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Non è ancora l’ora di brindare

Le stime sulla crescita del Pil nel quarto trimestre sono molto buone. E con l’economia italiana nel suo complesso è tornata ad andare bene anche l’industria. Ma non è il momento di accontentarsi dei risultati ottenuti. Altrimenti, se si esaurisse la congiuntura positiva in Germania, tra qualche mese potremmo trovarci con l’amara sorpresa di non avere fatto “i compiti a casa”. In fatto di trasporti ed energia, per esempio. E di disincentivi all’accumulazione derivanti dall’attuale struttura della tassazione del risparmio e del reddito d’impresa.

Le stime sulla crescita del Pil nel quarto trimestre sono molto buone. E con l’economia italiana nel suo complesso è tornata ad andare bene anche l’industria. Ma non è il momento di accontentarsi dei risultati ottenuti. Altrimenti, se si esaurisse la congiuntura positiva in Germania, tra qualche mese potremmo trovarci con l’amara sorpresa di non avere fatto i compiti a casa.

L’economia italiana e l’economia mondiale dopo il quarto trimestre 2006

Come riportato nell’ultima colonna della tavola 1, nel quarto trimestre 2006, l’economia italiana è cresciuta dell’1,1 per cento rispetto al trimestre precedente e del 2,9 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2005. È un risultato migliore delle attese, che pure già da qualche mese hanno cominciato a incorporare il miglioramento della situazione economica. È il dato congiunturale più positivo dal 1999. La rapida crescita del quarto trimestre porterà probabilmente l’economia italiana a un tasso di crescita medio per il 2006 di circa il 2 per cento su base annua.(1)
Sono dati ben diversi da quelli cui siamo abituati. Nel 2001-2005, la crescita media del Pil era infatti stata solo dello 0,6 per cento, meno di un terzo di quella attuale. E il dato è comunque migliore anche di quello medio per il periodo 1995-2005, che comprende sia gli anni a crescita rapida della new economy che quelli a crescita lenta dopo la crisi delle imprese dotcom, l’11 settembre e la recessione del 2004-05. Nel 1995-2005, la crescita media del Pil era stata di solo 1,3 per cento l’anno, più di mezzo punto percentuale meno che nel 2006.
Un’altra buona notizia che si apprende dalla tabella è che, nell’ultimo trimestre, l’economia italiana ha fatto meglio di tutti i principali partner europei, anche se non per l’anno nel suo complesso. Buone notizie arrivano in realtà da quasi tutti i paesi europei (e l’Italia continua anzi ad essere la più lenta nel gruppo). L’origine delle buone notizie non è misteriosa, però. Come dice il presidente della Bce Jean Claude Trichet, qualcuno che doveva farli – Germania e Italia – ha fatto, o cominciato a fare, i compiti a casa. Ma soprattutto l’economia mondiale va bene: il Pil mondiale è cresciuto del 5 per cento nel 2006 e le stime dicono che continuerà a farlo anche nel 2007. Anche l’economia americana sembra aver superato il rallentamento dei mesi precedenti.

Perché non accontentarsi

Daniel Gros ha efficacemente esposto le ragioni dell’ottimismo sul futuro dell’economia italiana. (2) Alle sue ragioni si può anche aggiungere che la ripresa del 2006 avviene in corrispondenza di un aumento del Pil del settore industriale. Si interrompe cioè una tendenza negativa in atto da diversi anni. Oggi il Pil dei paesi più ricchi è, per il 70 per cento e più, produzione di servizi. Ma la deindustrializzazione non implica la scomparsa del manifatturiero. La riduzione della quota di occupati manifatturieri in atto da decenni può (e deve) essere controbilanciata da aumenti della produttività. Proprio questo era mancato negli ultimi dieci anni, nei quali anzi il rallentamento della produttività nel manifatturiero ha contato per quasi due terzi nell’azzeramento nella crescita della produttività nell’economia italiana. (3)

