Lavoce.info

Come rendere efficiente la sanità pubblica

Si parla di una nuova legge delega per la sanità. Ma prima andrebbero valutati gli effetti di quanto fatto nel passato. Da rafforzare la fissazione delle tariffe di prestazione e l’aziendalizzazione delle Asl. Alle quali si dovrebbe applicare un vincolo di bilancio stringente, affiancato dalla pubblicazione regolare di indicatori di performance e di costo. Soprattutto, bisogna dare voce ai pazienti, affidando l’acquisto delle prestazioni sanitarie a fondi mutualistici o assicurativi. Lo Stato avrebbe comunque il compito di fissare gli standard di qualità e prezzo.

Il ministro Livia Turco ha annunciato un’ampia consultazione in vista di una nuova legge delega in materia di sanità. Dalla seconda metà degli anni Ottanta, il sistema sanitario è stato oggetto di numerosi interventi di riforma: anche se qualche aggiustamento appare necessario, prima di metter mano a una nuova legge, si dovrebbero valutare gli effetti di quelli passati, cosa finora mai fatta. Ogni ministro, infatti, preferisce ripartire con nuovi progetti che portino il suo nome.

La dinamica della spesa sanitaria

La spesa sanitaria rappresenta nel nostro paese l’8,8 per cento per cento del Pil, di cui il 6,6 per cento a carico del settore pubblico. È una percentuale più o meno in linea con quella di vari altri paesi europei, ma è aumentata rapidamente negli ultimi anni: era scesa al 5,8 per cento con la manovra correttiva del governo Amato del 1992, è risalita sui valori attuali con il governo Berlusconi. La dinamica tendenziale resta sostenuta, gettando seri dubbi sulla realizzabilità degli obiettivi di stabilizzazione della spesa indicati dal governo nella legge Finanziaria: secondo talune stime, vi sono 5-7 miliardi di disavanzo non coperto dagli accordi Stato-Regioni, per non parlare dei debiti sommersi che periodicamente riemergono, come ora quelli, colossali, nel Lazio.

Due innovazioni da salvare

Tuttavia, anche prendendo per buoni tali obiettivi e gli interventi per realizzarli, va avviata la discussione sui modi per migliorare l’efficienza delle gestioni e la qualità dei servizi. Due innovazioni fondamentali, introdotte negli anni Novanta, andrebbero confermate, anzi consolidate: la cosiddetta “aziendalizzazione” delle aziende sanitarie e degli ospedali e la fissazione di tariffe predeterminate di rimborso per le prestazioni del sistema pubblico.
aziendalizzazione è stata vanificata dall’abbandono, da un lato, dei criteri di competenza gestionale e operativa nella scelta dei dirigenti, in favore di un sempre più esteso sistema di lottizzazione politica, dall’altro, dell’obbligo del pareggio di bilancio per le aziende pubbliche. Le pratiche di outsourcing di servizi e forniture a strutture create dal personale sanitario e dai gestori pubblici hanno condotto in molte aree a un’attenuazione dei controlli gestionali, alla dilatazione della spesa e a diffusi fenomeni di corruzione. Qui, tocca alla politica fare un passo indietro, rinunciare alle estese cointeressenze e ripristinare il valido disegno originario: un obiettivo non semplice, che richiede un esplicito impegno ai massimi livelli di governo. Esso dovrebbe anche trovare presidio in appropriati meccanismi di selezione del personale dirigente e nel rafforzamento dei controlli delle gestioni da parte delle Regioni, oggi spesso debolissimi per esplicita volontà politica.
La fissazione delle tariffe di prestazione è rimasta, ma viene oggi investita dal fuoco concentrico dei sindacati del settore, dei fornitori di apparati e medicinali e degli stessi gestori. L’origine dell’ostilità è presto detta. Mentre le strutture ospedaliere private guadagnano bene con le tariffe esistenti, quelle pubbliche tendenzialmente perdono a tutto vapore: a causa degli eccessi di personale e delle inefficienze di gestione, ma anche della tendenza dei servizi a più elevato valore aggiunto a spostarsi verso il sistema privato. Il fenomeno, peraltro, riflette anche i rapporti incestuosi tra gestori della sanità pubblica e sistema delle cliniche private, del quale troppo poco si parla; e sarebbe più facilmente contrastabile, se gli ospedali fossero amministrati in maniera più attenta all’efficienza.

