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Un passo avanti

La nuova organizzazione della vigilanza sui mercati finanziari realizza una reale semplificazione: vengono attribuite alla Banca d’Italia tutte le competenze di stabilità, alla Consob quelle sulla trasparenza e correttezza di comportamento degli intermediari, con la contemporanea soppressione di Isvap e Covip. Finalmente abolito anche il Cicr. Al suo posto compare un Comitato per la Stabilità finanziaria, a cui spettano gli interventi di coordinamento per fronteggiare eventuali crisi delle banche. Ma il pericolo è che alla fine abbia troppi poteri.

Il disegno di legge sulla riforma delle Autority approvato dal Consiglio dei ministri di venerdì scorso rappresenta un importante passo in avanti per rendere più efficiente la vigilanza sui mercati finanziari.

Una scelta chiara

Dopo lunghe e interminabili discussioni, con in mezzo una legge sul risparmio che, nata con l’obiettivo di una razionalizzazione dell’assetto dei controlli, aveva finito con l’aumentare la confusione, si realizza un intervento di reale semplificazione: vengono attribuite alla Banca d’Italia tutte le competenze di stabilità, e alla Consob quelle sulla trasparenza e correttezza di comportamento degli intermediari, con la contemporanea soppressione dell’Isvap (subito) e della Covip (dal 2008).
È, finalmente, una scelta chiara con la quale si adotta anche nel nostro sistema un modello di vigilanza per finalità, riducendo il numero delle Autorità e delimitando con precisione le competenze dei supervisori.
È una scelta che dovrà superare le forche caudine del dibattito parlamentare dove, c’è da aspettarselo, si faranno sentire gli interessi di chi non vuole cambiare niente e soprattutto non vuole perdere poteri. Ma, non bisogna mai dimenticarlo e speriamo che non lo dimentichino senatori e deputati, è una scelta molto utile per tutti gli attori del mercato finanziario.
Razionalizzare gli assetti di vigilanza, infatti, non significa soltanto rendere i controlli più incisivi ed efficienti, evitando inutili sovrapposizioni. Significa anche ridurre i costi per la quasi totalità degli intermediari che hanno caratteristiche di polifunzionalità e sono così costretti a dialogare con una molteplicità di controllori, con oneri facilmente immaginabili che, alla fine, rischiano di scaricarsi sugli utenti finali.
Inoltre, bisogna sottolineare che il progetto di legge prevede interventi sulle modalità di nomina dei membri (che però non riguardano la Banca d’Italia) e sulla organizzazione di tutte le Autorità indipendenti, interventi che dovrebbero aumentare le garanzie di professionalità e autonomia del loro operato.

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Un po’ di sana diffidenza

Il governo ha deciso anche di abolire il Cicr, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. Chi scrive non può non essere contento, dopo una lunga battaglia sulle pagine de lavoce.info contro i vari tentativi, nel corso degli ultimi anni, di utilizzare un organo ormai obsoleto e inutile per consentire alla politica di mettere il naso nell’attività di vigilanza. Il fatto che si sia coraggiosamente deciso di eliminare un comitato che tanto successo riscuoteva tra i ministri dei governi di centrodestra e centrosinistra, testimonia come le ragioni di quella battaglia non erano certo campate in aria.
Morto il Cicr, nasce, però, un nuovo Comitato, quello per la Stabilità finanziaria. Si tratta di una cosa completamente diversa, sia per la sua composizione, limitata al ministro dell’Economia, al governatore della Banca d’Italia e al presidente della Consob, sia, e soprattutto, per le sue competenze che dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) investire soltanto gli interventi di coordinamento per fronteggiare i fenomeni di crisi delle banche. Se così realmente fosse, si tratterebbe di uno strumento utile, perché quando si verificano gravi episodi di patologia bancaria è giusto coinvolgere anche l’autorità politica, in particolare quando c’è bisogno di immissione di liquidità per evitare che la crisi si trasmetta all’intero sistema con conseguenze imprevedibili per tutta l’economia di un paese. Anche in sede comunitaria è stato sottoscritto nel 2005 un accordo tra autorità di vigilanza, ministri della Finanze e banche centrali per una gestione coordinata di questi, speriamo lontani, eventi. Lo stesso governatore della Banca d’Italia ha recentemente ricordato che quando la crisi è conclamata questa non può “non coinvolgere insieme alle Autorità tecniche anche quella politica, perché possono rendersi necessari interventi con un costo diretto e indiretto per l’erario”. (1)
Qui, però, le cose si complicano, perché il disegno di legge stabilisce che i poteri del Comitato non riguardano solo le crisi di gruppi bancari e finanziari, ma anche la loro “stabilità” e servono a ” consentire l’esercizio dei compiti di cui all’articolo 1, comma 3 della presente legge”.
Avventurandosi nel tortuoso percorso del testo legislativo, che sembra fatto apposta per nascondere qualche trappola, si scopre che in base a questa norma “restano ferme le funzioni di indirizzo e di alta vigilanza del governo e dei ministri nelle materie di cui alla presente legge e le competenze di Regioni ed enti locali previste dalla normativa vigente”. Tradotto in parole semplici, vuol dire che governo e ministro possono esercitare compiti non solo di “alta vigilanza”, ma anche di “indirizzo” nelle materie di Comitato. Cosa vuol dire?
La sensazione, detta con franchezza, è che una formulazione così ambigua e pericolosa abbia rappresentato la merce di scambio per l’abolizione del Cicr, ma il timore è che ciò che con l’abolizione esce dalla porta possa rientrare dalla finestra con una furbesca estensione dei poteri del Comitato. Saranno pensieri maliziosi, ma le italiche vicende ci insegnano che in questa materia un po’ di sana diffidenza non fa mai male.

