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Come evitare lo “scalone”

Una proposta per correggere le pensioni retributive, legandole a soglie qualificanti di età anagrafica e anzianità. Si accelera così la fase di transizione, lasciando però flessibilità nel pensionamento dopo i cinquantasette anni. Incentiva il prolungamento volontario delle carriere e si presta a essere estesa al settore pubblico. Ma l’accordo sulle soluzioni tecniche si troverebbe più facilmente se la riforma previdenziale fosse inserita nella prospettiva più ampia di un rinnovamento della rete di sicurezza sociale.

Dal 2008 entrerà in vigore il cosiddetto “scalone Maroni-Tremonti” e il pensionamento sarà possibile, indipendentemente al criterio di calcolo della pensione (retributivo, misto, contributivo) (1)
a 65 anni di età per gli uomini e 60 per le donne; (2)
a 40 anni di contribuzione a prescindere dall’età;
a 60 anni di età (61 per gli autonomi) e 35 di contributi; (3)

L’obiettivo è quello di migliorare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, prolungando ex-lege le carriere lavorative. Questa scelta presenta numerosi punti deboli e in prospettiva complica la riorganizzazione del welfare system. I prolungamenti forzosi, infatti, restringono le scelte individuali e possono introdurre elementi di attrito nel ricambio fisiologico della forza lavoro; possono avere un effetto negativo sui livelli di produttività, nel caso di individui che preferirebbero lasciare il lavoro o combinare la pensione con un nuovo impiego. (4) Inoltre, non colgono la complessità dell’agenda, che richiede nel contempo l’adeguatezza dei tassi di sostituzione ma anche la riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica pubblica sul Pil per rafforzare le altre componenti del sistema sociale; e necessitano di soluzioni ad hoc per particolari tipologie di lavoratori e gruppi sociali.

Le pensioni e le quote di pensione contributive

Per le pensioni e le quote di pensione contributive, la soluzione tecnica per evitare lo “scalone”, ancorché contrastata sul piano politico, è immediata:
flessibilità del pensionamento a partire dai 57 anni, anche senza vincoli di anzianità;
coefficienti di trasformazione aggiornati annualmente in maniera automatica;
estensione dei coefficienti oltre i 65 anni di età (per chi prolunga oltre questa soglia, oggi il coefficiente rimane quello del sessantacinquesimo anno. (5)

Queste scelte rafforzerebbero la trasparenza e la neutralità finanziario-attuariale del criterio di calcolo contributivo: a carriere più lunghe/corte corrisponderebbero assegni di importo maggiore/minore. (6)

Le pensioni e le quote di pensione retributive

Altrettanto contrastata politicamente, ma anche meno immediata sul piano tecnico è l’ipotesi di sostituzione dello “scalone” per le pensioni e le quote di pensione retributive. Con il prolungamento forzato, il lavoratore deve rinunciare a delle annualità e continuare a pagare contributi pensionistici, senza che l’importo della pensione cui avrà poi accesso aumenti sufficientemente da compensare. (7) È da questo effetto, che si aggiunge a quelli già citati, che ci si attende i risparmi di spesa pubblica.
Ma se così è, flessibilità nel pensionamento dopo i 57 anni e correzione finanziario-attuariale dell’importo delle pensioni a seconda di età/anzianità si prospettano come miglioramento paretiano rispetto allo “scalone”. (8) Per questa soluzione, che non è nuova
, si propone qui una modalità applicativa che esplicita il calcolo della parità finanziario-attuariale:

1) la formula di calcolo rimane quella retributiva;
2) indipendentemente dall’età effettiva del titolare, la pensione è virtualmente riferita a un’età “canonica” pari al minor valore tra l’età X (la “soglia anagrafica qualificante”; ad esempio: 62) e l’età effettiva aumentata degli anni di contribuzione mancanti per la anzianità Y (la “soglia di anzianità qualificante”; ad esempio: 40); (9)
3)
per il calcolo della pensione corretta, si stabilisce equivalenza finanziario-attuariale tra:
la somma delle rate cui il titolare avrebbe diritto se la sua età fosse quella “canonica”,
e la somma delle rate che mediamente gli saranno riconosciute tenuto conto della sua età effettiva; (10)
4) l’equivalenza finanziario-attuariale è instaurata utilizzando:
le stesse tavole di mortalità/sopravvivenza del criterio di calcolo contributivo;
lo stesso tasso di interesse reale (oggi l’1,5 per cento) a cui, dopo l’entrata in quiescenza, continua l’accumulazione nozionale del contributivo.