Leggi anche:  Nelle Rsa una strage nascosta e spesso dimenticata

Ristabilire il vincolo di bilancio e misurare il risultati

I disavanzi vengono saldati a piè di lista dalle Regioni; ciononostante, il sistema delle tariffe mantiene un utile elemento di verifica sulla qualità delle gestioni. Se si applicasse alle aziende ospedaliere un vincolo di bilancio stringente, le inefficienze sarebbero col tempo riassorbite. Il sistema potrebbe essere utilmente completato con la pubblicazione regolare di indicatori di performance e di costo per ogni azienda ospedaliera, ma ciò richiede di superare l’opposizione del sindacato e della politica.
Chi chiede di abbandonare le tariffe, propone di ristabilire il sistema precedente di fissazione aggregata del fabbisogno delle aziende ospedaliere; si tornerebbe nel mare magno del negoziato politico sui fabbisogni, nel quale non sarebbe facile distinguere le spese per assunzioni inutili e contratti di fornitura di favore da quelle necessarie per le prestazioni ai pazienti.

La capacità di scelta dei pazienti

Ho discusso fin qui elementi di miglioramento già presenti nel sistema. Tuttavia, ciò non basta; occorre affrontare la questione cruciale della capacità di scelta delle prestazioni sanitarie da parte dei pazienti. Il sistema pubblico negozia con gli stakeholder – sindacati dei dipendenti, fornitori, gestori privati di cliniche e sistemi diagnostici, industria farmaceutica e delle macchine medicali – ma non con i pazienti. Se aumentasse la capacità di scelta dei pazienti, aumenterebbe anche la pressione competitiva sugli ospedali a usare bene le risorse e produrre servizi di qualità
Il sistema per ottenere questo risultato viene applicato con successo in Germania, Olanda e Svizzera, e una sperimentazione è stata avviata dalla Regione Lombardia. Si tratta di sottrarre l’acquisto delle prestazioni sanitarie all’amministrazione pubblica, attribuendone la responsabilità a fondi di natura mutualistica (non profit) o assicurativa (for profit). I fondi potrebbero essere costituiti anche da organizzazioni sindacali o associazioni di utenti e sarebbero assoggettati a stringenti controlli gestionali, mutatis mutandis come avviene già per le società di assicurazione e i fondi pensione integrativi.

Il compito dei fondi

Il compito fondamentale dei fondi sarebbe quello di aiutare i pazienti a scegliere: negozierebbero i livelli di prestazione con le strutture sanitarie, pubbliche e private, individuando per conto dei propri associati le strutture meglio in grado di prestare servizi di qualità. Il sistema sanitario dovrebbe fronteggiare interlocutori forti e capaci di valutare la qualità dei servizi. La difesa degli interessi dei pazienti, che individualmente faticano a discriminare la qualità dei servizi sanitari, sarebbe presidiata dalla molteplicità dei fondi, posti tra loro in concorrenza, e dai vincoli sulla gestione – anzitutto nella forma di obblighi penetranti di trasparenza sui criteri di valutazione e le scelte compiute. Trasparenza che è quasi del tutto assente nel sistema attuale di gestione burocratica.
I fondi sarebbero alimentati con contributi pubblici, corrispondenti alla quota capitaria nel fondo sanitario nazionale degli associati, e da contribuzioni private di natura assicurativa per le prestazioni non coperte dal sistema sanitario.

Leggi anche:  Si fa presto a dire Lea

Gli effetti sulla gestione degli ospedali…

Un effetto positivo rilevante sarebbe quello di obbligare le amministrazioni pubbliche a liberare le mani al management delle strutture sanitarie: invece di limitarsi al contenimento dei costi, come in pratica avviene oggi, i gestori dovrebbero necessariamente agire anche sui modelli organizzativi. La sanzione per la cattiva gestione sarebbe la perdita dei pazienti e dei fondi per continuare a operare.

… e l’universalità del sistema sanitario

Questo modello viene criticato perché metterebbe a rischio l’universalità del sistema sanitario. La critica è infondata: infatti, la fissazione dei livelli di prestazione e delle tariffe resterebbero al settore pubblico, né più né meno come avviene oggi. Ciò che non sarebbe più possibile è il finanziamento a piè di lista dell’inefficienza. Gli ospedali inefficienti dovrebbero cambiare o chiudere. Le amministrazioni regionali potrebbero dedicarsi più intensamente ad amministrare i controlli, che oggi spesso trascurano.