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(1) Audizione del governatore della Banca d’Italia davanti alla 6ª commissione permanente Finanze e Tesoro del Senato, 26 settembre 2006, p. 14.

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Più lontani dal baratro *

  1. Michele Giardino

    Le preoccupazioni di Vella circa il nuovo Organismo “politico” di coordinamento sono persino troppo blande. In questa fase la politica non se la sente di rivendicare apertamente il proprio dominio su ogni vero potere. Persciò, mentre moltiplica le Autorità indipendenti le depotenzia sottilmente e variamente, innanzi tutto spostando il potere vero là dove può in qualche modo farsi valere. L’argomento sempre pronto è prevenire (o reprimere) la c.d. “autoreferenzialità”, termine che stimola la fantasia creativa dei politici su modi vecchi e nuovidi soggezione ad Organi elettivi: cioè ancora alle politica, cioè ai partiti, con ciò che segue lungo l’arcinota catena che risale ai meccanismi del consenso. E alla peggiore demagogia, quella del “soccorso ai deboli”.
    Ma le Autorità “indipendenti” non possono (per la contraddizion che nol consente…) “dipendere” da alcun consenso. La loro azione va valutata sui risultati, ma proprio per questo nessuno deve poterla condizionare. Solo così potrà essere giudicata ed eventualmente censurata senza poter ricorrere a scaltre chiamate di correità. Attenzione perciò a definire e distinguere le competenze; ai criteri di selezione dei collegi e alla durata in carica. E infine: è così assurdo proporre per i designati un’età minima (60 anni?) che prevenga sia ricatti che ambizioni post-carica? Non suggerisce nulla la riduzione ad un solo anno del termine di non designabilità dei politici “fuori linea”?

  2. Casetti Flavio

    Vella esulta ma non motiva. Ricordo anche ben due fondi sul Corriere chiedevano perentoriamente la cancellazione di ISVAP e CONSIP (sic!). Non era un semplice refuso, ma la logica conclusioni di ragionamenti che, partendo dal riordino delle autorità, spiegano come le funzioni dell’ISVAP vadano redistribuite e concludono che vanno soppresse la stessa ISVAP e…la COVIP. Non ho mai trovato un tentativo di motivazione: solo questo stravagante abbinamento. E’ passata una sostanziale assimilazione della previdenza complementare alla pura finanza. E su questo fondamento fasullo, si fonda il progetto. In Gran Bretagna pur in presenza di un unico regolatore dei mercati finanziari, si è sentito il bisogno di creare autorità per i fondi pensione. La previdenza comp.re ha protagonisti privilegiati, i fondi pensione di categoria, che non sono operatori finanziari. All’interno del mercato finanziario sono dal lato della domanda e non dell’offerta. Un quesito, per inciso: essendo Fondo Pensione e gestore finanziario controparti, la Banca d’Italia vigila sulla stabilità del Fondo o su quella del gestore? I Fondi Pensione sono tenuti per legge ad avere dei gestori finanziari e delle assicurazioni per le rendite.. Ma allora che senso ha un’unica autorità di vigilanza per operatori finanziari e fondi pensione. Mi si consenta la caduta di stile, non è come mettere la volpe a guardia del pollaio? Banche e Assicurazioni, non soddisfatte di gestire i patrimoni dei fondi pensione, certo molto controllate e in competizione non domestica, hanno ottenuto di accedere al cliente finale con i loro prodotti previdenziali. Le parti sociali avevano ottenuto che almeno a vigilare vi fosse un’unica agenzia specializzata, la COVIP appunto. Il risultato prevedibile del tutto sarà che i vagheggiati investitori istituzionali portatori di trasparenza, protagonismo sociale, ecc. saranno argomento per un buon articolo del professore di turno di ritorno dai paesi anglosassoni.

    • La redazione

      La ringrazio molto per il commento. So bene che per la Covip sussistono maggiori resistenze ma non ne vedo molto il fondamento. Viene sempre portato ad esempio il caso inglese, ma il dato comparato dimostra che vi sono sia paesi che hanno integrato la vigilanza sui fondi pensione, sia paesi dove questa è autonoma. Il fatto che il fondo si affidi ad un gestore non toglie che vi siano ragioni di tutela della stabilità e di trasparenza per gli aderenti e non vedo per quali motivi tali competenze non possano essere assolte nell’ambito di un modello di vigilanza per finalità come quello prefigurato dal testo di legge del governo. E mi sembra onestamente non comprensibile il rapporto tra concentrazione della vigilanza e rischio di cattura del regolatore da parte di banche e assicurazioni. Il rischio di cattura non è, forse, come la storia delle legislazioni finanziarie ha spesso dimostrato, più intenso nelle Autorità “dedicate”, e cioè che operano secondo una competenza per soggetti? Per quanto concerne poi le sue conclusioni, la mia speranza è che “il professore di turno” stia in Italia e faccia un bell’articolo su un fondo pensione italiano che, finalmente, sia protagonista nel mercato finanziario. E si è mai chiesto perchè finora i suoi tanto vituperati “professori di turno” non hanno mai avuto materiale per farlo e sono stati costretti a volgere lo sguardo ai paesi anglosassoni?

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