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La pensione complementare ha un fondo pubblico

Doveva avere un carattere residuale, un’organizzazione agile e una gestione finanziaria limitata al breve termine. I decreti ministeriali trasformano invece FondInps1 in tutt’altro. Ma la presenza di una “normale” forma pensionistica complementare di natura pubblica avrà il progressivo effetto di rendere del tutto marginali le altre tipologie di fondi pensione perché incorporerà, senza penalizzazioni per gli aderenti, un’implicita assicurazione statale di rendimento minimo. Forse sono venuti meno i vincoli ad aggravi della spesa pensionistica pubblica?

La nuova normativa sulla previdenza complementare italiana, basata sul decreto legislativo 252/05 e sulle modifiche apportate dall’ultima Legge finanziaria, è entrata in vigore il 1° gennaio 2007, ma è stata completata solo pochi giorni fa con i due previsti decreti del ministro del Lavoro. I due decreti definiscono le complesse procedure cui dovranno sottoporsi i dipendenti privati e i loro datori di lavoro per collocare i flussi di Tfr nel secondo pilastro previdenziale oppure per detenerli in azienda o nel fondo statale a ripartizione gestito dall’Inps (FondInps2). Qui voglio però soffermarmi su un altro aspetto: uno dei decreti disegna anche la governance e il funzionamento della “forma pensionistica complementare residuale presso l’Inps” prevista dall’articolo 9 del Dlgs 252/05.

Le origini di FondInps1

Come suggerisce la sua stessa denominazione, tale forma pensionistica (indicata, d’ora in poi, come FondInps1, per non confonderla con FondInps2) era stata concepita come un fondo residuale a capitalizzazione destinato a raccogliere il Tfr maturando di quegli aderenti ‘taciti’ alla previdenza complementare, che non hanno automatico accesso né a un fondo pensione contrattuale né a un fondo aperto con adesione collettiva.
Pur se essenziale per la completezza dell’impianto normativo, la funzione di FondInps1 sembrava ben circoscritta: spingere tutti i lavoratori, lì finiti in via residuale, ad aderire al più presto e in modo consapevole a una delle forme pensionistiche presenti nel mercato. Ci si sarebbe quindi aspettati che il ministro del Lavoro disegnasse una governance e un’organizzazione di FondInps1 molto agili e una sua gestione finanziaria limitata al breve termine. Viceversa il decreto, oltre a prevedere un comitato di amministrazione di ben nove membri, sollecita una gestione multicomparto del fondo. Pertanto gli aderenti a FondInps1, pur dovendo essere inizialmente collocati – perché silenti – nel comparto prudenziale con garanzia previsto dalla normativa e mal modellato dalle “direttive generali” della Covip, potranno scegliere, dopo un anno, il passaggio a un diverso comparto finanziario. Il decreto aggiunge poi che questi stessi aderenti hanno la facoltà di integrare i loro flussi di Tfr con contributi volontari di ammontare variabile, secondo i regolamenti fissati da FondInps1; e interpreta la loro esenzione dal vincolo biennale di permanenza nella forma pensionistica prescelta (vedi il Dlgs 252/05) come un obbligo a mantenere la loro “posizione individuale” presso FondInps1 per “almeno un anno dall’adesione”.

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Il comma 760 della Finanziaria