Ci sono però tre ragioni che suggeriscono di non accontentarsi dei risultati ottenuti.
ambiente internazionale potrebbe diventare meno favorevole. La ripresa del quarto trimestre in Germania, per quanto trainata soprattutto dalle esportazioni, probabilmente include anche un temporanea anticipazione dei consumi di beni durevoli in vista dell’aumento dell’Iva in essere dal gennaio 2007. Quindi la Germania potrebbe rallentare, almeno nella prima parte dell’anno. E anche il deficit nella bilancia commerciale americana è un evergreen dei punti interrogativi sulla crescita futura: è sempre lì, anche se per ora non ha prodotto il temuto rapido deprezzamento del dollaro (e apprezzamento dell’euro) che indebolirebbe la crescita in Europa.
I trasporti e l’energia continuano a rappresentare tasse nascoste che impediscono alle imprese manifatturiere di ottenere risultati ancora migliori. I miglioramenti (citati da Gros nel suo articolo) registrati tra il 1998 e il 2003 negli indici Ocse di liberalizzazione dei mercati dei prodotti e dei servizi rendono apparentemente l’Italia uno dei paesi che ha “liberalizzato” di più negli anni scorsi. Ciò è in contrasto con la percezione comune. Gli indicatori dell’Ocse mostrano solo il risultato delle privatizzazioni senza liberalizzazione (o con liberalizzazione del commercio bloccata a livello locale) degli anni Novanta. Che poco hanno lasciato nelle tasche di imprese utilizzatrici e consumatori e molto nelle tasche dei produttori di servizi.
Infine, le alte tasse sul reddito di impresa continuano a scoraggiare la localizzazione di nuove attività imprenditoriali entro i nostri confini. In Italia le aliquote sui profitti societari sono al 33 per cento, maggiorate dell’Irap che pesa per il 4,25 per cento del costo del lavoro, degli interessi sul leasing e degli utili di partecipazione. La tassazione per le imprese che impiegano molti lavoratori può arrivare a superare il 50 per cento dei profitti societari. Nella Repubblica Ceca, molto più vicina all’appetibile mercato tedesco, l’aliquota sul reddito d’impresa è al 24 per cento. In Estonia è al 23 per cento e in ulteriore riduzione. E già la Macedonia pubblicizza un regime fiscale con imposte sugli utili al 10 per cento. Per essere competitiva, l’Italia non deve inseguire la Macedonia, ma affrontare con maggiore consapevolezza il problema dei disincentivi all’accumulazione derivanti dalla attuale struttura della tassazione del risparmio e del reddito d’impresa.

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Tavola 1: Crescita del Pil – Stati Uniti, Europa e grandi paesi europei

Tassi di crescita, punti percentuali

 

2000-2005

1995-2005

2006

Quarto trimestre 2006

Quarto trimestre 2006

 

dati medi

dati medi

dato previsto

crescita sul trimestre precedente

crescita sul quarto trimestre 2005

USA

1.2

3.3

3.4

0.9

3.4

Eu-25

0.9*

2.3*

2.9

0.9

3.4

— Italia

0.3

1.3

2.0

1.1

2.9

— Germania

0.3

1.3

2.7

0.9

3.7

— Francia

0.7

2.1

2.0

0.6-0.7

2.2-2.4

— Spagna

1.1

2.7

3.5

1.1

4.0

Regno Unito

1.2

2.8

2.7

0.8

3.0

* Dato per Eu-25 non disponibile. Si riporta il dato per l’Eu-19, cioè l’Eu-15 più Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria

Fonti: Oecd Productivity Database (versione del 13/10/06); Istat, comunicato stampa del 13/2/2007; Eurostat, GDP flash estimates, News Release del 13/2/07


