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Fisco locale sotto stress

Attorno alle addizionali locali sull’Irpef si è accesa una polemica forse eccessiva. Anche perché è una misura adottata da una quota relativamente piccola di comuni. E bisogna evitare di moltiplicare i costi di adempimenti per i contribuenti che deriverebbero da spazi troppo ampi lasciati ai governi locali sui tributi erariali. Gli interventi vanno valutat nella prospettiva più generale dei vantaggi che una riforma in senso federale potrebbe portare. Difficile comprendere perché il sostegno alla famiglia debba passare dall’Ici.

In queste ultime settimane due vicende hanno messo sotto stress il fisco locale: da un lato, le decisioni assunte da alcuni comuni di variare le proprie addizionali sull’Irpef e, dall’altro, gli annunci di un prossimo intervento, questa volta da parte del governo centrale, di sgravio dell’Ici sulla prima casa modulato in relazione ai carichi familiari.

Le addizionali della discordia

Sul primo punto, quello delle addizionali Irpef, si sono in realtà accavallate questioni differenti. Innanzitutto, la Legge finanziaria ha consentito ai comuni di riattivare, dopo tre anni di congelamento, l’autonomia di aliquota sull’addizionale all’Irpef ora portata fino ad un massimo dell’8 per mille. Altra novità è la possibilità per i comuni di stabilire una soglia di esenzione per i contribuenti in possesso di “specifici requisiti reddituali”.
Sugli oltre ottomila comuni italiani solo 1.100 hanno fino ad oggi deliberato sull’addizionale. Di questi, circa il 60 per cento ha scelto di aumentare l’aliquota, il restante 40 per cento di mantenerla invariata, mentre soltanto tre hanno optato per una riduzione. Alcuni comuni hanno deciso di modulare l’addizionale su più scaglioni con aliquote marginali crescenti. Infine, altri, per la verità pochi finora, hanno previsto esenzioni diversificate per tipologie di reddito o per carichi familiari.
Parallelamente al rafforzamento dell’addizionale, la Finanziaria ha previsto una limitata riforma dell’Irpef erariale sostanzialmente a parità di gettito. Sono state ridefinite le aliquote, ripristinato il sistema delle detrazioni per carichi di famiglia e tipologie di reddito (al posto delle deduzioni volute da Tremonti e Siniscalco) e prevista una loro revisione. L’obiettivo è la redistribuzione del carico fiscale dai contribuenti più ricchi a quelli con imponibili inferiori a 40mila euro, e il sostegno, di pari passo alla revisione degli assegni, delle famiglie con figli.
La combinazione dei due interventi di riforma ha sollevato almeno tre ordini di questioni. La prima riguarda la concorrenza “verticale” tra diversi livelli di governo che insistono sulla medesima base imponibile: da un lato, lo Stato riduce la tassazione Irpef (almeno su alcune tipologie di contribuenti), dall’altro dà la possibilità ai comuni di accrescere il carico fiscale sul reddito, con un risultato complessivo che in alcuni casi potrebbe essere di aggravio netto. Il secondo profilo richiama questioni di iniquità in senso “orizzontale”: con la trasformazione delle deduzioni in detrazioni l’addizionale, che si calcola applicando l’aliquota comunale al reddito al netto delle deduzioni, ora non riflette più le caratteristiche dei contribuenti rilevanti per gli sconti fiscali Irpef, e in particolare non differenzia la tassazione locale tra diverse tipologie di famiglie. Il risultato, da varie parti stigmatizzato, sarebbe allora quello di attenuare il grado di personalizzazione dell’imposta nel complesso dell’Irpef (erariale più locale) proprio nel momento in cui sottolinea la necessità di promuovere una politica più attiva di sostegno alla famiglia.
Da ultimo, si lamentano le crescenti difficoltà di gestione del nuovo sistema della tassazione locale sul reddito: con addizionali così diversificate i datori di lavoro che hanno dipendenti residenti in comuni differenti dovranno caricarsi di rilevanti costi di adempimento per svolgere le proprie funzioni di sostituto d’imposta.
Le questioni sollevate sono tutte effettivamente fondate? O forse, nel dibattito attorno alle addizionali locali sull’Irpef, si è dimenticato qualche elemento fondamentale, necessario per dare una valutazione più serena ed equilibrata? C’è da dire innanzitutto che sull’intera questione delle addizionali si è montato un allarme eccessivo: finora, soltanto una quota relativamente piccola di comuni si è espressa sull’addizionale e non è detto che quelli silenti adottino comportamenti analoghi.