Tutto ciò ha un’evidente conseguenza: nasconde “sotto il tappeto” il carattere residuale di FondInps1 per assimilarlo a una normale forma pensionistica complementare che si aggiunge ai fondi pensione contrattuali, ai fondi pensione aperti e ai piani pensionistici individuali.
La scelta appare in così palese contrasto con lo spirito del decreto legislativo 252/05 (vedi il già citato articolo 9) da sollecitare una spiegazione. Spiegazione che può essere trovata in un comma un po’ trascurato della Legge finanziaria per il 2007, che recepisce (ahimè) un punto del Programma dell’Unione. In quel comma (il 760) si afferma che il ministro del Lavoro, nell’ambito della prima delle sue settembrine relazioni al Parlamento sui “dati relativi alla costituzione e ai rendimenti delle forme pensionistiche complementari”, dovrà riferire “sulle condizioni tecnico-finanziarie necessarie per la costituzione di un’eventuale apposita gestione Inps, alimentata con il Tfr, dei trattamenti aggiuntivi a quelli della pensione obbligatoria definendo un apposito Fondo di riserva”. La nuova organizzazione di FondInps1 porta a pensare che il ministro del Lavoro abbia già deciso di rendere effettiva questa eventualità e di far confluire la “apposita gestione Inps” e il correlato “Fondo di riserva” proprio in FondInps1.
Dare una spiegazione plausibile non attenua, però, né i problemi gestionali di FondInps1 né le preoccupazioni per il futuro della previdenza complementare italiana. Sotto il profilo gestionale, FondInps1 si troverà costretto a offrire a ciascun aderente una linea prudenziale di investimento che, in base a quanto previsto dalla Covip, deve: (1) assicurare “con certezza il risultato della restituzione integrale del capitale [nominale], al netto di qualsiasi onere (..)” e – dopo un anno dall’adesione – in qualsiasi istante di tempo; (2) erogare “con elevata probabilità rendimenti che siano pari o superiori a quelli del Tfr, quantomeno in un orizzonte temporale pluriennale”. La complessità della prima garanzia rende irrealistica ogni pur cauta quantificazione della probabilità del secondo punto, con il fondato rischio di “garantire” agli aderenti della linea più prudenziale un rendimento inferiore a quello del Tfr.
Sotto il profilo di sistema invece, la presenza di una “normale” forma pensionistica complementare di natura pubblica avrà il progressivo effetto di rendere del tutto marginali le altre tipologie di fondi pensione in quanto incorporerà – senza penalizzazioni dirette per gli aderenti – un’implicita assicurazione statale di rendimento minimo. Anche volendo prescindere da ogni giudizio rispetto a una concorrenza così distorsiva, resta un interrogativo: che senso ha avuto costruire per quindici anni un pilastro previdenziale complementare, se il policy maker si orienta poi per una soluzione “alla Modigliani” di un fondo unico con garanzia statale? Il significato è forse che sono venuti meno i vincoli ad aggravi (seppure aleatori) della spesa pensionistica pubblica?

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  1. Donatello Garcea.

    Cortese professor Messori,
    mi sono occupato in dottrina della questione. Sul fondo residuale (FondInps1) sul nuovo commentario del prof. Tursi, e sul fondo di tesoreria (FondInps2) sul nuovo numero della rivista del prof. Tiraboschi. Accolgo con favore il suo richiamo al “comma un po’ trascurato”, che nei miei scritti ho definito senza mezzi termini “un trucco giuridico”. A mio avviso il problema di FondInps1 è quello di trasporre la normativa privatistica in una struttura chiaramente pubblicistica (sostengo una interpretazione restrittiva del rinvio “integrale” ex art. 9) e non quello della concorrenzialità. Il Fondo è residuale: non vi è possibilità di adesione diretta da parte del lavoratore che non può “scegliere” il fondo pubblico. Esso interviene in via successiva, e non alternativa, ai fondi privati. Le preoccupazioni dottrinali (sul vecchio testo) sul dominante ruolo dell’Inps possono essere dimenticate.
    Il problema serio è nascosto nel “comma un po’ trascurato” che, a mio avviso, rende riferimento al Fondo di tesoreria (FondInps2). Se l’alimentazione avviene “con il tfr” il riferimento è limitato ai lavoratori non aderenti. Per quelli che aderiranno alle forme complementari il tfr sarà già in queste ivi incorporato e l’accantonamento datoriale perderà già alla radice questa qualificazione di tfr. L’unico tfr che rimarrà sarà quello dei non aderenti e che confluirà, mantenendo la sua qualificazione giuridica di tfr, in FondInps2.
    FondInps2, visto il comma in parola, restituirà il tfr in forma di “trattamento aggiuntivo”, con rendita vitalizia e non in una unica soluzione come farebbe il datore privato. E la tanto sbandierata facoltà di scelta?
    Se aderirò alle forme complementari il tfr mi sarà restituito in forma di rendita vitalizia pensionistica, se non aderisco sarà lo stesso. Unica differenza il rischio: i fondi complementari investono sugli aleatori mercati finanziari, FondInps2 ha un rendimento predeterminato dalla legge.

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