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Incentivi utili. Ma non troppo

Prima del riordino delle leggi di incentivazione sarebbe utile chiedersi quanto siano efficaci quelle esistenti. Uno studio sugli effetti della legge 488 del 1992 e l’indagine Banca d’Italia sugli investimenti delle imprese industriali mostrano che il beneficio di stimolo agli investimenti, pur maggiore per le aziende meridionali, è modesto in rapporto alle risorse impiegate. Per le imprese del Sud gli investimenti addizionali non raggiungono il 30 per cento dei fondi distribuiti e sono circa il 10 per cento per quelle del Centro-Nord.

Si discute del possibile riordino delle leggi di incentivazione. (1) Non si può però dare per scontato che quelle esistenti (2) abbiano prodotto effetti positivi. Analisi condotte dal Servizio studi della Banca d’Italia indicano che gli incentivi hanno prodotto effetti positivi ma in misura piuttosto limitata.

 

La legge 488/92

 

A partire dalla seconda metà degli anni Novanta la legge 488/92 ha rappresentato il principale strumento d’intervento. Solo con riferimento all’industria, dal 1996 al 2003 le agevolazioni concesse hanno superato i 16 miliardi di euro.  La legge prevede che le imprese che vogliano investire nelle aree in ritardo di sviluppo possano richiedere un sussidio che copre una frazione della spesa di investimento. (3) Fino al 2006, gli incentivi erano assegnati attraverso aste competitive che tenevano conto di criteri come la proporzione di fondi propri investiti nel progetto, il numero di posti di lavoro che il progetto si propone di realizzare e l’ammontare di sussidio richiesto. (4)

Per valutare se la legge 488 abbia reso possibili investimenti addizionali, ovvero investimenti che in assenza dell’incentivo non sarebbero stati realizzati, bisogna tenere conto di diversi aspetti.

Un primo elemento è la selezione. Le imprese vincitrici dell’incentivo potrebbero essere “migliori” delle altre. Imprese, cioè, pronte a intraprendere progetti di investimento profittevoli anche in assenza dell’aiuto pubblico e per i quali non avrebbero difficoltà a ottenere finanziamenti privati. In questo caso, gli incentivi non generano investimenti addizionali: sarebbero stati realizzati comunque.

In secondo luogo, ci potrebbe essere un effetto di spiazzamento, ovvero le imprese vincitrici potrebbero effettuare investimenti che in assenza degli incentivi sarebbero stati effettuati comunque dalle imprese non finanziate. Anche in questo caso, non vi è addizionalità: in assenza della legge, gli investimenti complessivi non diminuirebbero.

Infine, è possibile che l’esistenza del programma di incentivazione produca distorsioni nelle scelte delle imprese. Ad esempio, al fine di avvantaggiarsi degli incentivi, le imprese potrebbero anticipare progetti di investimento che senza la legge sarebbero stati effettuati in periodi successivi. Oppure, per massimizzare la probabilità di ottenere l’aiuto, potrebbero intraprendere progetti meno redditizi (magari con un più elevato rapporto occupati-investimento, visto che questo è un criterio dei meccanismi di assegnazione), con sprechi dal punto di vista dell’efficienza.

In uno studio recente (5) si è provato a valutare il grado di addizionalità degli investimenti effettuati dalle imprese vincitrici dei sussidi. Per tenere conto dei problemi di selezione, si è confrontata l’attività di investimento delle imprese finanziate con quella di altre che pur avendolo richiesto non hanno ricevuto il sussidio. I risultati ottenuti indicano una limitata efficacia degli incentivi. Le imprese finanziate – in concomitanza con il ricevimento dei sussidi – hanno effettivamente investito di più di quelle non finanziate. Tuttavia, negli anni seguenti, le imprese finanziate hanno poi ridotto significativamente l’accumulazione di capitale rispetto a quelle non finanziate. L’effetto netto dell’incentivo sul volume complessivo di investimento delle imprese finanziate è stato dunque piuttosto contenuto. Altri risultati avvalorano l’ipotesi di spiazzamento: appare cioè che l’impatto della legge è più pronunciato quando l’ampiezza del mercato geografico o merceologico di riferimento è limitata, ovvero quando è più probabile che le imprese non finanziate, essendo concorrenti di quelle finanziate, abbiano rinunciato a investire a favore di queste ultime.

