Le notizie che arrivano dal fronte della spesa pubblica sono meno incoraggianti di quelle sul gettito delle imposte. Nel 2006 il rapporto tra spesa e Pil crescerà ancora. Si spende più del previsto soprattutto nelle aree collegate al funzionamento della macchina amministrativa e all’attività del settore pubblico come produttore e fornitore di servizi: il personale e i consumi intermedi, la sanità e le amministrazioni locali. La previsione tendenziale per il 2007 è ottimistica: una parte della manovra nella prossima Finanziaria dovrà servire a renderla realistica.

In queste settimane l’attenzione di chi si occupa di previsioni di finanza pubblica si è concentrata sull’andamento delle entrate e, in particolare, sulla successione di previsioni al rialzo del gettito delle entrate tributarie . Ma come sta andando la spesa pubblica? Da quel fronte le notizie sono meno incoraggianti.

Dove cresce la spesa

Se si confronta il Documento di programmazione economica e finanziaria di luglio con la Trimestrale di cassa di inizio aprile, si vede come la previsione per il 2006 della spesa primaria (quella al netto degli interessi) sia stata rivista in aumento per 13,2 miliardi (lo 0,9 per cento del Pil).
Come si spiega una revisione di questa portata a distanza di tre mesi? In parte è dovuta agli effetti della manovra realizzata con il decreto-legge Bersani-Visco di luglio, che ha rifinanziato Ferrovie e Anas per 2,8 miliardi: nell’insieme, tenendo conto di una serie di misure, in aumento e in diminuzione di voci di spesa corrente (in particolare un taglio di 750 milioni di quella per consumi intermedi), secondo le stime ufficiali, il decreto ha generato un incremento netto della spesa pubblica nel 2006 di 2,4 miliardi (oltre, a maggiori entrate per 3,6 miliardi). Restano quindi da spiegare 10,8 (= 13,2-2,4) miliardi di maggiori spese. Dove si concentrano? La revisione non riguarda la spesa per prestazioni sociali (previdenza e assistenza) che è rimasta invariata rispetto a quella della Trimestrale di cassa. Le voci interessate sono, invece, soprattutto tre: spesa per il personale (1 miliardo), per consumi intermedi (4 miliardi, nonostante il taglio ricordato di 750 milioni), in conto capitale (4,5 miliardi). Al riguardo, il Dpef – in modo non diverso da quelli degli anni precedenti – fornisce solo indicazioni sommarie: la conclusione della tornata contrattuale 2002-2005 per il pubblico impiego, una dinamica più accentuata dei consumi intermedi soprattutto nella sanità, introiti minori del previsto dalle vendite di immobili (che entrano con il segno meno nella spesa in conto capitale).
In realtà, per la spesa corrente le cifre del DPEF sono sostanzialmente coerenti con quelle della due diligence sui conti pubblici di inizio giugno (alla quale chi scrive ha collaborato), che fornisce sufficienti elementi di dettaglio. La revisione del tendenziale 2006 effettuata in quella sede aveva messo in evidenza maggiori spese per 4,6 miliardi nei settori della sanità, degli enti locali e delle spese obbligatorie. La due diligence indicava poi altre aree di rischio potenziale (collegato alla possibilità che parti della manovra di cui alla legge finanziaria per il 2006 si rivelassero inefficaci), tra le quali aveva particolare rilievo la spesa in conto capitale e, in particolare gli investimenti di Anas e Ferrovie, poi – come si è visto – rifinanziati con il decreto di luglio.
Insomma, gran parte dei fattori che hanno portato alla revisione delle previsioni di spesa per il 2006 evidenziata nel Dpef si erano già manifestati a inizio giugno. Per inciso, va sottolineato come la revisione della stima della Trimestrale di cassa riguardi proprio le aree nelle quali la spesa è cresciuta di più negli ultimi dieci anni, quelle collegate al funzionamento della macchina amministrativa e all’attività del settore pubblico come produttore e fornitore di servizi: il personale e i consumi intermedi, la sanità e le amministrazioni locali.
Quali che siano le cause, il rapporto tra spesa primaria e Pil continua a crescere: dal 43,9 per cento del 2005 al 44,6 per cento del 2006 (mentre, al contrario, la Trimestrale di cassa prevedeva una diminuzione di due decimi di punto). Il 2006 conferma la tendenza di lungo periodo dell’ultimo decennio: un tasso di crescita medio annuo di circa il 2 per cento in termini reali (al netto dell’inflazione). È una tendenza non sostenibile a fronte del ritmo di crescita dell’economia cui siamo abituati in questi anni: così debole da far quasi gridare al miracolo per un +1,5 per cento come quello previsto per il 2006.

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Previsione tendenziale ottimistica

Cosa accadrà nel 2007? Secondo il quadro tendenziale – vale a dire, prima della manovra – del Dpef, la spesa primaria totale diminuirebbe dello 0,6 per cento del Pil. Quella corrente, in particolare, scenderebbe dal 40,3 per cento del 2006 al 39,8 per cento del 2007. In termini reali, la spesa corrente primaria crescerebbe solo dello 0,3 per cento, ben al di sotto, quindi, delle tendenze dell’ultimo decennio. In altre parole, se la si giudica sulla base dell’esperienza, la previsione tendenziale appare molto ottimistica. In buona parte ciò è dovuto al fatto che si tratta di una previsione costruita sulla base del criterio della legislazione vigente: dà per buone le misure di riduzione della spesa decise con le leggi precedenti, a prescindere dalla loro effettiva realizzabilità.
È il problema affrontato con il decreto-legge di luglio: la spesa a legislazione vigente non consentiva la prosecuzione dell’attività dei cantieri già aperti per gli investimenti di Ferrovie e Anas. Il rifinanziamento per 2,8 miliardi di queste attività e l’obiettivo di ridurre il disavanzo hanno richiesto il reperimento di nuove entrate per circa 3,6 miliardi. Apparentemente l’effetto netto del decreto-legge sul disavanzo è stato trascurabile, ma solo perché la base di partenza conteneva una stima irrealistica, per quanto formalmente “a legislazione vigente”, della spesa.
Con lo stesso problema dovrà misurarsi la legge Finanziaria che sarà presentata a fine mese: sarà necessario reperire risorse importanti – con minori spese future e nuove entrate – solo per mantenere la previsione tendenziale della spesa e, ad esempio, pagare le bollette della luce degli uffici e i debiti con i fornitori.
La morale è che le buone notizie che arrivano dal fronte delle entrate tributarie non sono sufficienti a far abbassare troppo la guardia sui conti pubblici: parte di quei denari sono, in un certo senso, già stati spesi.

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