(1)
Uno dei misteri delle statistiche per il lettore non addetto ai lavori è come sia possibile che l’Istat diffonda i dati del quarto trimestre 2006 e invece nello stesso comunicato si apprende che la stima della crescita per l’anno 2006 sarà comunicata solo tra circa un mese. Come se l’anno non fosse la successione di quattro trimestri. Il problema è che, come si legge al sito dell’Istat, “la mancanza totale o parziale di alcuni indicatori alla data della stima preliminare comporta un ricorso a tecniche statistiche di integrazione. Di conseguenza, le stime preliminari trimestrali possono essere soggette a revisioni di entità superiore rispetto alle stime correnti, diffuse a 70 giorni dalla fine del trimestre.”. Quindi per il dato definitivo bisogna aspettare ancora un po’.
(2) Gros ha sottolineato che il debito italiano, per quanto elevato, è in definitiva sostenibile anche a fronte di rialzi nei tassi di interesse con – a giudizio di Gros – marginali aumenti della pressione fiscale. Così sembrano pensarla anche i mercati finanziari che fanno pagare tassi molto simili sul loro debito al governo italiano e a quello tedesco. E anche l’andamento negativo della produttività degli ultimi anni potrebbe almeno parzialmente essere un temporaneo effetto statistico indotto dalla contabilizzazione dei lavoratori immigrati tra gli occupati regolari, regolarizzazione che dal lato del Pil era avvenuta in precedenza.
(3) Come discusso più estesamente in “Produttività e attrattività del paese: i nodi da sciogliere”(Quaderni del Centro Studi Confindustria), la crescita della produttività del lavoro nell’economia italiana è scesa da +2,3 nel 1980-95 a +0,5 punti percentuali nel 1995-05. Di questo rallentamento pari a circa –1,8 punti percentuali, circa 1,2 punti sono attribuibili al rallentamento nella crescita della produttività dei settori industriali.

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10 commenti

  1. riccardo boero

    Egr. prof. Daveri

    mi chiedo davvero che senso abbia tutto questo affannarsi su 1 o 2 punti percentuali di incremento del PIL, in termini di euro, moneta di cui si incrementa ogni anno la quantita` circolante del 10%.
    Guardiamo indietro di 5 anni: il PIB europeo e` aumentato forse di un 10%, mentre l’oro (moneta non manipolabile) ha quasi raddoppiato il suo valore.
    Allora che dire di una fattoria che in cinque anni “incrementa” il suo prodotto da 100 sacchi di patate da un chilo l’uno, a 110 sacchi di patate da mezzo chilo l’uno?.
    Le sarei grato di una risposta

    • La redazione

      Niente paura: il PIL è misurato in termini reali, cioè depurando dall’effetto dell’aumentato circolante sull’inflazione.
      E poi una differenza di 1 o 2 punti percentuali di crescita del PIL in più su un lungo periodo di tempo può fare una bella differenza. un paese il cui PIL cresce del 2% raddoppia il suo standard di vita in 35 anni. Con una crescita dell’1%,
      per ottenere lo stesso raddoppio di anni ce ne vogliono 70.

  2. Marco Solferini

    L’ottimismo ha scritto pagine ingiallite di scellerata, quanto umana, passione per la follia, nel mondo dell’economia e ancor più della finanza. Il richiamo dell’Autore è giustissimo e sottoscritto prima ancora del suo essere reso noto, ma credo in tutta sincerità che elementi strutturali invitino anzi alla cautela estrema, proprio perchè c’è un effetto traino. Non dimentichiamo il gap infrastrutturale e altresì le innumerevoli manchevolezze in termini concorrenziali che sono pillole avvelenate per la crescita del nostro sistema. Qui ci vuole prudenza, meno spettacolarizzazione dei contenuti, audacia certo, come tutti i Moschettieri del Ré hanno sempre dimostrato, ma profondo senso del realismo. Sui mercati si utilizza un termine: wait and see approach.

  3. riccardo boero

    Egregio professore,

    mi rendo conto che non le sia possibile dibattere in questa sede, ma 2 considerazioni si impongono:
    1) il PIL in termini reali e` depurato dell’inflazione Core, non certo di quella monetaria che corrisponde all’ aumento di M2/M3, attualmente del 10% e che certo non e`ininfluente nei considerevoli aumenti dei prezzi dell’immobiliare, dei metalli preziosi, dell’alimentazione, dell’energia, degli oggetti d’arte, della Borsa.. insomma di tutto tranne i panieri statistici.
    2) non mi pare che un aumento del PIL corrisponda comunque ad un aumento della ricchezza di un paese: se io la pagassi per leggere i suoi commenti e lei mi ripagasse per leggere i miei, il PIL aumenterebbe ma non certo la ricchezza di alcuno di noi. L’unica cosa che aumenta veramente con il PIL sembrano essere le entrate fiscali e quindi il potere degli uomini politici. Sara` per questo che i governi si accaniscono cosi’ per 1 punto in piu’ o in meno?
    Grazie

    • La redazione

      1) il paniere dell’istat è la miglior approssimazione possibile ad una misura del costo della vita. delle sue distorioni abbiamo discusso a lungo sul sito ai tempi del passaggio all’euro.