 

I risultati di una indagine campionaria

 

In che misura l’evidenza relativa agli effetti della legge 488 è generalizzabile alle altre forme di incentivazione degli investimenti? (6) Per rispondere a questa domanda, la Banca d’Italia ha chiesto agli imprenditori intervistati per l’Indagine periodica sugli investimenti delle imprese industriali di indicare le azioni che avrebbero intrapreso in assenza delle misure di incentivazione. (7)

Come si evince dalla tavola, quasi un quarto delle circa tremila imprese industriali del campione ha beneficiato nel 2005 di fondi pubblici (come agevolazioni, incentivi e altre forme di sostegno diretto o indiretto). In assenza di tali aiuti, il 68 per cento delle imprese agevolate avrebbe effettuato lo stesso ammontare di investimenti, negli stessi progetti; il 6 per cento circa avrebbe destinato lo stesso ammontare di investimenti a progetti in parte differenti; il restante 26 per cento di imprese, in assenza di aiuti, avrebbe effettuato minori investimenti.

In conclusione, il beneficio di stimolo degli investimenti, pur maggiore per le imprese meridionali, è risultato modesto in rapporto alle risorse impiegate: per le imprese del Sud gli investimenti addizionali non raggiungono il 30 per cento dei fondi distribuiti, mentre rappresentano circa il 10 per cento dei fondi per quelle del Centro-Nord. (8)

 

Effetti delle agevolazioni pubbliche sulle decisioni di investimento delle imprese industriali (1)

(valori percentuali)

 

Sede amministrativa

Totale

Centro  Nord

Mezzogiorno

Quota di imprese che hanno beneficiato di aiuti pubblici nel 2005

24,2

20,0

23,3

Quota degli investimenti aggiuntivi sull’ammontare dei fondi ricevuti

10,9

28,9

13,5

Azioni che le imprese beneficiarie avrebbero intrapreso in mancanza di agevolazioni (composizione percentuale)

Stesso ammontare di investimenti negli stessi progetti

70,9

44,1

67,6

Stesso ammontare di investimenti in progetti differenti

5,9

7,7

6,1

Minori investimenti

20,7

36,4

22,6

Nessun investimento

2,5

11,8

3,7

Totale

100,0

100,0

100,0

Fonte: Indagine della Banca d’Italia sulle imprese industriali. (1) Industria in senso stretto.

 


* Le idee e le opinioni espresse sono da riferire esclusivamente all’autore e non implicano la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.  

 


(1)
Nel Ddl presentato dal ministro per lo Sviluppo Economico (“Industria 2015”) si parla di “meccanismi di sostegno generalizzati, anche a carattere automatico” e “sistemi di incentivazione fatti su misura per singoli obiettivi strategici che vengono realizzati individuando aree tecnologiche-produttive con forte impatto sullo sviluppo”. Si veda anche il Titolo IV, Capo II della Finanziaria 2007: “Misure di sostegno all’apparato produttivo”.

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(2) Queste leggi sono riepilogate nella “Relazione sugli interventi di sostegno alle attività produttive”, ministero dello Sviluppo economico, agosto 2006.

(3) Gli incentivi sono rivolti alle imprese che intendono investire nelle aree che ai fini dei fondi strutturali della Unione Europea sono designate come Obiettivo 1, 2 e 5b. Possono essere finanziati anche progetti di investimento localizzati in aree differenti, ma approvate dalla Commissione europea in base all’articolo 92(3)c.

(4) Con il decreto interministeriale Attività produttive-Finanze del 1° febbraio 2006, la legge 488/92 è stata profondamente rivista. La nuova normativa prevede un maggior utilizzo dei finanziamenti agevolati a scapito di quelli a fondo perduto, insieme a un maggior coinvolgimento delle banche nell’esame della profittabilità dei progetti di investimento.

(5) Raffaello Bronzini e Guido de Blasio “Evaluating the impact of investment incentives: The case of Italy’s Law 488/92”, Journal of Urban Economics, 60 (2006) 327-349.

(6) Tra le altre misure di sostegno agli investimenti, la più importante è costituita dal credito d’imposta per le aree sottoutilizzate, legge 388/00, art. 8.

(7) Si veda Banca d’Italia, “Questioni di economia e finanza (Occasional Papers), L’economia delle regioni italiane nel 2005” e il Supplemento al Bollettino statistico n. 41 (12 luglio 2006).

(8) Gli investimenti addizionali sono calcolati come pari a zero per le imprese che avrebbero investito lo stesso ammontare anche senza agevolazioni; pari all’investimento totale, per le imprese che non avrebbero effettuato alcun investimento senza agevolazioni; pari a (1-x/100)* investimento totale, per le imprese che avrebbero effettuato senza agevolazioni l’x per cento dei loro investimenti.

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  1. mario piccinini

    L’articolo di De Blasio, interessante, sembra tuttavia ripetere in materia di L. 488 cose già sentite in tema di scarsa o mancata addizionalità degli investimenti: il titolo, “utili ma non troppo” , sembrerebbe salomonicamente dare un colpo al cerchio e uno alla botte ma, il testo complessivo pare concludere, in buona sostanza, che la L. 488 (e le altre misure di agevolazione) “non è scontato abbia prodotto effetti positivi”.
    Io dissentirei e, alcune evidenze, sia sul piano macro che nelle decisioni delle imprese, confortano la mia opinione.

    Potrà sembrare un pò troppo schematico ciò che vado a suggerire ma, ad esempio, costituisce un fatto provato che negli anni più recenti la “inoperatività” (misurata in termini di ritardi attuativi dei bandi, di mancate concessioni e/o di mancate erogazioni) della L. 488 ha contribuito a ridurre in maniera drastica i livelli e i flussi di investimento nelle attività produttive nelle sue aree di applicabilità.
    A decrescenti aiuti hanno corrisposto notevolmente decrescenti investimenti.
    Livelli di investimento fortemente decrescenti sono testimoniati anche con riferimento al complesso degli strumenti nazionali di agevolazione, come è facile verificare per gli anni 2003/4/5: dai 29,5 miliardi di euro del 2002, si è passati a 22,1/18,6/15,5 miliardi (MSE Rel. 2006 tab 4A).
    Mario Piccinini

  2. Michele Giudilli

    Ecco finalmente la verità dietro gli incentivi, ovvero che non incentivano alla fine un bel niente. Chi è imprenditore e vuole fare, fa comunque, investe lo stesso. Di contro gli incentivi non creano grossi vantaggi e anzi non fanno che portare sul mercato imprese con business plan deboli.
    Infatti ricevere un incentivo a fondo perduto per un impresa, equivale a diminuire le attese di ritorno sul capitale e di conseguenza a dsincentivare l’imprenditorialità del progetto stesso. Significa che l’impresa ha meno necessità di essere redditizia nel breve termine, e il più delle volte serve solo a stimolare gli investimenti che altrimenti non sarebbero stati fatti oppure investimenti inutili, che mai sarebbero stati fatti dall’imprenditore con i propri soldi. Oltre talvolta ad essere una distorsione per la libera concorrenza (io impresa finanziata sono più competitiva di un concorrente non incentivato).
    La realtà di come funzionano poi gli incventivi e di come se ne abusi la sappiamo tutti e quindi non lo scrivo qua.
    Vi lascio con qualche proposta, sperando che qualche politico la legga:
    – al posto di incentivi, prestiti garantiti dalla stato e previa solvibilità o analisi redditività del progetto (e nel caso di frode responsabilità dell’imprenditore);
    – incentivi fiscali: se investi ti faccio pagare meno tasse o quant’altro un impresa deve allo stato (come già fatto in passato);
    – riduzione del carico fiscale o sgravi contributi per imprese che investono in aree depresse.
    – I cash veri andrebbero dati solo a: giovani che hanno poco accesso al capitale; imprese che operano in settori high-tech o a valore aggiunto; imprese industriali che operano in settori svantaggiati.
    Si potrebbe fare qualcosa anche sull’esempio degli States con le Small Business Administration che eroga consulenza e capitali alle piccole imprese e a soggetti che vogliono diventare imprenditori.

  3. Giovanni Palladino

    Ieri Epifani ha detto che Padoa Schioppa intende azzerare l’imposta sui rendimenti dei fondi pensione. L’idea è ottima, ma temo che non possa essere attuata, perchè sarebbe un incentivo fiscale che ridurrebbe di molto il passaggio del tfr all’Inps. In reatà il governo è più interessato al successo di questo passaggio che non al decollo dei fondi pensione. Ma Padoa Schioppa non considera che buona parte dei lavoratori delle grandi imprese si è già iscritto ai fondi pensione e ciò ridurrà di molto l’incasso previsto per il fondo Inps.

