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Produttività nei servizi: l’anello mancante della ripresa

Il tasso di crescita del Pil rallenta nel primo trimestre 2007. Ma non sono le inevitabili oscillazioni trimestrali a dover preoccupare. Nel 2006 la crescita dell’economia italiana è quasi interamente spiegata dall’aumento delle unità di lavoro, mentre la produttività del lavoro è rimasta quasi ferma. La stagnazione aggregata è però la combinazione di dati molto differenziati tra l’industria e i servizi privati. La produttività va male nel settore immobiliare e laddove i vincoli infrastrutturali e di mancanza di concorrenza pesano di più.

Nel primo trimestre 2007, il tasso di crescita del Pil dell’economia italiana (+0,2 per cento) ha subito un rallentamento rispetto al boom registrato nel trimestre precedente (+1,1 per cento) che aveva, invece, entusiasmato gli osservatori. L’Italia ha fatto peggio dell’area euro (+0,6 per cento) e di tutti gli altri grandi paesi europei. Ha fatto peggio anche della Germania, nella quale la domanda interna ha subito un temporaneo rallentamento a causa dell’aumento dell’Iva introdotto dalla signora Merkel per far quadrare il vincolo di bilancio pubblico. Ma in Germania l’export vola; non a caso, dall’anno scorso l’economia tedesca è diventata il primo paese esportatore al mondo. È l’Italia che continua a essere un po’ indietro rispetto agli altri, il che ha indotto il ministro Padoa-Schioppa a concludere prudentemente che c’è ancora molta strada da fare.
Che sia presto per brindare è diventato sempre più chiaro con il passare del tempo. Non tanto per le oscillazioni trimestrali della crescita del Pil – un dato ineliminabile nei dati a frequenza trimestrale – ma piuttosto per l’andamento della produttività del lavoro del 2006.

Produttività poco dinamica

L’Istat ha recentemente reso disponibili dati dettagliati sul valore aggiunto e sulle unità di lavoro totali, relativi a cinquanta settori dell’economia italiana. Questi dati rappresentano gli ingredienti necessari per calcolare misure della produttività a livello dei settori e dell’intera economia. (1) L’evidenza empirica indica che la crescita del Pil dell’Italia nel 2006 (+1,7 per cento per il Pil misurato al costo dei fattori della produzione) è quasi interamente spiegata dall’aumento delle unità di lavoro (+1,6 per cento). La produttività del lavoro (misurata in termini di Pil per unità di lavoro totali) invece è rimasta quasi ferma. Dunque l’economia ha ripreso ad andare decentemente, ma la caratteristica negativa degli ultimi anni – la deludente crescita della produttività nell’economia italiana – è confermata anche in un anno di ripresa.

Tabella 1 – L’andamento ciclico della crescita della produttività del lavoro

Crescita del Pil per unità di lavoro, punti percentuali

Anno di recessione

Anno successivo alla recessione

Recessione 1975

-2.1

+5.5

Recessione 1993

+2.6

+3.4

Recessione 2005

+0.4

+0.1

Come indicato nella tabella 1, si tratta tra l’altro di un dato in contrasto con i dati disponibili per le recessioni precedenti. Nel 1976 e nel 1994, gli anni immediatamente successivi alle recessioni del 1975 e del 1993, la produttività era migliorata – nettamente negli anni Settanta e marginalmente negli anni Novanta. La spiegazione è semplice ed è il risultato di ciò che in gergo si chiama “labor hoarding”. Nelle recessioni, le imprese, vincolate dalle leggi di protezione dell’impiego ma anche dall’esigenza di non rinunciare al proprio capitale umano, mantengono un po’ di lavoro inutilizzato aspettando la ripresa. Quando la ripresa arriva, il fatturato aumenta mentre i posti di lavoro almeno inizialmente rimangono costanti. Per questo si dice che solitamente la produttività del lavoro ha un andamento pro-ciclico. Non è stato così in Italia nel 2006: sulla base dei dati Istat, la crescita della produttività è addirittura leggermente diminuita rispetto all’anno precedente. Vuol dire che le leggi Treu e Biagi agevolano le scelte aziendali di assumere. Ma rivela anche una persistente incapacità dell’economia italiana di far crescere insieme produttività e occupazione.