      2) sono in molti a pensare che la crescita del PIL non porti ad un vero aumento di ricchezza (tra cui il presidente Kennedy molti anni fa). la controbiezione consueta di noi economisti è che con un PIL più elevato diventa più facile permetterci anche quelle cose immateriali che migliorano la qualità della vita come aria ed acqua pulita, un miglior sistema sanitario e di istruzione e così via.

  4. Alberto

    Si stima che nel 2006 ci siano circa 4milardi di Euro in più, come quasi sicuramente ce ne saranno nel 2007, per magior PIL e lotta all’ evasione.
    Se si spedessero 4Mld x una tantum di defiscalizzazione a 25milioni di redditi + bassi.
    3,5Mld di defiscalizzazione, per aziende che assumono a tempo indeterminato part-time 3500Euro/annoX900.000persone.
    3Mld per defiscalizzare il lavoro per tutti i dipendenti assunti a oggi (vedi estensione cuneo fiscale-defiscalizzazione Irap per assunto).
    In questo modo si incrementerebbe il PIL in modo GRANDIOSO dando un’ impulso DEFINITIVO all’ economia come VOLANO duraturo. Con +1% di PIL nei prossimi 10 anni possiamo pagare tutti i debiti che vogliamo! Non facciamo morire il bambino per risparmiare sul latte!
    Alberto

    • La redazione

      io ci credo, ma non tutti gli analisti sono d’accordo nel ritenere che una riduzione di imposte sul lavoro farebbe aumentare di molto l’occupazione e quindi il PIL. inoltre, il problema non è far accelerare il PIL solo nel 2007 ma per utti gli annni a venire. e quindi occorre pensare a politiche sotenibili su un più lungo periodo di tempo.

  5. Fabio Lottino

    Gentili Autori complimenti per il sito..
    nel mio essere dichiaratamente di destra voglio chiedervi una piccola spiegazione (che io personalmente già mi sono dato, ma vorrei capirci meglio nonostante Dott. in Economia)
    I risultati economici e finanziari a livello macroeconomico del 2006 e di questi giorni, oltre che essere merito della congiuntura internazionale e del “treno” fiat, sono merito delle politiche del passato?
    Personalmente sono tra i sostenitori di quella teoria per cui i risultati di una compagine governativa si vedono dopo 4/5 anni dalla approvazione.
    Grazie mille
    Fabio Lottino
    Potenza

    • La redazione

      E’ vero: i tempi rapidi della politica a volte non sono quelli del buonsenso. Le politiche di un governo non hanno effetti istantanei, soprattutto le politiche fiscali. Quattro-cinque anni per valutarle però sono troppi. E’ possibile dire qualcosa anche prima.
      E’ probabile che una parte del boom delle entrate fiscali di quest’anno (e il relativo miglioramento del deficit pubblico) sia anche merito della finanziaria 2006 di tremonti che, al contrario delle previsioni della vigilia, non è stata una finanziaria elettorale. Un articolo di Tito Boeri sul nostro sito aveva però
      mostrato, dati alla mano, che gli aumenti dell’IVA sono stati straordinari se confrontati con il passato.
      E’ sul lato della spesa che tremonti ha lasciato un’eredità più difficile. chiudendo i rubinetti della spesa senza modificarne le leggi non si riduce davvero la spesa ma si spostano semplicemente gli oneri della spesa al futuro (è il caso dell’anas e delle ferrovie di cui parla spesso il ministro Di Pietro).
      Infine è anche vero che la rapida crescita di oggi è soprattutto il riflesso della rapida crescita economica tedesca e della continuazione del boom americano. ma non mancano gli esempi di imprese italiane che stanno facendo meglio dei concorrenti. ciò, se può legittimamente alimentare un certo ottimismo, non è una buona ragione per abbandonare le riforme.

      Francesco Daveri

  6. Alessandro

    Concordo sull’articolo. Vedo un futuro molto cupo per l’Italia, la crescita per il 2007 sarà solo il 2% mentre il resto del mondo cresce mediamente al 5%. (non possiamo non considerare la sostenibilità del nostro immane debito pubblico)

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