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Federalismo fiscale e aliquote

Si dovrebbe poi tenere conto che il federalismo fiscale, e qui in particolare il riconoscimento di maggiore autonomia tributaria ai governi sub-nazionali, inevitabilmente comporta complicazioni per i contribuenti. Si tratta allora di disegnare la fiscalità locale in modo da minimizzare questi costi di adempimento e, al contempo, di valutarli nella prospettiva più generale dei vantaggi che la riforma in senso federale potrebbe portare. Ciò dovrebbe consigliare di limitare l’autonomia dei comuni alla sola scelta dell’aliquota unica di imposta, anche in un intervallo relativamente più ampio di quello attuale, ma senza possibilità di differenziazioni per fasce o scaglioni e neppure di intervenire sulla determinazione della base imponibile con specifiche deduzioni locali. Dalla focalizzazione dell’autonomia locale sulla sola manovra dell’aliquota, trarrebbe vantaggio non solo la semplificazione del sistema tributario, ma anche la possibilità di costruire in modo ordinato il sistema dei trasferimenti perequativi a favore dei comuni, una riforma questa da tempo auspicata che richiede però come prerequisito la possibilità di valutare in maniera semplice e non controversa la dotazione fiscale standard di ciascun comune.
Si tratta poi di tener conto di alcuni requisiti tecnici minimali che devono essere soddisfati affinché un’addizionale sia una “buona” addizionale. Bisogna mantenere il più possibile separate le sfere decisionali dei due livelli di governo, quello centrale e quello comunale, che insistono sulla stessa base dell’Irpef. Perciò è opportuno, come previsto dalla Finanziaria, che l’addizionale sia riferita a una definizione di reddito al lordo delle deduzioni decise dal governo sull’Irpef erariale. La non-interferenza tra livelli di governo tutela i comuni dalla discrezionalità del governo centrale di intervenire sulla “sua” Irpef rendendo più chiari, anche agli occhi dei propri cittadini, gli spazi di manovra che sono riconosciuti.
È evidente che i requisiti di semplificazione, trasparenza, separazione dei ruoli comportano dei costi. Tanto la limitazione degli spazi di decisione comunale alla sola scelta dell’aliquota unica di addizionale, quanto il riferimento dell’addizionale a una base di imposta non personalizzata da deduzioni decise a livello centrale può portare a un parziale indebolimento della capacità redistributiva dell’Irpef: una parte dell’imposta (quella che corrisponde all’addizionale) si configurerebbe infatti come una flat rate tax indifferenziata per tutti i contribuenti.
Si tratta di un problema rilevante soprattutto in prospettiva se, in caso di devoluzione di nuove funzioni pubbliche, si decidesse di attribuire almeno una parte delle risorse necessarie a finanziarie Regioni e comuni mediante, appunto, l’addizionale Irpef. È questo un argomento che contribuisce a rafforzare la crescente consapevolezza dell’insufficienza dell’Irpef come strumento principe della redistribuzione, accanto all’incidenza dell’evasione e alla non-omnicomprensività della sua base imponibile che esclude i redditi finanziari. Ed è in questo senso che a livello locale le finalità redistributive andrebbero perseguite mediante strumenti diversi, come la selettività nell’accesso ai servizi locali e l’utilizzo di forme di tariffazione differenziata.

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L’Ici della famiglia

Anche l’altro pilastro della finanza comunale, l’Ici, ha contribuito in questi giorni al gran rumore attorno alla finanza locale. Da alcuni esponenti del governo, forse memori delle mirabolanti promesse berlusconiane in campagna elettorale, è venuta la proposta di convogliare parte dell’extra-gettito a finanziare più robuste detrazione Ici sulla prima casa differenziate a favore delle famiglie numerose.
Quale sia il senso di questa misura risulta difficile comprendere. Il sostegno alla famiglia è certamente nel programma dell’Ulivo, ma perché debba passare attraverso l’Ici, e non piuttosto interventi diretti di spesa monetaria o di rafforzamento dei servizi per la cura dell’infanzia o degli anziani, non è chiaro. L’Ici è stata attribuita ai comuni quale strumento centrale della loro autonomia tributaria, e lo sarà ancor di più con l’affidamento del catasto a livello locale. Pertanto il governo non dovrebbe utilizzarla per perseguire una politica nazionale, quale è appunto quella della famiglia. Per di più ci sono controindicazioni che rendono poco adatto il mezzo prescelto rispetto ai fini. Come si fa a sostenere i carichi familiari se questo intervento è collegato alla proprietà immobiliare? Finiremo per discriminare le famiglie numerose che vivono in affitto?