Ridare scelta agli utenti

Nel dibattito sul miglioramento della qualità dei servizi pubblici, il nostro paese continua pervicacemente a rifiutare le soluzioni che implicano una maggior libertà di scelta degli utenti – nella scuola e nell’università, nei servizi pubblici locali, nella sanità. Resta fortissimo il pregiudizio ideologico a favore del sistema paternalistico nel quale lo Stato decide per tutti. Eppure, un’esperienza sempre più estesa conferma che ridare la scelta agli utenti è la strada maestra per migliorare, insieme ai servizi, la qualità del settore pubblico. Non è una strada facile, complessi problemi di disegno istituzionale devono essere risolti. Ma almeno gli utenti prenderebbero posto al tavolo delle decisioni, dal quale oggi sono esclusi dal coagulo degli interessi organizzati.
Signora Turco, perché non incomincia lei a mostrare la strada?

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Risorse per la sanità: dove colpirà l'inverno demografico*

Precedente

L’industria dei call center: quando il lavoro diventa bad job

Successivo

Se il federalismo si rafforza in Lombardia

  1. roberto bezzi

    Temo che il rischio di togliere ‘l’acquisto delle prestazioni sanitarie all’amministrazione pubblica, attribuendone la responsabilità a fondi di natura mutualistica (non profit) o assicurativa (for profit)’ sia la riproposizione del mercanteggiamento fra medici e mutue di prima dell’istituzione del servizio sanitario nazionale. Qualcosa di molto simile al dialogo fra il famoso dottor Guido Tersilli ed il funzionario a proposito dell’eccesso di appendicectomie complicate, quindi più costose…

  2. Francesco De Leo

    La spesa sanitaria pubblica nelle moderne società, per la sua natura, non può essere stabilizzata in termini assoluti, specialmente in Italia, sia per effetto dell’andamento demografico e dell’invecchiamento della popolazione, sia per la frenetica evoluzione scientifica della medicina, che in sede di prima applicazione comporta processi con costi iniziali sempre più alti, si veda, ad esempio, tutto la problematica connessa con i trapianti e la precoce individuazione e cura delle neoplasie maligne e delle cardiopatie. Analoghe considerazioni valgono per l’uso dei farmaci per i quali vale la tendenza generalizzata ad applicare quelli più recenti e quindi più costosi anche a parità di efficacia.
    Sotto questo aspetto risultano largamente disattese dalla classe medica le linee guida sull’uso dei farmaci diramate dal Ministero della salute.
    Al servizio sanitario pubblico non posso i applicarsi in modo indiscriminato i criteri e le metodologie adottate per i servizi privati o per la produzione industriale. Se fare una iniezione costa 5 a Torino e 20 a Canicattì per fattori contingenti locali non si può delocalizzare il malato oppure negare il servizio.
    In Puglia, la ristrutturazione della rete ospedaliera regionale con nuovi modelli organizzativi e la modifica della dislocazione dei pp.oo. effettuata nell’ambito temporale di un mandato è costata al governatore Fitto la perdita dell’incarico in termini elettorali.

  3. Francesco De Leo

    Nel servizio sanitario italiano esiste una ampia possibilità di scelta da parte degli utenti in funzione della qualità del servizio e della complessità della patologia e i dati sulla mobilità regionale e interregionale lo dimostrano.
    Il privato in Italia guadagna con le tariffe in quanto generalmente eccede a proprio favore nella classificazione della prestazione fornita oppure eroga solo le prestazioni più remunerative.
    Il controllo sistematico della loro corretta applicazione è estremamente difficoltoso in relazione alla complessità della materia e richiede l’impiego di personale altamente specializzato e motivato sia in sede di liquidazione che per i controlli in loco.

    Un rimedio per ridurre la spesa, che il Ministro Sirchia ha cercato di avviare, ma finora con scarsi risultati per certo snobismo degli interessati, è stata quello della distribuzione a tutti i medici iscritti all’ordine del Clinical Evidence – edizione italiana – cioè la raccolta delle migliore prove di efficacia per la pratica clinica in modo da sensibilizzare i medici all’impiego, a parità di efficacia, dei trattamenti e dei farmaci meno costosi evitando quelli inutili o con utilità non determinata.
    In questa direzione dovrebbe essere curata in modo continuativo e tassativo la formazione dei medici del SSN.
    Infine se la scelta degli utenti in fatto di cure sanitarie dipende esclusivamente dal proprio reddito siamo in presenza di una società estremamente ingiusta.

