza assoluta dei seggi per governare. Una qualche forma di bipolarismo perciò sopravvivrà. Ma sarà più debole dell’attuale. Senza collegio uninominale, spariscono i candidati di coalizione e restano solo le liste di partito, con candidati di partito. Per di più liste bloccate senza voto di preferenza.
Certo, il collegio uninominale era una camicia di forza. Costringeva a complicate spartizioni alla vigilia delle elezioni. Costringeva gli elettori di un partito a votare i candidati dell’altro. Soprattutto costringeva a stare insieme, volenti o nolenti. Dava perciò fastidio perché riduceva l’autonomia di tutti i partiti, grandi e piccoli. Al di fuori di una coalizione anche i partiti più grandi avrebbero dovuto accontentarsi di concorrere alla assegnazione di un misero 25 per cento di seggi proporzionali. Ma era proprio la necessità di stare insieme che rafforzava l’assetto bipolare del sistema partitico.
I sistemi elettorali hanno bisogno di tempo per dispiegare tutti i loro effetti. Alla lunga, questa necessità avrebbe portato alla semplificazione del quadro politico: a furia di presentare candidati comuni anche i partiti sarebbero diventati comuni e l’eterogeneità delle coalizioni si sarebbe attenuata.

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La proporzionalizzazione del maggioritario

Adesso non sarà più così. Con il premio di maggioranza il vincolo di coalizione è molto meno forte. Con il 100 per cento dei seggi assegnato proporzionalmente aumenta la competizione all’interno delle coalizioni e quindi il tasso di litigiosità tra partiti. La tendenza a sottolineare gli elementi di diversità, anziché quelli di unità, sarà maggiore per motivi di visibilità e di marketing elettorale. In più, aumenta il potere di ricatto dei piccoli partiti, Con il nuovo sistema, qualunque partito sopra la soglia di sbarramento potrà permettersi di stare fuori da una coalizione o solo minacciare di farlo. È vero che il potere di ricatto esisteva anche con la legge finora in vigore e che ad esso, sbagliando, veniva addebitato l’elevato livello di frammentazione del sistema. Ed è vero che i piccoli partiti conquistavano i loro seggi proprio nei collegi e non nella arena proporzionale, favorendo così la “proporzionalizzazione” del sistema maggioritario. Ma è altrettanto vero che la minaccia di non far parte di una coalizione era un’arma a doppio taglio.
Il piccolo partito che fosse rimasto fuori avrebbe fatto, sì, danni agli altri, ma sarebbe sparito. Adesso non è così: con la formula proporzionale, anche correndo da solo, ogni partito può comunque contare su una rappresentanza parlamentare pari al suo peso elettorale.

Il premio di maggioranza

Ma c’è di più. Il bipolarismo con premio di maggioranza è asimmetrico. Il collegio uninominale ha un effetto neutro rispetto alle prospettive di successo dell’una o dell’altra coalizione. Far parte di uno schieramento è comunque indispensabile per ottenere seggi uninominali, che si vinca o si perda. Non è così con il premio di maggioranza. La prospettiva di perdere indebolisce ancor più il vincolo di coalizione e aumenta ulteriormente il potere di ricatto dei partiti “ribelli”. In caso di sconfitta, non si incassa il premio e non si va al governo, tanto vale quindi star fuori della coalizione e fare una campagna elettorale per conto proprio tenendosi le mani libere per “il dopo”. Da questo punto di vista, un sistema proporzionale a premio di maggioranza funziona, per lo schieramento presunto perdente, né più né meno come un sistema proporzionale puro, e il vincolo di coalizione è praticamente inesistente.
Né si può trascurare la questione dell’entità del premio di maggioranza. Se fosse sostanzioso potrebbe compensare l’indebolimento del vincolo di coalizione. Ma non è così. Alla Camera il premio è fissato al 54 per cento circa dei seggi, mentre al Senato è del 55 per cento, ma assegnato su base regionale. In ogni caso si tratta di un premio troppo basso per assicurare Governi capaci di durare e di decidere in un contesto di elevata frammentazione partitica. Chiunque vinca le prossime elezioni avrà a disposizione una maggioranza risicata, esposta ai condizionamenti di qualunque sua componente o di qualunque lobby parlamentare.
È vero che anche il vecchio sistema non ha sempre garantito ampie maggioranze. Sia nel 1994 che nel 1996 le coalizioni vincenti avevano un margine di maggioranza ristretto, ma questo era dovuto alla presenza di terzi poli che hanno condizionato il funzionamento del sistema. Una volta a regime, il vecchio sistema avrebbe sviluppato tutto il suo potenziale maggioritario grazie alla leva insita nella combinazione di collegio uninominale e formula plurality, come è stato nel 2001 a favore della Cdl. Sarebbe stato così, con ogni probabilità, anche la prossima primavera.
Il nuovo sistema elettorale invece contiene una leva maggioritaria limitata e predeterminata. Chi vince difficilmente avrà alla Camera più del 54 per cento dei seggi. Al Senato addirittura meno, perché è certo  che la maggioranza sarà inferiore al 55 per cento. Infatti potrebbe essere tale  solo se una coalizione vincesse in tutte le regioni, il che è chiaramente impossibile.Quindi  tutti saranno indispensabili e la stabilità dei Governi verrà di fatto messa nelle mani  dell ‘Udeur di  Clemente Mastella, dei senatori a vita o dei rappresentanti eletti dagli italiani all’estero. In un sistema proporzionale puro, il rimedio sarebbe quello di allargare la maggioranza. Ma in un sistema con premio di maggioranza, le coalizioni si formano prima delle elezioni e una volta sancite dal voto e dal premio è difficile modificarle. In poche parole, la riforma ci consegna un sistema con tutti i difetti del proporzionale, ma senza i suoi pregi, a partire dalla duttilità.

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Cosa succede al Senato

La riforma ha due ulteriori limiti per quanto riguarda il Senato. In primo luogo, non è affatto detto che la coalizione con più voti ottenga la maggioranza assoluta di seggi. Secondo alcuni, il fatto che questo possa accadere configura una situazione di irrazionalità della legge e quindi di incostituzionalità. Noi non ne siamo così sicuri. Siamo sicuri invece che si tratterebbe di un bel paradosso: l’unica vera motivazione addotta per giustificare la riforma era quella di avere un sistema che garantisse la vittoria a chi ottiene più voti.
Il secondo limite è ancora più rilevante. Tra elettori che non votano per questa camera (i giovani tra i 18 e i 24 anni) e premi regionali, non è affatto certo che dall’elezione dei senatori esca la stessa maggioranza della Camera. Il rischio esisteva anche con la legge Mattarella, ma ora la probabilità è più elevata. Cosa succederebbe in questo caso? Come si uscirebbe dalla crisi? Due potrebbero essere le soluzioni. La prima è un Governo di grande coalizione. Ma come farebbe a funzionare una coalizione con dieci o più partiti?
Per questo motivo, è più probabile che nel caso di paralisi parlamentare si tenti una seconda soluzione: una sorta di grande riallineamento della politica italiana che passi per la scomposizione degli attuali schieramenti e una loro ricomposizione in formato neo-centrista. In entrambi i casi, sarebbe la fine del bipolarismo italiano. E forse è per questo che alcuni considerano la prospettiva di un esito elettorale non decisivo addirittura come un aspetto positivo della riforma elettorale.
In conclusione, la riforma di Berlusconi non ci farà fare nessun passo avanti sulla strada di una maggiore stabilità e di una migliore governabilità. Tutt’altro. Avremo coalizioni più deboli, partiti più forti e un Parlamento ingovernabile. È questo ciò di cui ha bisogno il paese?


(1)
Alessandro Chiaramonte, Tra proporzionale e maggioritario. L’universo dei sistemi elettorali misti, Il Mulino, 2005.

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