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Sommario 16 marzo 2007

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Quanti sono i lavoratori precari

  1. Lorenzo Lusignoli

    L’articolo auspica una separazione tra le sfere decisionali dei due livelli di governo. A me pare che tale separazione con riguardo alle addizionali oggi non ci sia. La regola per la quale non si pagano le addizionali se non si paga l’irpef determina comunque una ricaduta sulla base imponibile delle addizionali di tutte le detrazioni che operano sull’irpef . La situazione è senz’altro migliore di quella vigente prima della finanziaria, poiché precedentemente una variazione della deduzione per carichi familiari influenzava direttamente la base imponibile delle addizionali. Si determinava dunque una variazione di queste per tutti coloro che non avevano redditi particolarmente alti. Oggi una variazione delle detrazioni per familiari a carico determina una variazione delle addizionali per una fascia di reddito assai più ristretta. Se però, come auspica l’autore, si volessero trasformare le addizionali in flat tax indifferenziate per tutti i contribuenti e separate dall’irpef (con tutto ciò che comporta), bisognerebbe eliminare la regola per la quale se non si paga l’irpef non sono dovute neppure le addizionali.
    La considerazioni riguardanti l’Ici sono del tutto condivisibili.

  2. Francesco Pastore

    In effetti soprattutto con la riforma del Catasto l’ICI diverrà ancor di più il pilastro della fiscalità locale, specialmente nei comuni medi e medio-piccoli. Tuttavia la confusione di questi anni, non risolta dai governi di ogni colore politico, sta nel fatto che a fronte di un obiettivo generale teso alla realizzazione del c.d. federalismo fiscale, diverse materie non sono completamente passate al livello periferico. E’ il caso delle politiche della famiglia, in parte gestite dal governo centrale (sostegno scolastico, politiche dell’infanzia, politiche della famiglia), in parte dalle Regioni (sanità) , e soprattutto ai comuni (asili, servizi di sostegno, servizi pubblici). In questa parziale e complessa distribuzione di ruoli, dunque, si appalesa maggiormente la confusione nella individuazione di scelte di politica fiscale adeguate al sostegno della famiglia.

  3. Massimo Monteverdi

    In realtà, vi sono, benché pochissimi, enti che prima del 15 febbraio hanno azzerato o ridotto un’aliquota applicata in precedenza. E conviene precisare che, tra gli enti neo-impositori, vi sono anche quelli che applicano esenzioni dall’addizionale per redditi entro una certa soglia. Tutti questi esempi di virtuosità fiscale (o di limitata persecuzione, secondo i punti di vista), insieme alla mancata corsa al rialzo, dovrebbero far riflettere chi si ostina a ritenere l’addizionale comunale la dimostrazione finale della natura vessatoria delle amministrazioni. Certo, gli enti preferirebbero una compartecipazione all’IRPEF duratura e proporzionale al gettito territoriale. Ne verrebbe, tuttavia, danneggiata qualsiasi politica redistributiva e perequativa per le realtà svantaggiate. In secondo ordine, sarebbe preferibile una compartecipazione come quella che si prefigura per i prossimi anni, in percentuale fissa per ciascun ente, salvo appunto il riequilibrio anti-sperequativo. Se, insomma, ciò fosse possibile, i sindaci non chiederebbero maggiore autonomia fiscale per introdurre l’addizionale, la cui impopolarità è seconda solo all’ICI (ma solo perché gli italiani sono una nazione di proprietari della casa in cui abitano).
    Nonostante la cronica carenza di risorse, il ricorso all’aliquota opzionale si è dunque rivelato moderato. E sì che il blocco durava da ormai cinque anni. Vale la pena di osservare che questo è anno elettorale per una percentuale ampiamente minoritaria degli enti locali. Il che significa che la gran parte di essi è ancora nel periodo nel quale è statisticamente più probabile che gli amministratori giochino la carta fiscale per finanziare i propri programmi elettorali. Certo non è opportuno mettere il carro definitivamente davanti ai buoi: attendiamo i primi di aprile per avere le conferme o le smentite del caso.

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