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Se la badante non conviene più

Il nuovo contratto delle colf ha notevolmente alzato i minimi retributivi per le assistenti familiari. Un costo quasi proibitivo per le famiglie. Determinerà un aumento del mercato nero e un ritorno ai servizi pubblici, residenziali e domiciliari. Diventa sempre più urgente decidere come aiutare chi sceglie di tenere in casa una persona non autosufficiente, pur disponendo di mezzi limitati. Detrazioni più incisive, sostegni diretti e assegni di cura sono gli strumenti su cui occorre investire. Ma è fondamentale avere un disegno coerente.

Il nuovo contratto colf, in vigore dal primo marzo, ha notevolmente alzato i minimi retributivi per le assistenti familiari. Aumenti che oscillano tra il 30 e 40 per cento rispetto al vecchio contratto, e che sono stati giustificati con il fatto di essere più adeguati ai valori “di mercato”.
Si tratta certo di una buona notizia per le donne lavoratrici. Probabilmente pensava a loro il ministro per la Famiglia quando l’ha definito “il miglior contratto possibile”. Ma per le famiglie – i “datori di lavoro” – questi aumenti sono pesanti. Quasi nessuno, finora, lo ha segnalato, ma per molte famiglie i costi di una assistente familiare, soprattutto se co-residente, sono diventati proibitivi.

Ritorno al servizio pubblico?

Un’assistente familiare co-residente costa adesso, contributi compresi, tra 1.000 e 1.300 euro al mese, a seconda del livello in cui si colloca. Cui si devono aggiungere le spese di vitto e alloggio. Il totale si avvicina ai 1.500 euro mensili. E questa è la cifra su cui si attestano i costi di ricovero in casa di riposo in molte Regioni italiane: Emilia Romagna, Veneto, Toscana e in diversi altri contesti.
Se la badante non è più competitiva, o se lo è molto meno di prima, possiamo prevedere due cose. In primo luogo, come se ce ne fosse bisogno, un aumento del mercato nero, perché più conveniente. Si consoliderà cioè la collusione tra datore di lavoro e lavoratore all’evasione.
In secondo luogo, ci possiamo aspettare un “ritorno” ai servizi pubblici, residenziali e domiciliari, perché le differenze di costo si riducono mentre qualità e garanzie degli interventi rimangono ben diverse. Non l’intensità dell’assistenza, però, che non ha eguali rispetto a ciò che le assistenti familiari offrono.
La tendenza potrebbe rafforzarsi alla luce di un cambiamento diffuso: la diminuzione delle assistenti familiari disposte alla co-residenza. È rilevabile in diversi territori e si lega a un processo di integrazione delle assistenti familiari nel tessuto sociale: perché sempre più si possiede un alloggio autonomo, e perché crescono i ricongiungimenti familiari. Le assistenti familiari preferiscono il lavoro a ore: se ben organizzato, produce entrate vicine alla co-residenza.
Ne consegue un probabile aumento di domande di ricovero in strutture residenziali, da parte delle famiglie, per elementi di costo, di disponibilità e di qualità degli interventi.

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Una realtà segmentata

Il nuovo disegno di legge sull’immigrazione (Ddl Amato-Ferrero) prevede ingressi fuori quota per colf e badanti. Quando entrerà in vigore, la nuova normativa dovrebbe portare a una riduzione di assistenti familiari clandestine, che erano aumentate in questi anni fino a raggiungere il 40 per cento del totale, secondo stime dell’Istituto per la ricerca sociale. (1) Una quota esattamente doppia rispetto al dato complessivo riguardante gli stranieri irregolari in Italia. (2) L’ingresso di Romania e Bulgaria nella Unione Europea e l’abbandono del sistema delle quote nel caso delle assistenti familiari porteranno a una salutare riduzione della clandestinità.
La segmentazione del mondo delle assistenti familiari si riconfigurerà nei prossimi anni. Non più solo secondo la distinzione tra chi ha e chi non ha il permesso di soggiorno, ma soprattutto tra chi ha un contratto di lavoro e chi non ce l’ha. Tra le badanti integrate, formate, più costose, e più a rischio di disoccupazione, e le nuove arrivate, meno qualificate, ma anche meno costose.
Tramontata l’ipotesi di un contratto più leggero per le famiglie, oggi si ripropone la questione delle risorse. Questione su cui è urgente un coordinamento tra ministeri, perché riguarda almeno tre Fondi diversi: quello per la non autosufficienza, quello per la famiglia e quello per le politiche sociali. La domanda è: come venire incontro a chi decide di tenere in casa una persona non autosufficiente, assumendo un’assistente familiare, pur disponendo di mezzi limitati? Detrazioni più incisive di quelle attuali, sostegni diretti e assegni di cura sono gli strumenti su cui occorre investire. Oggi senza più alibi.

Costruire un’alternativa al mercato nero

L’obiettivo di tanti progetti attivi oggi a livello locale è quello di costruire un’alternativa al mercato nero dell’assistenza a domicilio. Un mercato notoriamente caratterizzato da scarsa qualificazione, alta discontinuità dell’assistenza, da tante solitudini che si incontrano (quella delle donne immigrate e quella delle famiglie), scollegate dal sistema dei servizi.
Il problema non è solo riuscire a “fare delle cose”, come corsi di formazione o sportelli dedicati all’incontro domanda/offerta, per rimanere alle iniziative più ricorrenti. Il problema sta nel riuscire a “fare sistema”. (3) Formare le badanti, per esempio, deve accompagnarsi a meccanismi per sostenere il costo maggiore di chi viene formato, rafforzando le capacità di spesa delle famiglie. Altrimenti il rischio è che chi viene formato sia poi estromesso dal mercato del lavoro, perché non trova un ambito che dà valore alle sue nuove competenze. Se ne stanno accorgendo diverse iniziative locali, che fanno fatica a trovare persone interessate a farsi formare perché poco chiari i benefici attesi.
Non basta allora fare formazione, non basta aprire sportelli sociali per fare sì che il mercato si trasformi da sommerso/de-qualificato a qualificato/regolare. Corsi di formazione e sportelli sociali se sospesi nel vuoto, se non inseriti in un disegno più ampio, rischiano di essere inefficaci, perché privi di sbocchi interessanti e percorribili.
Possiamo poi discutere di profili professionali, sportelli e assegni di cura, senza però dimenticare che tutto ciò deve legarsi, nel contesto di un mercato in costruzione.

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(1) Cfr D. Mesini, S. Pasquinelli, G. Rusmini, Il lavoro privato di cura in Lombardia, Milano, 2006. Download: http://www.qualificare.info/index.php?id=92
(2) Fondazione Ismu, Dodicesimo rapporto sulle migrazioni 2006
(3) Si veda più estesamente S. Pasquinelli, Assistenti familiari: le questioni aperte, in “Prospettive Sociali e Sanitarie”, n. 14, 2006; nonché i diversi interventi ospitati nella newsletter
www.qualificare.info

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Sommario 11 maggio 2007

  1. Margherita grigolato

    l’analisi e l’obiettivo sono condivisibili ma prioritario è definire il profilo professionale delle “assistenti familiari” e decidere se diventano un “pezzo” del welfare community, allora si può ragionare come rete ed individuare come sostenere la spesa…
    finchè resta una soluzione privata non c’è margine di soluzione

    • La redazione

      Quello del profilo professionale è una delle possibilità, su cui già alcune regioni si sono mosse, in termini di profili professionali. La newsletter qualificare.info pubblicherà a metà giugno una analisi dei diversi percorsi formativi esistenti in Italia. Il problema principale è come e dove collocare questa nuova figura nel contesto delle professioni sociali già esistenti, quale posto attribuirle, senza “snaturare” le sue specificità.

  2. Alessandro Salomone

    Il CCNL dei lavoratori domestici costa troppo? Non più di quanto costasse prima dell’ultimo rinnovo. Nessuna famiglia ha mai pagato uno stipendio di 550 € al mese prima. Il prezzo lo fa il mercato perchè c’è un mercato molto vivace. A Firenze e provincia il costo reale di una collaboratrice domestica è ancora superiore a quello contrattuale. In ogni caso nel dare una valutazione su questo “welfare” casereccio bisogna tenere in considerazione altri aspetti non di natura economica. Se la casa di riposo può diventare competitiva sul piano dei costi non garantisce però il rispetto di “valori” immateriali come far vivere l’anziano nel suo ambiente, nella sua casa, con le sue cose, nel suo quartiere.
    Quindi il problema si sposta a monte: cioè su come la Stato possa aiutare le famiglie visto che si fanno quasi interamente carico di sostenere il nostro stato sociale.
    Un’ultima osservazione: cancelliamo il termine “badante” dal vocabolario. Appare offensivo per la “badante” e per il “badato”.
    Chi vi scrive lavora in un ufficio vertenze della CGIL.

    • La redazione

      I costi di una badante (chiamiamole: assistenti familiari) hanno una forte variabilità locale. Il nuovo contratto si è allineato con i valori del mercato (nero): ciò non toglie tuttavia che richiede costi maggiori di prima alle famiglie che vogliono stare in regola.
      Concordo sul fatto che la casa di riposo è incomparabile con quanto possa offrire una (buona) permanenza domiciliare. Ma allora lavoriamo perchè questa domiciliarità sia meno casereccia, più sostenuta e tutelata pubblicamente.

  3. Marco Fusi

    Il duplice problema della qualità del servizio delle badanti e dei costi è destinato ad aggravarsi nel tempo per organizzazione della società e invecchiamento della popolazione.
    Io penso che piuttosto che la solita rincorsa sui costi sarebbe una strada percorribile quella di organizzare strutture che garantiscano servizi ben gestiti e contemporaneamente mantengano la caratteristica di essere luoghi percepiti come “casa”. Spesso, parlo per esperienza vissuta, le persone che necessitano di una badante hanno bisogno episodicamente di servizi di alta competenza mentre la quotidiana necessità è quella di non sentirsi solo. Perché non seguire esempi di condomi attrezzati e rimodulare la funzione “casa” sulle nuove esigenze che inevitabilmente compaiono in età avanzata?

  4. Luigi Scrivani

    Il variegato mondo del”badantato” e le realtà con cui si esprime, credo dovrebbero avere risposte più flessibili. Molte badanti dell’Est Europa, sono di media età, non hanno alcun interesse a futuri pensionistici nel nostro Paese, vogliono monetizzare per quando torneranno nel loro. Perché obbligarle a versare al Fondo INPS, da cui non percepiranno nulla, se non per fare cassa all’INPS? Se sono regolari, si potrebbe accendere a loro favore una polizza antinfortuni, e partire da un contratto la cui base imponibile sia molto più bassa, lasciando una quota variabile. In tal modo, le famiglie sarebbero pù stimolate a ricorrere al mercato regolare, e più libertà sarebbe lasciata alle prestatrici d’opera. Naturalmente, per persone più giovani e con altre prospettive, ben venga il regime attuale, purché si smetta di mascherare l’ipocrita versamento all’INPS come una tutela per questa fattispecie di lavoratrici.

  5. francesca

    L’intervento mi sembra appropriato e centra il problema in Italia, quello del well fare, porre però sullo stesso piano di discussione il costo del lavoro di cura con quello dello stato sociale italiano è fuorviante.
    lo stesso si potrebbe affermare sul “costo del lavoro in genere”,.
    Un’assistente familiare è una lavoratrice, e non a caso il 60 % di chi presta questa attività lavorativa è DONNA E PROVIENE DA AREE DEL NOSTRO PIANETA SVANTAGGIATE, nella società occidentale il lavoro femminile non è aiutato, non si fanno delle politiche contrattuali, in generale, al fine di coordinare tempi di cura e di lavoro, non si prendono provvedimenti per le assistenze ai non autossuficenti, ricade tutto sulla famiglia di origine, ci siamo chiesti il perchè? non si riesce ad uscire da uno schema tipico della nostra cultura quello della donna che si prende cura dei figli, degli anziani, rimane a casa a curare la famiglia ecc…
    occorre fare un salto culturale per cominciare a capire che l’assitente familiare è non solo un lavoro, ma professionalmente ha bisogno di qualificazione, e per riconoscere questa qualifica significa riconoscergli un prezzo adeguato esattamente secondo le dinamiche attraverso cui sono nati gli altri ccnl…..
    BUON LAVORO A TUTTI COLORO CHE SI OCCUPANO DI TUTELA DEL LAVORO ANCORA MOLTO C’E’ DA FARE

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