  4. Massimiliano Mandia

    Personalmente condivido questo articolo dalla prima all’ultima parola. Forse sono troppo pessimista, ma l’attuale fotografia del sistema sanitario nazionale non consente un cambio di marcia così radicale. Per realizzare le innovazioni prospettate dall’articolo di Micossi non dovrebbero più esistere termini come clientelismo, corruzione e opportunismo; spesso presenti nelle cronache sanitarie. Se gli interventi di riforma legislativa non sono accompagnati dai principi di correttezza-moralità-trasparenza, tutto resta confinato nel bel libro dei sogni (e in Italia di libri dei sogni ne abbiamo tanti, non solo nel panorama della sanità). Grazie

  5. giorgio

    Condivisibile quanto scritto da Micossi, ma a mio avviso ha bisogno di alcune specificazioni e precisazioni per mantenere equità ed universalità alla nostra sanità pubblica.
    In tema di prezzo delle prestazioni: è da definire come indicato ma solo per le valutazioni e scambi interni, per facilitare i confronti e suggerire le linee di aggiustamento e riallineamento per chi è “fuori parametro”.
    Dopodichè è giusto dire che LA MALATTIA RENDE TUTTI UGUALI.
    In pratica poichè la medesima è un accidente che nessuno – sano di mente – cerca e vuole sia essa lieve o grave. Quindi le cure devono essere disponibili per tutti senza costi mentre è più giustificato:
    – fare pagare per il servizio “alberghiero” degli ospedali (ognuno mangia e dorme sia da sano che da ammalato – ad es. 10 euro al giorno);
    – fare pagare per singola ricetta del medico curante (per contenere abusi e prescrizioni facili – ad es. prescrivibili max 5 farmaci per ricetta a 5 euro per ricetta);
    – fare pagare se non si ritira il referto o non ci si presenta o si disdice l’appuntamento specialistico senza valido motivo (recuperare la prestazione intera da riscuotere ad es. con cartella esattoriale tipo le contravvezioni insolute).
    – fermo il ticket previsto per il PRONTO SOCCORSO che andrebbe però ridimensionato (ad es. max 20 euro)
    LE MISURE DI CUI SOPRA SONO DA CONSIDERARE NEL LORO INSIEME IN ALTERNATIVA AL SISTEMA VIGENTE E NON IN AGGIUNTA…… SPOSTANDO FINALMENTE L’ATTENZIONE DALLE CURE E DAI FARMACI (NECESSARI E DA EROGARE IN OGNI CASO) ALLE CONDIZIONI ORGANIZZATIVE E DI SUPPORTO ALLA CURA STESSA.
    Illustrata bene una proposta simile potrebbe incontrare ampi consensi poichè ha come scopo principale quello di salvaguardare la cura ospedaliera nonchè il supporto farmacologico della malattia.

  6. Piersante Sestini

    Ottima analisi e ottime proposte.
    Andrebbe anche notato che la attuale lottizzazione delle dirigenze sanitarie (che parte dagli assessori e puo’ estendersi in giu’ fino a livelli aopparentemente improponibili) è una diretta conseguenza della attuale struttura del sistema sanitario.
    Oggi i direttori generali hanno sostanzialmente il compito di aiutare l’assessore regionale a raggiungere i suoi obbiettivi politici risparmiando quanto più possibile su personale sanitario e prestazioni.
    Separare la componente assicurativa da quella di fornitura di prestazioni sanitarie, vorrebbe anche dire costringere gli assessori alla sanità o comunque i possessori di ospedali a nominare direttori generali col compito di garantire una migliore qualità di prestazioni sanitarie.
    Noterei anche che il sistema di mutue alternative proposto, pur valido, non è l’unica opzione: un sistema assicurativo unico (sul modello tedesco) potrebbe raggiungere obbiettivi simili e potrebbe essere almeno inizialmente più accettato.

  7. vincenzo carrieri

    Non vi è dubbio che la situazione che dipinge l’autore è pesante oltre che veritiera; ma, mi permetto di segnalare molto modestamente anche le difficoltà, i costi ed i problemi di equità che sono intrinseche nel sistema assicurativo.
    certamente li avrà già ponderati i rischi di dumping e cream skimming che ne potrebbero scaturire da un sistema assicurativo e che per fortuna, oggi con molte critiche il caro servizio nazionale evita.
    è riconosciuto in letteratura un trade-off tra efficienza e selezione dei rischi nei sistemi di pagamento. evidentemente in Italia si è preferito evitare il secondo aspetto a discapito del primo, ma se ci riflettiamo bene forse per la salute un pò di efficienza si può anche sacrificare.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén