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Giovani? state fuori dal palazzo!

La composizione del comitato del Partito democratico ci fornisce un interessante spaccato dello stato della politica italiana. Un passo avanti nella rappresentanza femminile, anche se non si raggiunge la prefissata quota del 40 per cento. Ma la vera peculiarità è nell’età media del comitato, più elevata di quella dei deputati dell’Ulivo. Un’enorme concentrazione del potere decisionale nelle mani dei cinquantenni, mentre i ventenni o trentenni sono i grandi assenti al tavolo delle decisioni. Che riguardano il loro futuro.

“È nato il comitato 14 ottobre, siamo in 45, un terzo sono donne.” Questo l’annuncio di Romano Prodi che saluta la nascita del comitato del Partito democratico. Un partito che ritiene debba avere un orizzonte di lungo periodo. Al di là dei nomi e delle competenze dei singoli, era lecito attendersi molto di più – in termini di composizione del comitato – dal neonato soggetto politico italiano. Ma in Italia si nasce spesso maschi e quasi sempre anziani. L’annuncio “È nato il comitato 14 ottobre, siamo in 45, due terzi sono uomini, non c’è nessuno che abbiamo meno di 40 anni!” avrebbe fotografato meglio la cabina di regia del Pd.

Poche donne, molti cinquantenni

La composizione del comitato del Pd non è per nulla casuale, anzi scaturisce da una lunga e meditata concertazione tra le forze politiche che lo compongono, e ci fornisce quindi un interessante spaccato dello stato della politica italiana – almeno del centrosinistra. E’ vero che la composizione della base del partito sarà presumibilmente diversa dal quella del “comitato”; è però ovvio che il potere decisionale nel PD sarà saldamente in mano a questo nucleo iniziale. Proviamo a confrontare la composizione del comitato per sesso ed età con quella 1) dei deputati dell’Ulivo nell’attuale legislatura; 2) dell’insieme degli elettori. Qualcosa è stato fatto—come indica l’enfasi di Prodi—dal punto di vista dell’equilibrio di genere:

Il primo grafico mostra lo sforzo rosa del Pd. Mentre solo il 20 per cento dei deputati dell’Ulivo sono donne (in totale il peso delle deputate alla Camera è del 17 per cento), nel comitato del Pd sono il 35 per cento. Si tratta di un passo avanti – le donne rappresentano il 52 per cento dell’elettorato – che non consente tuttavia di raggiungere la quota rosa del 40 per cento che il Pd si era posta.
Il secondo grafico mostra la distribuzione per età dei componenti del Pd, rispetto ai deputati dell’Ulivo e all’elettorato italiano. ben diversa è qui la situazione. Come già notato da diversi osservatori e da potenziali “aspiranti” delusi, il “comitato” costituirà un partito per il futuro senza sentire la necessità di includere un singolo membro (su 45) sotto i quarant’anni! E pensare che più di un terzo degli elettori ha meno di quarant’anni. Sull’età, il PD peggiora addirittura rispetto alla composizione dei deputati dell’Ulivo, che pur vanta uno striminzito 4% di deputati sotto i 40 anni. Più del 30% degli elettori è ultrasessantenne: una fascia di età sottorappresentata alla Camera tra i deputati dell’Ulivo (anche perché i politici più anziani sono più frequentemente al Senato), che viene adeguatamente rappresentata nel PD. Il “prime age” per i Parlamentari dell’Ulivo – e per tutti i Parlamentari, anche se in minor misura – sembra essere la decade che parte dai 50 anni. La composizione del comitato del PD accenta ulteriormente questa caratteristica. L’età media del comitato (più di 57 anni) è più elevata rispetto a quella dei deputati dell’Ulivo. Colpisce – anche visivamente! – l’enorme concentrazione del potere decisionale del futuro del PD nelle mani dei cinquantenni. Ma si tratta dell’effetto dell’età o di quello della generazione di appartenenza? Forse, di entrambe. La generazione dominante di leader politici del PD – i cinquantenni – accetta di disegnare il futuro del neonato chiedendo l’aiuto dei “padri nobili” (anche se due soli componenti hanno più di 75 anni). Non ritiene necessario coinvolgere i ventenni o i trentenni che dovranno effettivamente costruire e votare il PD nei decenni a venire, e coinvolge in un ruolo decisamente marginale anche i quarantenni, che sarebbero presumibilmente tra i leader in diverse democrazie occidentali. Peraltro, data la sostanziale parità nei livelli di istruzione tra giovani donne e uomini (parità che non si trova nelle generazioni più anziane), la mancanza di peso dei giovani è in parte responsabile della mancanza di peso delle donne.
Nel PD, come peraltro nelle altre arene della politica, dell’economia e della società italiana, i giovani sono sistematicamente i grandi assenti ai tavoli delle decisioni….sul loro futuro. Cosa potrebbero fare per cambiare questa situazione? Forse imparare la lezione da chi si batte per la presenza delle donne: le stesse donne innanzitutto. Il PD è stato costretto almeno a mostrare attenzione verso la presenza rosa—che si tratti di effettiva possibilità da parte delle donne di influenzare le decisioni è ben diverso. Tocca ai giovani e alle giovani, pensiamo, iniziare a farsi sentire. Forse, con l’aiuto dei nonni e delle nonne “nobili”, che possono avere uno sguardo più orientato rispetto a chi è direttamente preoccupato della propria carriera politica.

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La risposta degli autori ai commenti

Siamo grati a tutti i lettori che hanno inviato i commenti perché ci permettono di chiarire alcuni aspetti che sono stati discussi.
Il primo è la necessità di evitare la tentazione del “giovanilismo”, anche se rifiutiamo l’idea che la polemica contro la gerontocrazia sia demagogica (come ritiene il lettore Lo Piccolo). Demagogica è infatti la rincorsa all’elettorato con spese correnti che danneggiano quelle per investimento, e quindi le generazioni giovani o quelle future. Nell’elettorato il peso dei giovani è sempre minore. Demagogo è chi pensa alla popolarità dell’oggi senza progettare il domani. Non è detto, chiaramente, che i (più) giovani siano meglio dei (più) anziani, per il solo fatto di essere giovani: non possiamo che essere d’accordo nell’evitare questa generalizzazione. D’altra parte, è lo stesso discorso che è stato tradizionalmente portato a sfavore della presenza delle donne in politica e in economia. Pare però strano che, in gruppi di numerosità elevata (i 45 del “Comitato”, i deputati), trovino nessuno o poco spazio persone sotto i quarant’anni: ve ne sarà qualcuno di qualità? E siamo sicuri che età ed esperienza siano fattori sempre positivi? Perché in Italia quando si perdono le elezioni o quando ci si dimette (o si promette di dimettersi senza non farlo…) si continua tranquillamente la propria carriera politica ad libitum, cambiando semplicemente di posizione? Sono questi i meccanismi chiave del ricambio in politica, che consentirebbero il ricambio generazionale: chi perde, va a casa (anzi, torna al proprio lavoro o se ne crea uno nuovo). Anche chi non perde, dopo un certo periodo, inizia ad occuparsi d’altro (pensiamo a Tony Blair, che peraltro lo fa a 54 anni: meno dell’età media del Comitato dei 45). I giovani saranno qualificati soprattutto se si investirà in loro. L’elevata rappresentanza dei cinquantenni – anche rispetto ai più anziani, ai “saggi” – mostra invece la propensione di questa generazione a continuare a “pianificare” la loro carriera politica nel (o attraverso il) nuovo soggetto. Come ha sottolineato il lettore Spirolazzi si poteva introdurre una piccola clausola che chi partecipava al comitato non poteva candidarsi all’assemblea costituente. Sarebbe forse servita a selezionare persone più anziane, ma interessate ad un orizzonte temporale diverso.
Il secondo è il meccanismo di scelta. Se prevale la cooptazione, anche nel rinnovamento generazionale, è chiaro che gli incentivi per chi entra nella carriera politica sono assolutamente distorti, orientati alla deferenza e non all’innovazione. Osserva giustamente il lettore Marnetto che le primarie possono ricoprire un ruolo importante; occorre però che sia libero l’accesso alle primarie, e che la valutazione dei candidati sia la meno ideologica possibile.
Il terzo è l’importanza del “Comitato”, sollevata dal lettore Spirolazzi. Non possiamo credere che conti poco, visti i nomi. Non è un caso che il Comitato abbia già, se abbiamo ben capito, assegnato a Romano Prodi il ruolo di Presidente del Partito Democratico.

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15 commenti

  1. spirolazzi

    L’avvio della fase costituente del partito democratico è avvilente ma qui ci troviamo di fronte ad un equivoco di fondo. questo comitato promotore deve solo definire le regole per l’elezione dell’assemblea costituente. sarà quest’ultima che dovrà definire in modo compiuto il manifesto valoriale del nuovo partito con i grandi indirizzi programmatici. in questa fase era necessaria una cabina di regia che con intelligenza organizzasse l’elezione popolare dell’assemblea. bastava introdurre un piccola clausola in merito : chi partecipa a questo comitato non può candidarsi all’assemblea costituente.
    era una soluzione così logica e semplice che nessuno l’ha presa in considerazione.

  2. Antonio Fiori

    Benedetti ragazzi! E’ fatale che stiano in molti (forse troppi) fuori del Palazzo, infatti:
    – che la vita media sia aumentata è nota litania
    – che da 12 anni non si vada più in pensione a 50/55 ma si lavori almeno fino a 57/60/65 anni è altra cosa risaputa
    – che i giovani inizino esperienze lavorative e formative sempre più tardi e in modi meno stabili e motivanti di una volta, lo sanno sia i giovani che i loro genitori
    Credo che siano questi fattori, in gran parte, a spiegare la lontananza dal palazzo (e dalla politica in genere) delle prime fasce d’età…

  3. valeria

    Che non siano moltissimi i giovani impegnati nella politica e nelle questioni collettive è evidente. E questa assenza ha percorsi storici chiari. Ma, a ben guardare il fenomeno, un’altra è la cosa che mi sobbalza agli occhi e riguarda invece quegli altri giovani, quelli “attivi”: senza generalizzare, sembra che loro facciano sì molte cose, ma pur sempre cose che non arrivano ad incidere realmente nei processi decisionali politici, a interagire col gruppo influente influenzandolo a sua volta. Sembra che i giovani ci girino attorno al potere, senza riuscire ad andare a prenderselo. Come mai? Non so dare una risposta, ma è la cosa che mi chiedo osservando quello che viene chiamato attivismo, un bel fenomeno che dà speranza che le cose possano ancora cambiare e migliorare. Un fenomeno che si manifesta nell’arte, nell’uso delle tecnologie e dei mezzi di informazione nuovi come la Rete, uso che è molto spesso appropriazione di questi mezzi (che sono mezzi di potere). Penso al fenomeno delle tv locali, e alla letteratura, ai piccoli gruppi organizzati che praticano il consumerismo o addirittura a quelli che inventano operazioni di contro-marketing dentro il mercato. Solo per fare qualche esempio, ce ne sono sicuramente di importanti che dimentico. E non dimentico certo i new global e la relativa storia, solo che necessiterebbe di uno spazio a parte. Ma leggendo, ascoltanto, guardando queste intelligenze straordinarie, cariche di conoscenze così preziose, mi chiedo come mai non stiano sedute in Parlamento. Mentre invece le scopri dentro i newsgruop o i blog, o alla Biennale, al festival della Filosofia, al Salone del Mobile, in un libro. Insomma questi giovani non si voglioni esporre? Non ci riescono? Hanno paura di farlo o il potere (politico, economico, delle università, delle imprese) è talmente consolidato da essere davvero inaccessibile? Una cosa è certa: preziose risorse non vengono messe a disposizione della collettività che ne avrebbe bisogno. Peccato.

  4. Fabio Pancrazi

    Nel gruppo che farà “nascere” il PD ci sono poi tutte persone note. Come sempre, chi dice ciò che pensa alle riunioni di partito, anzichè fare il piaggiatore dei “più alti in grado”, non fa “carriera” e non rappresenta nulla. In compenso si sente Forever Young!
    Da iscritto ai Repubblicani Europei dovrei aderire anch’io (non lo dice nessuno ma i partiti dell’iniziale PD sono tre, non solo Ds e Dl) ma non me la sento proprio di “morire democristiano”.
    Spero tanto che i giovani tornino ad interessarsi della cultura repubblicana e che i “vecchi” repubblicani tornino uniti. Ce ne sarebbe tanto bisogno in Italia, credetemi!

  5. Marco D'Egidio

    Sulle modalità di formazione del Pd vorrei dire alcune cose.
    1) la creazione di tavoli di lavoro, comitati nazionali e locali, gruppi operativi e quant’altro è motivata dalla necessità di recuperare un deficit democratico e sperimentare nuove realtà partecipative ed inclusive. Benissimo. Ma l’effetto è contradittorio: questi tavoli, questi gruppi di lavoro paiono la manifestazione di una vocazione oligarchica in seno alla politica. Nella selezione è implicita l’esclusione, con il risultato di polemiche inutili e dannose e il riverbero sull’immagine di un Partito che della cesura con il passato fa il suo punto di forza. Perchè questi comitati sono formati sempre dalle stesse persone, una sorta di casta che fa fatica a lasciare spazi, ad esempio, a donne e giovani, come mostra l’articolo.
    2) Il rischio di questa fase è che nel moltiplicarsi delle occasioni partecipative -assolutamente necessarie- si nasconda la tendenza a crearsi più problemi di quanti ce ne siano: e se i cittadini non capissero? se non fossimo all’altezza della sfida? se …? In preda all’horror vacui, meglio abbondare in tavoli confronti comitati vari. Ma questo sarebbe esente da rischi se tutti i “volenterosi” del Pd si disponessero con la massima generosità e disponibilità; altrimenti le divisioni sono dietro l’angolo e anticipare i problemi diventa esso stesso problema.
    Quindi occorre anche pensare agli strumenti dell’ inclusione, all’idoneità, al numero e alla composizione dei tavoli di discussione, senza farsi prendere dal panico della novità e con la più grande serenità. Senza favorire la confusione e la polemica personalistica che in queste occasioni trova facile alimento.

  6. Pietro

    Le barriere all’entrata poste dalle generazioni più vecchie sono sicuramente molto alte da poter essere superate con gli strumenti oggi in possesso dalle generazioni più giovani. Questo, unito ad una cultura conservativa quale quella della nostra società, ha prodotto il fenomeno oggi discusso.Tale condizione più che essere subita è voluta e ricercata data la distanza da valori, modelli e decisioni non condivise. Nel breve periodo ciò genera l’assenza della rappresentanza di una parte della società che a sua volta andrà nel tempo a sviluppare un nuovo modello di relazioni il quale metterà in crisi quello vecchio e precedente. La frattura potrebbe essere radicale, ma basterebbe andare a rileggere qualche vecchio saggio storico di inizio ‘900 per andare a capire motivazioni e trovare soluzioni alternative.

  7. Marco Solferini

    Il commento degli Autori è pertinente ed è suffragato da un dato empirico, matematico e anagrafico. Premetto che non è facile parlare di un partito senza fare politica, almeno non è facile farlo in Italia. Paradossalmente nel nostro Paese è giusto o sbagliato quel che viene proferito, spesso a seconda delle idee di colui che riferisce il concetto stesso. Ecco anche il motivo per cui, l’attualità è sterile di contenuti e la realtà emotiva dei giovani è scarsamente appassionata dal contemporaneo, laddove invece lo “storico” rappresenta ancora un mito, una rivisitazione di ciò che oggi non siamo, o non vogliamo essere. Esiste una preclusione di fondo, non solo soggettiva, drammaticamente istituzionalizzata nella cultura popolare, pertanto anche oggettiva. Questo “democratico” partito non ha, almeno per il momento, cominciato a comunicare, ma il bagaglio è un percorso: I democratici – Margherita – Ulivo – Unione e adesso Partito Democratico. La gente è sempre quella, sopratutto chi tira i fili e tiene i rapporti con le Istituzioni del panorama bancario, assicurativo, finanziario ed economico. I capelli bianchi sono sempre al loro posto. E’ legittimo domandarsi se questo non sia una sorta di Senato per l’ultima Repubblica prima della Roma Imperiale (antenati docet..).

  8. carmine granato

    Volere tenere gli under 40 fuori dal Comitato per il costituendo Partito Democratico è un pessimo segnale.
    Si parla tanto di” giovani, ma per nulla con i giovani.
    Farli parlare? Ma scherziamo?
    L’Italia è una repubblica democratica (….) e la sovranità appartiene al popolo?
    Ma si diventa popolo dopo i 40 anni?
    Carmine Granato

  9. carmelo lo piccolo

    Trovo francamente un pò stucchevole e vagamente demagogica la polemica nei confronti della “gerontocrazia” politica.
    Il modo di governare e le Istituzioni non migliorano presumendo che bastino dati anagrafici un pò più “verdi”! Se un “giovane” di 30/40 anni è stato “allevato” politicamente dai “vecchi”, se deve a loro la sua carriera politica, se è entrato in un partito per cooptazione, cioè per benevola concessione di chi controlla il partito stesso, potremo avere un ‘intera generazione di dirigenti politici al di sotto dei 40 anni senza che la politica e la collettività dei cittadini governati ne traggano il benchè minimo beneficio.
    Del resto, il problema dell’effettivo ricambio delle oligarchie governanti, e soprattutto della possibilità che i comuni elettori hanno di influenzare e decidere almeno in parte questo passaggio cruciale di ogni democrazia, è stato affrontato in maniera scientifica da politologi, sociologi ed economisti, senza purtroppo arrivare ad una reale soluzione.
    Credo comunque che bisogna senza dubbio apprezzare il tentativo fatto dal centrosinistra con il PD, e non ergersi a giudici implacabili mettendosi minutamente a criticare ogni tentativo reale di rinnovamento politico osservando in continuazione che ci vorrebbe “ben altro”. Nel comitato del PD ci sono i politici di professione, è vero, ma ci sono esponenti significativi della cosiddetta “società civile”, e dell’associazionismo, e poi i vari D’Alema, Fassino, Prodi, Rutelli, Veltroni e altri credo che abbiano preso qualche centinaio di migliaio di voti alle elezioni e ai congressi dei loro partiti, non è che sono arrivati lì per virtù taumaturgiche o perchè lo hanno deciso da soli! Il vero problema è come controllare che le elitès di comando politico legittimino il consenso riscosso dagli elettori e dagli iscritti ai partiti, non la loro età anagrafica!

  10. Enzo Tripaldi

    La costituzione di questo direttorio del PD è deludente sotto ogni aspetto, anche per quanto riguarda le “quote rosa”.

    Il redattore infatti cela il fatto che il comitato avrebbe dovuto essere di 25 poi 30 poi 35 e così via. In parte così si spiega la presenza femminile.

    Oltre al mancato coinvolgimento dei giovani (ma gli organi giovanili a che servono?) appare surreale che, ad esempio:

    a) ci sia un numero spropositato di ministri (facciano il loro lavoro che se ne avverte bisogno)

    b) Dini – 76enne – non era un tecnico?

    c) Fra i cooptati della “società civile” anche il quasi sessantenne Petrini, inventore di Slow Food.

    Decidano: o promettano meno oppurre quanto prima si troveranno in enorme difficoltà.

  11. Massimo Marnetto

    Questo “giovanismo” non mi convince, perché è una semplificazione: Giovani=Rinnovamento.
    Non credo sia così. Per me, il vero rinnovamento avviene cambiando il metodo di selezione della classe dirigente, mediante le primarie.
    E’ molto più innovativo un 90enne selezionato con le primarie, che un 20enne frutto del senso di colpa dei veterani.
    Massimo Marnetto

  12. andrea

    Quali sono le risposte che la politica italiana, nel suo complesso, maggioranza, opposizione, governo, ha dato rispetto ai cambiamenti climatici? Soprattutto quali sono state le risposte a un quadro internazionale che sta muovendo nella direzione di un legame sempre più stretto tra economia ed ecologia per una maggiore competitività, innovazione e trasformazione economica? I riferimenti sono chiari e inequivocabili: il rapporto Stern, le conclusioni dell’IPCC, le conclusioni del Consiglio europeo. A giudicare dai fatti le risposte sono poche, il più delle volte sporadiche e isolate: l’ecologia continua a essere letta con diffidenza, più come una disciplina limitata agli scienziati piuttosto che come una chiave strategica per modernizzare il sistema economico. Prendiamo alcuni settori strategici ed emblematici per capire quali sono le risposte: trasporti, mobilità, risorse idriche, rifiuti, energia, suolo, biodiversità, un lungo elenco che registra, comunque, ritardi, approssimazione, incapacità di agire per governare i cambiamenti. Ci si consola lanciando slogan e ascoltando le conferenze di illustri relatori ma, alla fine dei discorsi, i problemi restano irrisolti nella loro complessità, nella loro dimensione inavvicinabile. Si continuano a costruire quartieri senza metropolitane, centri commerciali, autostrade: confidando che su quelle autostrade sfrecceranno auto a idrogeno. Manca un riferimento strategico e la volontà di lavorare per un futuro sostenibile dell’Italia: le strategie di Lisbona e di Göteborg sono mere citazioni nei documenti di programmazione ma nessuno si preoccupa di innovare la politica, neanche attuando concretamente la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti, per fare un esempio. Dove sono gli investimenti in innovazione, ricerca e formazione per la sostenibilità? È drammatico dover ammettere questa sconfitta dell’Italia anche perché riguarda il futuro dei nostri figli costretti a subire un declino non solo economico ma culturale.

  13. gianluca cocco

    Almeno si spera che si facciano carico dei problemi degli anziani, di quelli che stanno un un bel po’ peggio di loro! La nostra società allontana giovani e donne dalla politica, stabilire delle quote è la cosa più triste e discriminatoria che si possa pensare. Bisogna cambiare le leggi e i meccanismi che consentono ad un politico di occupare per tutta la vita posti di potere.

  14. Boris Limpopo

    L’argomentazione dell’articolo non mi convince.
    Se il problema è quello della rappresentatività dei saggi rispetto alla popolazione degli elettori, allora estraiamo un campione (http://borislimpopo.wordpress.com/2007/03/12/il-bue-di-galton-e-la-democrazia-una-modesta-proposta/).
    Se il tema è quello della capacità e della competenza degli anziani rispetto a quella dei giovani, gli anziani ancora sulla breccia l’hanno dimostrata sul campo proprio per il fatto di esserci ancora, i giovani non ancora: la gerontocrazia non è un’idea così stupida, in realtà…

  15. emabardo

    Da un progetto nato morto (o, nella migliore delle ipotesi, agonizzante) non si può pretendere più di tanto. Forse in futuro le cose cambieranno.
    Detto questo, credo che sia abbastanza inutile parlare di “giovani”. Intanto perché a furia di parlarne, i “giovani” stanno invecchiando: il potere invecchia chi non ce l’ha. Ma a parte questo, non dovremmo essere qui a chiedere “più giovani per tutti”, ma prendere atto del fatto che vi sono già diverse generazioni che stanno drammaticamente soccombendo. Probabilmente l’unico modo sarebbe quello di istituire i crimini contro le future generazioni.

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