Adottando un semplice decalogo, il tribunale di Torino ha aumentato in modo notevole la produttività. A parità di risorse e organico. Se tutti i tribunali italiani avessero fatto altrettanto, il numero di giorni medio per un giudizio di primo grado nelle cause di contenzioso civile sarebbe sceso da 1007 giorni nel 2001 a 769 giorni nel 2005. La situazione della nostra giustizia può dunque migliorare decisamente se funzionari di vertice motivati esercitano effettivamente i loro poteri direttivi. E se la cooperazione di tutto lo staff è stimolata da adeguati incentivi.
Una delle ragioni più importanti della scarsa competitività del sistema Italia e della sua scarsa attrattività per gli investimenti internazionali è lalentezza della giustizia civile.
Per risolvere la situazione, semplificando brutalmente, possiamo individuare tre leve fondamentali: la revisione delle norme del processo e della struttura delle tariffe degli avvocati; l’aumento di magistrati, funzionari e mezzi; l’introduzione, anche in questo comparto così delicato della pubblica amministrazione, di adeguati incentivi a giudici e personale amministrativo.
In genere, si parla sostanzialmente solo delle prime due, lamentando, peraltro non senza ragione, la cronica mancanza di risorse. Vogliamo qui mostrare che si possono ottenere risultati molto incisivi agendo, a parità di risorse, sugli incentivi ai magistrati e ai cancellieri, i funzionari che nei tribunali svolgono compiti amministrativi.
Il decalogo torinese
Senza richiedere risorse aggiuntive, senza postulare ulteriori riforme del processo civile, iltribunale di Torino ha ottenuto nell’ultimo quinquennio risultati così significativi da meritare una specifica menzione della Commissione europea. (1)Semplicemente, su iniziativa del suo presidente, sin dal 2001 ha messo a punto un "decalogo", una serie di norme di comportamento rivolte a giudici e cancellieri volte a ridurre i tempi dei processi.
Nonostante non sia immune dalle carenze di organico e mezzi che affliggono tutti i tribunali della penisola, quello di Torino ha messo a segno una performance di grande rilievo: considerando solo il contenzioso ordinario, si è giunti a una riduzione del33 per cento del carico pendente in cinque anni (2001-2006).
Al decalogo, adottato nell’ambito del "Programma Strasburgo", si sono aggiunti piccoli ma cruciali incentivi(2): "per i magistrati, la menzione del contributo offerto da ciascun giudice per il conseguimento degli obiettivi nei pareri redatti per la progressione in carriera; per il personale amministrativo, l’inclusione del programma fra i cosiddetti progetti finalizzati concertati con i sindacati e rilevanti ai fini del premio di produttività previsto da Ccnl".
Ma quali sono i contenuti del "decalogo"? Nessun segreto, ma semplice buona applicazione della disciplina vigente.(3) Né, del resto, potrebbe essere diversamente, trattandosi delle norme che regolano il processo civile.
Alcune disposizioni sono volte a rendere più fruttuoso il tempo trascorso in udienza, alla presenza delle parti e dei loro legali: a tal fine il giudice deve effettivamente esercitare il potere di direzione del processo che la legge gli affida. Per poterlo fare, ovviamente, deve conoscere approfonditamente le "carte" processuali, e analoga conoscenza deve pretendere dai legali; di quanto accade deve dare atto scrupolosamente nel verbale, che diventa così un importante strumento di gestione del processo. Si scoraggia la produzione di memorie scritte, valorizzando le norme del codice di procedura che consentono la più veloce trattazione orale della causa.
Altre disposizioni puntano a concentrare le attività. Sono sconsigliati intervalli eccessivamente lunghi tra un’udienza e l’altra (di norma non devono superare i 40-50 giorni), al fine di assicurare a ciascun processo una media tendenziale di otto/dieci udienze all’anno. Anche se richiesti dalle parti, ad esempio perché ci sono trattative in corso volte alla definizione della controversia, i rinvii devono essere concessi con parsimonia, e solo se paiono davvero utili.