  4. Paolo Gabriele

    Il sistema di incentivi a fondo perduto, con tutto il suo inefficiente indotto, non ha favorito in maniera sensibile l’apparato produttivo del Mezzoggiorno, viste le deludenti progressioni dei PIL locali e dei redditi pro-capite. Un amico economista inglese dell’Università di Glasgow, davanti ad una originale “zuppa inglese” a casa sua, mi deludeva affermando che la mia regione non era sufficientemente attrattiva per gli investitori stranieri a causa dell’incontrollabile criminalità esistente e dell’incredibile carenza di infrastrutture. Oggi la situazione appare peggiorata. Criminalità, aeroporti troppo piccoli, autostrade “bizzarre”, porti di dimensioni insufficienti per competere, reti di trasporto su ferro penalizzanti (salvo qualche raro caso di efficienza come il “Cascettismo” in Campania) a cui si può legittimamente, addebitare un pesante ruolo di limitazione allo sviluppo del turismo e dell’imprenditoria del sud. Se a ciò si aggiunge:l’incomprensibile strategia che segue la politica fiscale nazionale, che, ad ogni manovra o manovrina periodica, incide in misura non indifferente, anche in “modalità” retroattiva, sull’ammontare degli investimenti e sulla possibilità di rientro degli stessi;un sistema bancario che chiede prima le garanzie e poi i progetti di sviluppo; una improponibile teoria di enti coinvolti, per competenza o per cortesia, nell’avvio di qualsiasi tipo di intervento sul territorio, ci si chiede perché un investitore straniero, o anche solo “fuori piazza”, dovrebbe impelagarsi in un simile ginepraio. A ciò si aggiunge una università molto più attenta agli scatti di anzianità ed al nepotismo, piuttosto che a trainare, con i propri saperi, territori che ne avrebbero benefici enormi. Gli incentivi e la fiscalità di vantaggio? Utilizziamoli per sconfiggere mali endemici e, se resta qualcosa, a ridare fiducia ai giovani imprenditori innovativi e permettere a chi viaggia fra Napoli e Macerata di impiegare meno di un giorno intero.

  5. Matteo D'Emilione

    Ho letto con molto piacere l’articolo di Boeri e Brugiavini. Puntano l’attenzione sulla poco dibattuta (solo da voi oramai) ‘questione dei giovani’ in Italia in relazione al tema delle pensioni. All’analisi, da giovane quale sono, vorrei aggiungere due spunti di riflessione sui quali spero abbiate voglia di riflettere:

    1) l’attenzione posta sul tfr lascia fuori comunque una parte consistente di lavoratori e cioè quelli cd ‘precari’ cui il concetto stesso di tfr è generalmente estraneo e per i quali la finanziaria aumenta il livello dei contributi (per farne che se il livello delle pensioni sarà comunque bassissimo?);

    2) le forme di pensione integrativa cui poter accedere, quelle che mi hanno ‘sottoposto’, parlano chiaro: per avere un’integrazione decente una persona di 31 anni dovrà versare circa 200/250 euro al mese per 34 anni. In buona parte sono spese scaricabili fiscalmente ma rispetto ad un compenso mensile di 1200 euro netti non è poco e soprattutto il capitale versato è difficilmente smobilitabile (solo in caso di motivi ben specifici e straordinari). Non è meglio allora un buon fondo di investimento con le giuste garanzie?

  6. Giovanni Rapisarda

    La creazione e lo sviluppo di un Azienda, soprattutto nei settori high tech, richiede la possibilita’ di accesso al capitale finanziario. I managers delle Aziende locate negli USA ed in Gran Bretagna hanno la possibilita’ di accedere ai locali mercati finanziari aperti e sviluppati. I managers delle Aziende locate negli altri Paesi, inclusi Australia, Canada e Paesi Nord Europei, devono compiere sforzi molto maggiori per reperire il capitale finanziario necessario per competere sul mercato globale. In Italia abbiamo un’ulteriore differenza tra Nord e Sud. A sud di Roma, una sola Azienda (produttrice dei famosi divani) e’ quotata in una Borsa finanziaria (Nasdaq) e nessun investimento di venture capital e’ stato realizzato nel corso degli anni 2003 e 2004. Le ragioni sono note a tutti. Risulta evidente, pertanto, che sono necessari in quei territori oltre che gli interventi, condivisi da tutti, infrastrutturali e quelli volti a ridurre l’inefficienza della burocrazia ed il tasso di criminalita’, anche gli interventi volti a “compensare” le deficienze nel mercato finanziario locale, al fine di consentire la nascita e lo sviluppo di Aziende, nei settori tecnologici e del made in Italy. In tali casi gli incentivi sono utili. Troppo.

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