Leggi anche:  Pensioni: l'eterno nodo della flessibilità in uscita

Due esempi

Si prenda il caso di un individuo di 57 anni di età e 34 di contribuzione, sotto le seguenti ipotesi: vita attesa alle varie età secondo Istat (11), assenza di reversibilità (12), X = 62, Y = 40. Ne deriverebbero le seguenti correzioni della prima rata (13)

età di pensionamento

(ultimo anno di lavoro)

vita attesa al pensionamento

(approssimata all’intero) (14)

% di correzione

della pensione (1+%)

57

23

– 15,0%

58

22

– 11,8%

59

22

– 11,8%

60

21

– 8,2%

la soglia qualificante

è l’età

61

20

– 4,3%

62

19

0,0%

63 (40 di anzianità)

18

+ 4,8%

64

18

+ 4,8%

65

17

+ 10,2%

66

16

+ 16,2%

67

15

+ 23,1%

…

…

…

fonte: elaborazioni Cerm

Se, a parità delle altre ipotesi, si prende il caso di un individuo di 58 anni di età e 37 di contribuzione, le correzioni diverrebbero:

età di pensionamento

(ultimo anno di lavoro)

% di correzione

della pensione (1+%)

58

– 7,8%

59

– 7,8%

la soglia qualificante

è l’anzianità

60

– 4,1%

61 (40 di anzianità)

0,0%

62

+ 4,5%

63

+ 9,5%

64

+ 9,5%

65

+ 15,2%

66

+ 21,5%

67

+ 28,7%

…

…

fonte: elaborazioni Cerm

I vantaggi della proposta

Nel complesso, la proposta incentiva il prolungamento volontario delle carriere, ricorrendo agli stessi “principi” ispiratori della riforma del 1995, di cui rappresenterebbe il completamento;considera sia età sia anzianità, ma senza passare per combinazioni lineari dei due requisiti che sarebbero più difficilmente interpretabili/spiegabili;ricorre agli stessi parametri del criterio contributivo, evitando l’introduzione di ulteriori variabili e coefficienti;permette di scegliere la soglia qualificante (età anagrafica / anzianità contributiva) per ottenere i risultati più idonei. (15) Con le opportune (e non facili) riforme del comparto del lavoro pubblico, si presta a essere estesa anche a questo settore.

Allargare l’”orizzonte” per trovare l’accordo

Il dibattito stenta a raggiungere una visione d’insieme del processo di rinnovamento del welfare system. L’orizzonte andrebbe allargato, coordinando la riforma delle pensioni con quella della fiscalità dei pilastri pensionistici privati, degli ammortizzatori contro la disoccupazione, degli istituti assistenziali (ivi inclusi quelli relativi alle pensioni basse) e del cuneo contributivo lato impresa. Una prospettiva di analisi più ampia rivela che il nuovo intervento non corrisponde a un arretramento della rete di sicurezza sociale, ma si propone, al contrario, di concorrere alla sua razionalizzazione e al suo potenziamento. Sarebbe così più facile convenire sulle soluzioni tecnicamente più appropriate e le intenzioni delle parti politiche e sindacali diverrebbero esplicite e più facilmente valutabili da parte di tutti.


(1)
Legge n. 243 del 23 agosto 2004. Per scheda tecnica riassuntiva, cfr. ministero del Lavoro e delle politiche sociali:
(2)
Nel criterio di calcolo interamente contributivo esiste anche il vincolo del minimo contributivo di 5 anni.
(3) Mentre per le donne il vincolo anagrafico rimane fisso a 60, per gli uomini è previsto un innalzamento a 61 per i lavoratori dipendenti e 62 per gli autonomi a decorrere dal 2010. Qualora se ne manifestasse la necessità, dal 2014 il requisito potrebbe ancora aumentare rispettivamente a 62 e 63.
(4) È una delle ragioni per cui non è pensabile estendere questo tipo di riforma al comparto pubblico, dove controlli e responsabilizzazione sono più complessi che nel privato.
(5) Sul punto vedi Boeri-Brugiavini
(6) Il principio di “corrispettività” sottolineato da Sandro Gronchi

(7)
Quella che teoria economica chiama “tassa implicita sul lavoro”. Per un approfondimento, cfr. Pammolli-Salerno (2004), “
Regole pensionistiche e prolungamento dell’attività: analisi del Tir e effetti del cumulo lavoro-pensione“, Quaderno Cerm n. 7-04; eRegole pensionistiche e incentivi al prolungamento della vita lavorativa: analisi del caso italiano“, Quaderno Cerm n. 6-04.
(8) Il miglioramento è paretiano perché, invece di obbligare il lavoratore al prolungamento della carriera, lo si lascia libero di scegliere tra il pensionamento con correzione al ribasso della pensione, e il prolungamento per attenuare la correzione al ribasso o ottenere (per carriere molto più lunghe della media corrente) una correzione al rialzo. A parità di effetto sulla spesa pensionistica pubblica, si lascia libertà al singolo.
(9) Per coloro che entrano in quiescenza dopo aver maturato più di Y anni di contribuzione, l’età “canonica” è fissata al minor valore tra X e l’età effettiva al momento della maturazione del Y-esimo anno di contribuzione.
(10) Nella prima somma, le rate sono quelle derivanti dal calcolo della pensione secondo le regole retributive (punto 1), considerate al valore nominale del primo anno, senza l’indicizzazione ex-post all’inflazione. Nella seconda somma, le rate sono quelle che mediamente il titolare riceverà, anche in questo caso considerate senza l’indicizzazione ex-post all’inflazione.
(11) Cfr. http://demo.istat.it/tav2003/ 
(12)
Per restare fedeli all’impianto della proposta, la pensione di reversibilità dovrebbe essere calcolata a partire dall’importo corretto della pensione principale, e nel caso di pensione indiretta le correzioni finanziario-attuariali non dovrebbero prevedere attenuazioni. Per poter spingere la riorganizzazione del sistema pensionistico a queste sue logiche conseguenze, urge che l’intervento venga coordinato e armonizzato con la riforma degli istituti assicurativi (extra pensioni) e assistenziali.
(13) La correzione percentuale deriva dall’equazione:

dove “vita attesa canonica” è la speranza di vita all’età “canonica”, “%” è l’abbattimento / aumento da calcolare e “vita attesa effettiva” è la speranza di vita all’età anagrafica a cui effettivamente si entra in quiescenza.
(14) Nell’esempio, l’approssimazione all’intero è necessaria per effettuare i calcoli in capitalizzazione annuale. Per evitare che ad età diverse corrisponda la stessa vita attesa approssimata all’intero, il calcolo può essere ripetuto su base mensile con opportuna trasformazione della pensione da annuale in mensile e del tasso di capitalizzazione annuale nell’equivalente mensile (con trasformazione sempre in capitalizzazione composta).
(15) La soglia anagrafica qualificante è quella dei 62 anni, ma l’allungamento della vita in buona salute e gli esempi internazionali suggerirebbero livelli superiori (65 anni). Cfr. Oecd (2007), “Live longer, work longer” e, per una tavola di sintesi delle età di pensionamento e di uscita definitiva dal mercato del lavoro, cfr.
www.touteleurope.fr.

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  1. mario

    tutte le soluzioni possono essere valide. non vedo come poter regolare un lavoratore, nato nel marzo 1951 (che senza nessun intervento incappa nel maledetto scalone) attualmente disoccupato, pronto per un nuovo lavoro, ma le aziende non ne vogliono sapere, vista l’età, e che ha 34 anni di contributi inps da lavoro dipendente.
    Credo che in Italia ci siano migliaia di questi casi estremi. Secondo voi come risolvere, se non si trova il lavoro per questi italiani? grazie.
    MARIO – PERUGIA.

    • La redazione

      Gentile lettore, non tutte le soluzioni sono egualmente valide.
      L’articolo ne porta un esempio, sottolineando l’inefficienza di
      prolungamenti forzosi delle carriere (come vorrebbe la riforma
      “Maroni-Tremonti). Nello specifico del caso sollevato, se il pensionamento fosse accessibile con il solo requisito dei 57 anni di età anagrafica (previa l’applicazione delle correzioni finanziario-attuariali da noi suggerite), la persona potrebbe, tra un solo anno (è nato nel ’51 e nel 2008 compirà 57 anni), chiedere l’erogazione della pensione e poter contare su un flusso di reddito. Inoltre, regole pensionistiche neutrali sul piano
      finanziario-attuariale, in luogo del prolungamento forzoso, aiuterebbero a risolvere i problemi occupazionali cui Lei fa riferimento, e per diverse ragioni:
      (a) non ostacolerebbero il tunover giovani-anziani;
      (b) incentiverebbero il prolungamento delle carriere solo su basi
      volontarie, senza ”ingolfare” inutilmente il mercato del lavoro con riflessi negativi sull’occupabilità di chi è alla ricerca di impiego, sulla produttività e sulle retribuzioni;
      (c) renderebbero fattibile la piena cumulabilità di pensione e reddito da lavoro post-pensionamento, che nel contempo favorisce il prolungamento delle carriere in età avanzata e l’adeguatezza dei redditi complessivi;
      (d) alla luce del punto (c), renderebbero più facilmente praticabili scelte volontarie di pensionamento con successiva ripresa di lavoro con formule contrattuali flessibili (adattabili alle esigenze dell’età anziana), liberando posizioni full-time regolari a favore dei più giovani / meno anziani.
      Regole di calcolo neutrali sul piano finanziario-attuariale
      responsabilizzano il singolo lavoratore e permettono, da un lato, di lasciargli più libertà di scelta sul momento di entrata in quiescenza e, dall’altro, di riconoscergli la piena “appropriabilità” dei frutti del suo lavoro e della sua contribuzione incentivandolo a generare ricchezza (un tassello importante del welfare to work).
      Regole siffatte rappresenterebbero l”interfaccia” ottimale tra il
      sistema pensionistico e il mercato del lavoro, soprattutto in un Paese come l’Italia che sta sperimentando problemi occupazionali e di crescita. Concludendo la replica al Suo intervento, rimarchiamo come una riforma che seguisse il nostro suggerimento sarebbe coerente con l’esigenza di diversificare la spesa pubblica per welfare verso quegli istituti
      assicurativi e assistenziali che altrove hanno, tra le altre finalità,
      quella di favorire l’inserimento / il reinserimento nel mercato del
      lavoro. Una buona riforma delle pensioni non si dà se non negli equilibri complessivi del welfare system.
      fp/ns

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