Industria vs. servizi

La stagnazione aggregata della produttività è la combinazione di dati molto differenziati tra l’industria e i servizi (privati; per quelli pubblici calcolare la produttività aggregata è più complicato). Al contrario dei dieci anni precedenti, nell’industria, le cose sono andate decisamente meglio. Il Pil dell’industria è cresciuto del 3,3 per cento grazie a un aumento della produttività dell’1,9 per cento e a un aumento delle unità di lavoro di 1,4 punti percentuali – una felice e rara combinazione di crescita dei posti di lavoro e di una – moderata ma non disprezzabile – crescita della produttività del lavoro. Nel settori che producono beni durevoli (particolarmente nel settore meccanico e nella produzione di mezzi di trasporto), le cose sono andate anche meglio: +4,7 per cento la produttività del lavoro, +2,4 per cento le unità di lavoro. Più in difficoltà, invece, i settori che producono beni non durevoli.

Tabella 2 – Crescita della produttività del lavoro nei settori, 2006

Industria

+1.9

– Beni non durevoli

+0.4

– Beni durevoli

+4.7

Servizi privati

-0.2

– Commercio all’ingrosso (tranne autoveicoli)

-3.5

– Commercio al dettaglio

+5.3

– Turismo

+2.4

– Trasporti marittimi ed aerei

-1.0

– Poste e TLC

+2.6

– Banche

+2.1

– Assicurazioni

-3.4

– Intermediari finanziari

-4.3

– Immobiliare e noleggio macchinari

-6.1

– Servizi informatici e R&S

-1.6

– Servizi alle imprese

-1.1

Ma l’Italia non è più quella di una volta: non basta più che la Fiat vada bene perché vada bene tutta l’economia. Il settore industriale nel suo complesso oramai conta per meno di un quinto del Pil complessivo. Il buon andamento della produttività industriale è infatti compensato dalla sostanziale stagnazione della produttività nel settore dei servizi privati (-0,2 per cento).
Il Pil dei servizi è infatti aumentato dell’1,8 per cento, ma solo grazie a un aumento di due punti percentuali delle unità di lavoro. Dalla tabella 2, si vede che la produttività è andata male nel settore immobiliare e dove i vincoli infrastrutturali e di mancanza di concorrenza pesano di più: nel commercio all’ingrosso (-3,5 per cento), nel settore assicurativo (-4 per cento), dell’intermediazione finanziaria (-3 per cento), nei servizi alle imprese (-1 per cento) e nel settore del trasporto marittimo e aereo (-1 per cento). La produttività è invece andata bene in alcuni settori tradizionali (turismo: +2,5 per cento) e dove c’è più fermento verso la modernizzazione: banche (+2 per cento), commercio al dettaglio (+5 per cento), telecomunicazioni (+2,5 per cento, incluse le poste).
Un governo alla ricerca di un’agenda per il suo secondo anno di attività potrebbe facilmente trovarla all’interno di questa lista di successi e fallimenti.


(1)
La misura più appropriata di produttività del lavoro è il Pil per ora lavorata. Al momento, tuttavia, l’Istat non ha ancora pubblicato i dati relativi alle ore lavorate, ma solo quelli delle unità di lavoro totali che correggono i dati dell’occupazione con un aggiustamento per la composizione dei lavoratori tra lavoratori a tempo parziale e a tempo

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  1. Franco Zannoner

    Se e’ vero quello che si legge su “il Giornale”, che vogliono mettere un indice di congruità fiscale tra fatturato e numero di dipendenti, si sono inventati anche la produttività programmata.

  2. Giuseppe

    L’articolo è molto interessante ma non tiene conto di un importante elemento che può sembrare scontato ma a mio avviso è di grande rilevanza. Le imprese operanti nei sevizi sono particolarmente sensibili all’oppressione degli adempimenti burocratici che comportano un notevole dispendio di tempo,energie e risorse umane (parlo per esperienza diretta). Credo ci sia molto da lavorare per semplificare o abolire tanti complicati o inutili adempimenti burocratici che spesso hanno una valenza puramente formale. La produttività nei servizi ne trarrebbe sicuramente grande vantaggio.

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