Un altro gruppo di prescrizioni si propone di rendere più snella ed efficace la parte più propriamente istruttoria del processo, quella in cui si cercano riscontri alle contrapposte tesi, ascoltando testimoni, facendo perizie, eccetera. Anche qui, semplici richiami all’effettiva osservanza delle norme di procedura, spesso trascurate nella prassi: testimoni sentiti solo se necessario, nel numero minimo, su fatti e circostanze precisamente individuate, affinché non siano introdotte inutili divagazioni; consulenti del giudice chiamati al rispetto dei tempi loro concessi, e a fornire documentazione adeguata della attività svolta in contraddittorio con le parti.
Infine, il giudice deve adoperarsi ogniqualvolta gli paia opportuno per la conciliazione della lite, potere che del resto gli è affidato dalla legge.) E perché ciò non resti un vuoto auspicio, sono suggeriti alcuni semplici accorgimenti.
Il decalogo sembrerebbe dunque contenere regole tanto semplici da rasentare la banalità. Eppure così non deve essere, se hanno consentito al foro sabaudo di ascendere in pochi anni ai vertici delle statistiche di efficienza complessiva raccolte dal ministero della Giustizia per quanto riguarda durata media dei processi civili e indice di smaltimento. (4)
La "produttività" dei tribunali italiani
Per valutarne in modo più puntuale gli effetti, nella tabella sottostante abbiamo provato a ricostruire il movimento del contenzioso civile ordinario dei tribunali dei nove principali capoluoghi di Regione nel 2001 e nel 2005.(5) La nostra indagine riguarda il primo grado delle cause civili, e solo il contenzioso, in quanto solo a questo trova applicazione il decalogo di Torino.
La tabella 1 mostra il numero dei procedimenti pendenti iniziali, iscritti e definiti (con sentenza o in altro modo) in corso d’anno, e quelli pendenti finali, per ciascuno dei tribunali presi in esame, negli anni 2001 e 2005.
2001 | 2005 | |||||||
Pendenti iniziali 2001 | Iscritti 2001 | Esauriti 2001 | Pendenti finali 2001 | Pendenti iniziali 2005 | Iscritti 2005 | Esauriti 2005 | Pendenti finali 2005 | |
Tribunale di TORINO | 36.886 | 25.235 | 29.202 | 32.919 | 26.003 | 26.888 | 26.540 | 26.351 |
Tribunale di BARI | 100.707 | 25.184 | 27.854 | 98.037 | 132.397 | 45.584 | 33.584 | 144.397 |
Tribunale di BOLOGNA | 27.133 | 9.495 | 11.633 | 24.995 | 26.060 | 9.400 | 8.950 | 26.510 |
Tribunale di MILANO | 72.504 | 37.758 | 40.840 | 69.422 | 65.358 | 43.017 | 39.916 | 68.459 |
Tribunale di ROMA | 254.411 | 81.181 | 114.605 | 220.987 | 133.635 | 73.749 | 76.891 | 130.493 |
Tribunale di FIRENZE | 29.073 | 10.438 | 14.659 | 24.852 | 22.068 | 12.152 | 11.365 | 22.855 |
Tribunale di NAPOLI | 225.673 | 73.612 | 77.887 | 221.398 | 170.624 | 78.055 | 77.501 | 171.178 |
Tribunale di VENEZIA | 22.320 | 6.759 | 11.478 | 17.601 | 15.695 | 8.398 | 8.053 | 16.040 |
Tribunale di PALERMO | 57.763 | 16.293 | 20.352 | 53.704 | 46.865 | 15.342 | 18.343 | 43.864 |
Sulla base di questi dati si possono costruire delle misure di produttività che, per quanto approssimative, ci consentono di valutare l’impatto del "decalogo" di Torino. Nella tabella 2 indichiamo, per ciascuno degli anni di riferimento, e sulla base delle definizioni dell’Istat, tali misure, che riguardano la durata media dei processi (e sua variazione percentuale tra 2001 e 2005) e l’indice di smaltimento dei processi. (6)
Durata media 2001 (giorni) | Durata media 2005 (giorni) | Variazione durata media 2001/2005 (%) | Indice di smaltimento 2001 (%) |
Indice smaltimento 2005 (%) |
Incremento Indice di Smaltimento 2001/2005 |
|
Trib. Torino | 468 | 358 | -23,6 | 47,0 | 50,2 | 3,2 |
