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Se ai poveri manca il “minimo vitale”

L’Italia è uno dei pochi paesi d’Europa in cui non esiste una garanzia di reddito minimo. La mancanza di uno strumento specifico e universale di contrasto della povertà impedisce di tutelare al meglio i bisogni delle famiglie che vivono, come ha denunciato il Presidente Napolitano, “in penose ristrettezze”. Eppure un intervento circoscritto alle situazioni di disagio estremo costerebbe non più di 3 o 4 miliardi di euro. E l’introduzione di un minimo vitale potrebbe essere accompagnata dalla riorganizzazione dei trasferimenti pubblici per i carichi familiari.

Nel suo messaggio di fine anno, il Presidente della Repubblica ha richiamato la necessità di avere: “(…) più equità, meno disparità nei redditi e nelle condizioni di vita, più vicinanza e sostegno per le persone e le famiglie che versano – e sono tante – in penose ristrettezze”.

I numeri della disuguaglianza. E le cause

I dati diffusi recentemente dall’Istat segnalano l’esistenza di un notevole livello di diseguaglianza in Italia. (1)
Nel 2004, il 20 per cento più ricco della popolazione ha ottenuto il 40 per cento circa del reddito totale, mentre il 20 per cento più povero soltanto l’8 per cento. Alcune tipologie familiari risultano più vulnerabili: le coppie con due o più figli minori, i monogenitori, gli anziani soli, le famiglie monoreddito, quelle in cui il reddito principale è guadagnato da una persona con basso titolo di studio. Le famiglie senza figli minori a carico sono, invece, meno a rischio.
Molte diseguaglianze sono spiegate inoltre dalle diverse opportunità di accesso al mercato del lavoro. Così come sono enormemente importanti le disuguaglianze nella ricchezza, ma è una questione che qui non affronteremo. Si aggiungono, poi, gli effetti perversi dell’evasione fiscale e di prezzi non concorrenziali su molti mercati. (2)
Nell’affrontare questo complesso problema redistributivo, il policy maker italiano è ostacolato dalla scarsa razionalità del sistema di welfare. La mancanza di uno strumento specifico e universale di contrasto della povertà impedisce di tutelare al meglio i bisogni di quelle famiglie che vivono “in penose ristrettezze”.
L’Italia è uno dei pochi paesi dell’Europa a 25 in cui non esiste una garanzia di reddito minimo. (3) Sia in occasione della riforma Irpef della passata legislatura, sia nei lavori preliminari dell’ultima Finanziaria, si è così “scoperto” che non si può usare soltanto l’imposta personale sui redditi per contrastare efficacemente la povertà. (4) Vale la pena di ricordare, tuttavia, che la “scoperta” non è poi così recente. Già il “
Rapporto annuale sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale. Anno 2001“, a pagina 66, segnalava due problemi fondamentali connessi all’uso dell’imposta personale a fini anti-povertà: “Il primo trae origine dal carattere individuale dell’imposta, che preclude il riferimento a una nozione di reddito familiare equivalente (…). Un secondo ostacolo discende dal fatto che detrazioni e deduzioni non possono dare alcun beneficio a soggetti così poveri da non avere redditi imponibili (…): i cosiddetti soggetti «incapienti»”.

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Il sostegno ai più poveri

Esiste da tempo in Italia un problema di rappresentanza dei più poveri. La controprova sotto il profilo tecnico è la utilizzazione soltanto parziale delle competenze esistenti: dagli studi della Commissione di indagine sull’esclusione sociale (Cies) e degli altri esperti, alle esperienze degli enti locali e delle organizzazioni di volontariato.
Gli schemi di “minimo vitale” prevedono di colmare, in tutto o in parte, il divario fra il reddito della famiglia povera e una soglia di sussistenza, non necessariamente uguale alla linea di povertà. Definendo opportunamente i parametri dello schema (soglia, quota di copertura del divario, durata e così via) la spesa totale potrebbe essere contenuta entro limiti ragionevoli. Un intervento circoscritto alle situazioni di disagio estremo costerebbe probabilmente non più di 3 o 4 miliardi di euro, compensati in parte dalla riduzione di altre spese.
L’introduzione di un minimo vitale potrebbe essere accompagnata, o seguita, dalla riorganizzazione dei trasferimenti pubblici per i carichi familiari. (5) Per esempio, per le famiglie giovani con bassi redditi da lavoro potrebbe risultare opportuno introdurre una imposta negativa sui redditi familiari. (6)
L’opportunità di un maggiore sostegno dei carichi familiari e, più in generale, di una maggiore tutela delle generazioni giovani e giovanissime è segnalata dai dati: nel 2004, circa il 40 per cento delle famiglie con tre o più figli minori, e il 30 per cento di quelle con due minori, si trovava nel quinto più povero della distribuzione dei redditi. A fine 2005, circa il 20 per cento delle famiglie con due o più minori a carico dichiarava di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà e più del 30 per cento di non poter affrontare una spesa imprevista di 600 euro. Per una minoranza non trascurabile, le conseguenze della scarsità di reddito sul tenore di vita coinvolgono beni necessari: per esempio, l’11 per cento delle famiglie con due o più figli minori nel 2005 non ha potuto riscaldare adeguatamente l’abitazione.
Le politiche economiche recentemente approvate puntano a correggere alcune importanti anomalie distributive che caratterizzano l’Italia: le diseguali opportunità di occupazione, l’instabilità del lavoro per i giovani, l’evasione fiscale. Anche la riduzione del debito pubblico, in prospettiva, si traduce in minori spese per interessi e, quindi, in maggiori opportunità di ridistribuire con più equità sia il carico fiscale sia la spesa pubblica. In un contesto più favorevole alla crescita e alla coesione sociale, è forse possibile affrontare con maggiore serenità anche il problema di un nuovo patto fra generazioni.

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* L’articolo riflette le opinioni personali dell’autore e non coinvolge la responsabilità dell’Istat.

(1)Reddito e condizioni economiche in Italia (2004-2005)“, Statistiche in breve, Istat, 28 dicembre 2006. Si veda anche il capitolo 5 dell’ultimo Rapporto Annuale Istat “Diseguaglianze, disagio e mobilità sociale’.
(2) Negli anni più recenti, i redditi da lavoro autonomo hanno avuto una dinamica in termini reali significativamente superiore rispetto a quelli da lavoro dipendente, vedi
Banca d’Italia, “I Bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2004“, p. 9.
(3) Per le politiche di minimo vitale in Europa, vedi “
5th European Round Table on Poverty and Social Exclusion” (Tampere, 16-17 ottobre 2006).
(4) Sulla preparazione della Finanziaria per il 2007, vedi su questo sito l’articolo di Massimo Baldini e Paolo Bosi
‘Tra razionalizzazioni e occasioni mancate’. Sulla riforma Irpef della scorsa legislatura si legga il paragrafo 7.2 del Rapporto sulle Politiche contro la Povertà e l’Esclusione Sociale – Anno 2004.
(5) La proposta di un “assegno per il sostegno delle responsabilità familiari” è contenuta nel programma dell’Unione.
(6) Per un’applicazione al caso italiano di un’imposta negativa sui redditi familiari (credito familiare) vedi Cnel, Indagine sulla riforma dell’assistenza sociale. Atti parlamentari XIII legislatura, doc. XXI, n. 2/V, pp. 163-187, Camera dei Deputati, Roma (1998).

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Sommario 3 gennaio 2007

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Il fabbisogno dimezzato

  1. Alberto Mura

    Questo articolo e` interessante, ma presenta alcune carenze metodologiche gravi. Una percentuale r riferita a un campione definito da una certa proprietà P dice ben poco, da sola, sulla rilevanza di P nello spiegare r: essa deve essere raffrontata alle percentuali relative ad altri campioni che non soddisfano P. Apprendere che “[a] fine 2005, circa il 20 per cento delle famiglie con due o più minori a carico dichiarava di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà e più del 30 per cento di non poter affrontare una spesa imprevista di 600 euro” sembra suggerire che l’avere due o piu` figli (e non uno solo o zero) è causa di povertà. Ma è perlomeno possibile che la percentuale delle famiglie con un solo figlio che si trovino in analoghe condizioni non sia molto differente da quella con due figli. Inoltre questo modo di presentare i dati suggerisce che vi sia una forte differenza nel passaggio da uno a due figli a carico e poca differenza nel passaggio da due e, poniamo, otto figli (tanto da includere sia le famiglie con due figli sia quelle con otto nella medesima categoria). Credo che con questo modo di presentare i dati sia possibile sostenere qualsiasi tesi.

    • La redazione

      Più che metodologica, secondo me la carenza è nell’esposizione, molto sintetica per ragioni di spazio. Ho economizzato le parole, rinviando il lettore ai documenti collegati per eventuali approfondimenti. Per esempio, i
      confronti con le famiglie senza figli (o con un solo figlio) che lei
      giustamente chiede si trovano nella tavola 9 della ‘Statistica in breve’ dell’Istat, che viene linkata per comodità del lettore all’inizio dell’articolo.
      Cordiali saluti

  2. giulia

    Salve leggo tante belle parole, ma di fatti niente. So solo che la mia famiglia e sulla soglia della poverta assoluta ho tre figli tra cui 2 vanno a scuola e siccome abito in un posto periferico per consentire loro lo studio deve pagare un trasporto privato anche al costo di non fare la spesa. Non ci sono aiuti per noi in nessun caso. Sono stanca di avere sempre le porte in faccia sono povera ma ho la mia dignita.

    Arrivederla e grazie per lo sfogo

    • La redazione

      Cara Giulia,
      grazie per il suo commento. Lei riassume meglio di me il punto centrale del mio articolo: "non ci sono aiuti per noi in ogni caso". Mi dispiace poterle offrire, come economista, soltanto "tante belle parole" e "fatti niente". Non ho io il potere di passare dalle parole ai fatti. Spetta alla politica, al governo, passare ai fatti concreti sul tema povertà. E’ quello che chiediamo in molti, da anni. Posso solo
      dirle, anche a nome di molti altri colleghi economisti, che faremo tutto il possibile perchè la sua dignità venga riconosciuta e rispettata, perchè in Italia ci siano politiche sociali migliori per chi ne ha più bisogno. Non getteremo la spugna tanto facilmente. Lei dice che le chiudono molte porte in faccia. Non conosco la sua situazione particolare, ma so che molte persone con redditi bassi a volte non sanno di avere diritto a benefici. Per esempio, lei prende gli assegni familiari? Posso suggerirle di contattare, se non lo ha già fatto, un patronato dei lavoratori nella sua zona (INCA o INAS)?
      cordiali saluti

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