Trib. Bari | 1.368 | 1.276 | -6,7 | 22,1 | 18,9 | -3,3 |
Trib. Bologna | 901 | 1.046 | 16,1 | 31,8 | 25,2 | -6,5 |
Trib. Milano | 659 | 589 | -10,6 | 37,0 | 36,8 | -0,2 |
Trib. Roma | 886 | 640 | -27,8 | 34,2 | 37,1 | 2,9 |
Trib. Firenze | 784 | 697 | -11,1 | 37,1 | 33,2 | -3,9 |
Trib. Napoli | 1.077 | 802 | -25,5 | 26,0 | 31,2 | 5,1 |
Trib. Venezia | 799 | 704 | -11,9 | 39,5 | 33,4 | -6,0 |
Trib. Palermo | 1.110 | 983 | -11,5 | 27,5 | 29,5 | 2,0 |
Dall’esame di questi dati osserviamo che il tribunale di Torino, che peraltro già nel 2001 mostrava una durata media del processo civile inferiore a quella degli altri, ha conseguito un’ulteriore, importante riduzione, la terza più ampia nei tribunali considerati. E assume ancora maggior rilievo se osserviamo che Roma e Napoli, che partivano da posizioni molto arretrate, potevano per ciò stesso contare su margini di miglioramento molto maggiori.
La performance del tribunale di Torino è ancora più evidente ove si guardi all’indice di smaltimento. Questo, che già nel 2001 era il più elevato tra i tribunali considerati, è ulteriormente cresciuto nel 2005, contrariamente a quanto si osserva in quasi tutte le altre sedi. Benché la valutazione del parametro richieda una qualche cautela (a parità di altre condizioni, sul suo andamento influisce la serie storica dei procedimenti "iscritti"), si può comunque osservare che il valore dell’indice fatto registrare a Torino nel 2005 è superiore del 35,3 per cento a quello di Roma, il secondo più alto.
Non è solo un problema di risorse
L’esperienza di Torino consente alcune importanti riflessioni. Costruire misure di produttività per i tribunali, come più in generale per tutto il settore pubblico, è difficile, ma non impossibile.
I tribunali hanno indici di produttività molto diversi tra loro, e ciò non deve sorprendere, perché ciascuno si misura con una realtà locale diversa. Tuttavia, dai dati che abbiamo presentato emerge che il tribunale di Torino, con il suo semplice decalogo ha aumentato in modo visibile la produttività, a parità di risorse e organico. Pur considerando la situazione di partenza migliore di altre realtà, è ipotizzabile che i significativi miglioramenti ottenuti a Torino si possano replicare anche in altre sedi.
Quali sarebbero i risultati concreti dell’estensione di questo programma a tutti i tribunali di Italia? Difficile dirlo. Ma ipotizzando che si possano ottenere miglioramenti di efficienza analoghi pur partendo da condizioni di produttività così diverse, se tutti i tribunali italiani avessero ottenuto la stessa performance di Torino, il numero di giorni medio per ottenere un giudizio di primo grado per le cause di contenzioso civile sarebbe sceso da 1007 giorni nel 2001 a 769 giorni nel 2005. A tutt’oggi la durata media ufficiale calcolata sulla base delle tabelle del ministero risulta essere di 838 giorni.
L’esperienza esaminata consente di affermare che la carenza di risorse non è l’unico male della nostra giustizia. A parità di risorse, l’effettivo esercizio dei poteri direttivi da staff può incidere significativamente sull’efficienza dei tribunali.
È vero dunque che il settore giustizia richiede unariforma complessiva, che riguardi, tra l’altro, norme processuali, tariffe forensi e riorganizzazione degli uffici, ma anche in questo ambito gli incentivi a magistrati e funzionari possono consentire forti recuperi di efficienza.
(1) Si tratta di una menzione speciale attribuita nell’ambito del premio "Bilancia di cristallo" per le pratiche innovative che contribuiscono a migliorare la qualità della giustizia civile, organizzato dalla Commissione europea e dal Consiglio d’Europa.
(2) Vedi tribunale Torino, Relazione annuale al programma Strasburgo, 17 febbraio 2003, pag. 4. Il programma Strasburgo serve a evitare gli effetti della legge Pinto. La legge89, in vigore dall’aprile 2001, trasferisce dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea alla Corte d’appello la competenza a pronunciarsi, entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso, con decreto immediatamente esecutivo e impugnabile per Cassazione, sulla lesione del diritto all’equo processo in termini ragionevoli.
(3)Lo si può leggere alla pagina www.agatavvocati.it/art/strasburgo/Delib.rtf
(4) Cfr. documento del ministero della Giustizia 12 maggio 2006.
(5) Abbiamo preso come riferimento i dati riportati nel sito del ministero della Giustizia per gli anni 2001 (http://www.giustizia.it/statistiche/statistiche_dog/2001/civile/sceltadistrettic01.htm) e 2005 (http://www.giustizia.it/statistiche/statistiche_dog/2002/civile/distretti_civ.ht). Al fine di ottenere dati comparabili per tutte le sedi, abbiamo escluso dal computo oltre a fallimenti, esecuzioni mobiliari e immobiliari, procedimenti speciali, presidenziali e camerali, decreti ingiuntivi e volontaria giurisdizione, anche tutti i procedimenti relativi alla materia familiare, per i quali non era possibile (in base ai soli dati del ministero) distinguere quelli contenziosi da quelli non contenziosi. Ciò spiega la lieve divergenza dai dati reperibili in rete relativi al tribunale di Torino e diffusi dallo stesso, che comprendono appunto i procedimenti contenziosi in materia di famiglia.
(6) Durata media in giorni = 365 * (pendenti iniziali + pendenti finali)/(iscritti + esauriti);
Indice di smaltimento (%) = esauriti * 100 / (pendenti iniziali + iscritti)
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Adriano Sala
Avete fatto una grande scoperta! La produttività entra in tribunale. Per chi lavora nel privato, la produttività è un fatto quotidiano, per chi lavora nel pubblico e, soprattutto, per chi lavora nel pubblico che non potrà mai essere privatizzato la produttività raramente sarà importante. Tant’è che il tribunale di Torino è un fatto eccezionale, da citare come esempio. A parte il fatto che prima di Torino andrebbe visto il tribunale di Bolzano, la prima e unica osservazione da fare è che i tribunali dovrebbero smettere di considerarsi “indipendente” e cominciare a considerarsi solo autonomi nei giudizi, ma dipendenti dalle tasse che i cittadini pagano. Allora scoprire solo il 15/20% dei colpevoli dovrebbe essere considerato fallimentare e dovrebbe portare all’allontanamento dei giudici, come avviene nei manager privati. Ci arriveremo?
La redazione
“Non ci è del tutto chiaro se la sua critica sia rivolta al nostro pezzo,
all’iniziativa del tribunale di Torino, o a quei tribunali che non
attribuiscono adeguata importanza alla ricerca dell’efficienza e della
produttività. In quest’ultimo caso, ovviamente, non potremmo che dirci d’accordo con lei. Quanto al tribunale di Bolzano, è vero che sotto taluni profili è più efficiente di quello di Torino, ma è anche vero che le sue dimensioni sono solo una piccola frazione di questo e degli altri considerati nella nostra ricerca”.
T. Gennari
Nell’articolo non si fa cenno agli eventuali costi che il Tribunale di Torino ha affrontato per applicare il suo decalogo.
Ci sono statti costi monetari maggiori? Dal punto di vista delle relazioni di lavoro interne al Tribunale, il decalogo ha comportato difficoltà? Dal punto di vista dell’efficacia dei processi, durata a parte, il decalogo ha avuto effetti di variazione nella distribuzione degli esiti dei processi?
E, prima di tutto, è sicuro che il merito dell’eccellente performance del Tribunale di Torino sia merito del decalogo o sia piuttosto l’effetto di qualche altro fattore?
La redazione
Come si può evincere facilmente dalla lettura del “decalogo”, la sua applicazione non comporta costi maggiori, e anzi è possibile ipotizzare risparmi per l’amministrazione della giustizia e per le parti, visto che il giudice è chiamato a selezionare con particolare attenzione le attività istruttorie e di trattazione da ammettere nel processo.
Anche per quanto riguarda le relazioni interne, è evidente come l’efficace applicazione delle prassi contenute nel prontuario, testimoniata dai dati numerici, postuli una loro condivisione di fondo, più che una adesione meccanica. Per sua natura, infatti, il rapporto di dirigenza negli uffici giudiziari, specie tra magistrati (a ciascuno dei quali deve essere assicurata l’autonomia indispensabile a svolgere correttamente la loro
funzione), si basa più sulla moral suasion che sul vero e proprio potere di direzione.
Quanto al rapporto di causalità rispetto alla performance positiva, l’introduzione del “decalogo” è stata l’unica differenza che ha marcato l’organizzazione del tribunale di Torino negli ultimi 5 anni, rispetto al periodo precedente, e rispetto alle altre sedi, nel medesimo periodo. Le altre variabili, quali organico, risorse, tasso di litigiosità (perlomeno per i dati desumibili dalle relazioni annuali, pubblicate sul sito http://www.giustizia.it) mostrano infatti un andamento lineare e in linea con quello delle altre sedi.
Infine, un ulteriore indice dell’efficacia dell’approccio adottato dal tribunale di Torino è che altre sedi, proprio in questi giorni, si stanno muovendo in quella direzione (cfr. il “Protocollo per i processi civili” messo a punto nel tribunale di Milano, consultabile al sito http://www.ordineavvocatimilano.it/html/contenitore.asp?pagina=layout.asp&idsezione=179&idlayout=371&bott=ok&idmacro=12).
Giacomo Dorigo
Secondo voi sarebbe utile ed auspicabile che in genere, quando un qualche unità locale (tribunale, scuola, università, amministrazione regionale, ecc.) individua delle procedure più efficienti come in questo caso ci sia un obbligo ad adottrle in tutte le altre realtà?
In genere nel mercato “copiare” chi fa meglio è inevitabile se si vuole sopravvivere (tanto che ci sono addirittura casi estremi di spionaggio industriale), ora mi chiedo se nella pubblica ammiistrazione si adottasse come regola, legge, ilprincipio di “copiare chi fa meglio” no si ridurrebbero almeno in parte le distorsioni che la mancanza di concorrenza comporta?
La redazione
Certo, a nostro avviso sarebbe molto importante prendere in considerazione la possibilità di generalizzare l’esperienza di Torino. Prevedere un obbligo di adozione per le altre sedi sarebbe eccessivo, ma sicuramente il Ministero della Giustizia potrebbe fare approfondimenti per trarne indicazioni utili.
G. Altieri
Dai dati riportati nell’articolo sembra molto più eclatante la riduzione del contenzioso nel Tribunale di Roma: da circa 254.000 procedimenti all’inizio del 2001 a circa 130.000 alla fine del 2005, con una riduzione più o meno del 50 %. Avete analizzato questi dati ?
La redazione
La sua osservazione è corretta. D’altra parte a noi non interessava fare una graduatoria tra tribunali, ma sottolineare che, tra le leve per migliorarne l’efficienza, non si devono trascurare soluzioni organizzative a costo ridotto o nullo ma di potenziale grande efficacia come quella adottata a
Torino. Da questo punto di vista, la durata media mi sembra un indicatore che interessi il cittadino più che l’abbattimento dell’arretrato. Questo è stato certo significativo a Roma, ma li un processo dura ancora in media quasi l’80% in più che a Torino.
sergio
Da avvocato praticante non posso non concordare con quanto scritto da Corrado e Leonardi. La mia esperienza quotidiana è fatta di ore gettate nella vana attesa che la mia udienza sia trattata, di prassi difformi tra giudici del medesimo tribunale, di tanti piccoli e logoranti inconvenienti che potrebbero essere facilmente superati con un po’ di logica e buon senso, quegli stessi che informano di sé il prontuario di Torino. Spero che la vostra ricerca abbia la più ampia risonanza perché, senza grandi rivoluzioni né svolte epocali, l’amministrazione della Giustizia ritorni al servizio del cittadino.
luigi oliveri
Se il progetto di recupero di un arretrato viene considerato come miglioramento e produttivitò, siamo messi davvero male.
La circolare del Tribunale è meritoria. Ma mette in evidenza alcune cose. Riporto solo due passaggi: “Il deposito della sentenza possibilmente in originale, completa di intestazione e conclusioni) deve avvenire nei termini di legge”. Perchè, viene da chiedersi, se non c’era la circolare era consentito violare la legge?; “Il giudice istruttore farà un uso costante dei poteri di direzione del procedimento ex art. 175 c.p.c..”. Anche in questo caso la domanda è: se non lo diceva la circolare, il giudice non lo avrebbe fatto?
Ancora una volta si dimostra che mancando parametri per valutare la produttività della pubblica amministrazione, si magnificano doverosi progetti di recupero di arretrato come avanzati esempi di produttività. Quei progetti che, nelle amministrazioni nelle quali il controllo di gestione è una cosa seria, ricevono regolarmente gli indici più bassi ai fini della valutazione dei dipendenti. Ovviamente.
La redazione
Il suo commento coglie nel segno. Se vivessimo nel migliore dei mondi possibili, non sarebbe necessario parlare di recupero dell’arretrato e di richiami all’effettiva applicazione di norme che esistono da anni. Così come – per fare un esempio relativo a una diversa materia, che tuttavia
presenta qualche analogia con la nostra – la proposta di “licenziare i nullafacenti della PA” non sarebbe al centro del dibattito. Ma poiché così non è, ci sembra interessante esaminare quelle esperienze che cercano recuperi di efficienza all’interno del sistema, senza chiedere all’esterno
risorse che è sempre più difficile reperire o riforme che è sempre più complicato progettare e attuare.
Elena Falletti
Cari Amici,
il Vostro contributo e’condivisibile ed interessante, permettetemi, peró , di segnalarVi un piccolo errore nella nota 2), dove sta scritto: “Il programma Strasburgo serve a evitare gli effetti della legge Pinto. La legge 89, in vigore dall’aprile 2001, trasferisce dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea alla Corte d’Appello la competenza a pronunciarsi…. “etc.
Non e’proprio cosí. La Legge Pinto non trasferisce competenze, ma e’istitutiva di un rimedio interno ex art.13 CEDU, ma capisco le esigenze di semplificazione per i non addetti ai lavori. Quello che é proprio sbagliato é il riferimento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il giudice europeo coinvolto in questo caso non é quello del Lussemburgo, competente per le questioni inerenti al diritto comunitario, ma quello di Strasburgo, ovvero la Corte europea per i diritti dell’uomo, che ha giurisdizione sulla violazione da parte degli Stati aderenti al Consiglio d’Europa, di cui l’Italia fa parte, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertá fondamentali. Ecco perché il programma torinese si chiama “Programma Strasburgo”.
La redazione
La ringraziamo della precisazione, che ci consente di porre riparo a una svista che ci era sfuggita. Effettivamente quello che ci interessava, più che illustrare in dettaglio genesi e natura della legge Pinto, era evidenziare il fatto che l’avvio a soluzione del problema della lunghezza dei processi ha tratto notevole impulso da iniziative di carattere sovranazionale.
francesco piccione
A mio avviso il sistema giudiziario italiano necessita di un radicale rinnovamento. mi rendo conto che quello che sto per proporre non ha alcuna possibilità di trovare applicazione, però mi piacerebbe che un governo – come quello attuale – che si propone di rinnovare il nostro paese si dimostrasse coraggioso. bisognerebbe adottare il sistema della giusrisdizione unica, superando vecchie distinzioni (diritti soggettivi ed interessi legittimi) e competenze che oggi non hanno più alcuna ragione d’essere. tribunale ordinario, tar, corte dei conti, commissioni tributarie, giudici di pace sono tutti giudici di primo grado e sicuramente ne ho saltati vari. potrebbero essere unificati, con la creazione di sezioni di uno stesso tribunale. sarà cura del presidente assegnare le cause a seconda delle competenze. la seconda regola sarebbe l’unificazione dei riti. oggi, nel solo processo civile si contano almeno undici diversi riti. una babele che giova solo agli avvocati. un unico rito, con tutte le cause che si introducono con ricorso. si deposita l’atto e da quel momento il procedimento è pendente. so bene che vi sono delle resistenze micidiali e che nessuna maggioranza oserà mai toccare dei centri di potere tanto forti, però sarebbe bello se ciò avvenisse. questa si che sarebbe una riforma della giustizia!
Claudio Miele
La causa della eccessiva durata media dei processi è in un semplice rapporto matematico tra le cause assegnate ad un giudice e le sentenze che riesce a scrivere in un anno.
In media è possibile scrivere tra le 120 e le 150 sentenze civili all’anno. Se dunque al giudice sono assegnate 150 cause, la durata media sarà di un anno; se gli sono assegnate 75 cause sarà di sei mesi; se ne ha 1500, ci vorranno 10 anni.
Diverso è il caso della singola causa: in quest’ultima ci possono essere motivi contingenti: troppi testi, troppe udienze di rinvio, consulenze poco chiare con necessità di chiarimenti, ecc. Così, può accadere che una singola causa duri molto più di un’altra. Per la singola causa è certamente valido il contributo di Torino. Ma per la durata media -che riguarda cioè in genere tutti i processi-, l’unico parametro è il rappporto tra cause in carico al giudice e sentenze annue.
Quanto alla durata dei rinvii, essa dovrebbe essere pari alla durata media della causa diviso 5 (che è il numero medio di udienze necessario, se efficienti, a definire una causa). Se si hanno 300 cause sul ruolo e si scrivono 150 sentenze annue, la durata media è circa due anni; dunque i rinvii potranno essere in media di 4 mesi; ma se la durata media è di 5 anni, la durata media dei rinvii potrà essere di un anno. Il collo di bottiglia è infatti la sentenza: è inutile far maturare più cause del numero di sentenze che si riesce a scrivere in un anno.
E’ ovvio che restano salve cause di particolare urgenza, per le quali potrà aversi una coria preferenziale; ma qui si parla delle durate medie.
Aggiungerei che in genere i magistrati, per contenere (inutilmente) la durata dei rinvii, portano troppe cause in udienza. In nessun caso dovrebbero aversi udienze con più di 15-20 fascicoli. Un eccessivo numero di cause impedisce una trattazione ed uno studio approfondito della causa e quindi si traduce in fattore di inefficienza.
mirko
In tre anni ci sono state due udienze; una volta il Giudice e’ stata distaccato ad un procedimento penale per un’urgenza ed ha rinviato l’udienza di un anno, altre due volte ha fissato sei mesi di termine per produrre integrazioni gia’ disponibili. Nel frattempo il sottoscritto aspetta un risarcimento di 60.000 euro che forse arrivera’ tra dieci anni. Tribunale di Milano.
luigi bottai
Voglio complimentarmi per la completezza e l’approfondimento del tema trattato e per l’utilità della vs analisi. vi aggiungo una chicca: sapete che la sezione fallimentare di Roma (la più grande d’Italia e forse d’Europa) ha le cancellerie chiuse dal 2.4.2007 fino al 12.5 p.v. per permettere l’installazione e l’avvio di un software imposto da un magistrato-dirigente del ministero? nessun curatore può depositare atti od istanze…e nessuno si ribella! ecco l’esempio massimo di inefficienza
rosario ziniti
L’articolo sull’efficienza del tribunale di Torino è interessantissimo, ma ignora le differenze di organico dei diversi tribunali italiani.
Il tribunale di Torino ha un organico complessivo di 162 magistrati togati ( di cui 86 civilisti , con una penedenza civile contenbziosa al 2005 di n. 26351 procedimenti.
Il tribunale di Bologna, per esempio, ha un organico complessivo di solo 72 magistrati togati ( di cui 35.5 civilisti con una pensenza ciivle contenziosa al 2005 di n: 26510 procedimenti.
DOTT.ERMANNO LIONETTI
Vorrei tanto che si facesse chiarezza sulla differenza e sul significato etimologico del termine veloce poiché al tribunale di Catania una causa di lavoro non dura meno di 4 anni, a Milano si dice addirittura in un anno.