L’Antitrust lancia un monito severo sugli intrecci azionari tra le imprese bancarie e tra queste e il settore assicurativo. E le recenti concentrazioni impongono alla analisi concorrenziale una attenta valutazione degli strumenti. Interventi di tipo preventivo hanno dubbia efficacia. In attesa dei risultati dell’indagine sui rapporti tra libertà di mercato e corporate governance nel settore finanziario, si potrebbero varare misure di stimolo alla concorrenza che puntino ad aumentare la mobilità dei consumatori senza intervenire sulla struttura dell’offerta.

Nella relazione dell’Antitrust vi è un monito severo sulla rete di intrecci azionari tra le imprese bancarie e tra queste e il settore assicurativo “che in alcuni casi può rappresentare una grave patologia”. Il monito giunge dopo che i profili concorrenziali sono stati un po’ trascurati nei commenti sull’operazione Unicredit-Capitalia. Trascurati almeno fino all’autorevole richiamo, ovviamente di carattere generale e non specifico su quell’operazione, del governatore sulla necessità di trasferire ai consumatori i benefici del consolidamento in atto nel settore. Il monito giunge anche dopo che l’Autorità ha autorizzato, nello scorso dicembre, la concentrazione Intesa-San Paolo, dove era emerso almeno uno di quegli intrecci – la partecipazione incrociata Intesa-Generali e i relativi “legami personali”. Intreccio che nel giudizio della stessa Autorità era critico per la concentrazione, ma poi ritenuto superato dagli impegni assunti dalle parti. (1)

Cambia la morfologia del sistema bancario

Lo scenario in cui le due concentrazioni si collocano è noto: ovunque i mercati nazionali registrano una tendenza al consolidamento mentre gli M&A di tipo cross border, pur essendo la loro quota rispetto alle fusioni complessive in ripresa, incontrano ancora ostacoli di natura legale, regolatoria e fiscale. Un documento della Banca centrale europea (2) relativamente recente si sofferma su questi aspetti richiamando l’attenzione soprattutto sugli ostacoli di natura fiscale e sulla poco chiara previsione contenuta nell’articolo 19 della direttiva banche concernente i processi autorizzativi, articolo che è stato, infatti, modificato con la nuova direttiva comunitaria sulle acquisizioni del capitale delle banche. Lo stesso commissario al Mercato interno Charlie McCreevy ha più volte richiamato questi aspetti. Quindi se è vero, come pare legittimo sostenere, che dal punto di vista del consumatore le fusioni transnazionali sono “migliori” in quanto aumentano il numero dei concorrenti, la concentrazioni nazionali rappresentano un second best e quindi gli sviluppi concorrenziali meritano particolare attenzione.
Da questo punto di vista non dovrebbe essere solo la questione degli intrecci a richiamare l’attenzione sulle due concentrazioni “domestiche”, San Paolo-Intesa e Unicredit-Capitalia. Esse mutano la morfologia del nostro sistema bancario. I confronti internazionali disponibili mostrano una riduzione nel numero delle istituzioni creditizie presenti nel mercato italiano tra il 1997 e il 2005 (anche se inferiore a quella di altri paesi) ma concentrata nella parte alta del mercato. Ciò è in parte confermato dal valore dell’indice di Herfindahl pubblicato dalla Banca d’Italia nell’ultima Relazione annuale, pari a 850, considerando anche l’integrazione Unicredit Capitalia: è sì molto aumentato ma risulta ancora inferiore a quello di diversi paesi europei. La fascia intermedia del mercato è infatti composta da un numero elevato di banche (45) con appena circa il 30 per cento del mercato; la frammentazione è ancora più ampia alla base della scala dimensionale.
Non è ancora chiaro quali saranno i comportamenti concorrenziali che prevarranno nei mercati bancari locali a seguito di un consolidamento che interessa prevalentemente i grandi operatori né, di conseguenza, quali siano gli strumenti da utilizzare in modo che al consumatore arrivi qualche beneficio. Nè è del tutto chiaro quali intrecci facciano male alla concorrenza e quanto, considerato anche che non sono un tratto nuovo; né hanno impedito che nel decennio scorso si sviluppasse un “buon” livello di concorrenza nel settore creditizio. (3) Insomma la analisi concorrenziale del settore ha di fronte nuovi compiti e richiede una attenta valutazione degli strumenti.

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La cessione degli sportelli, un’arma spuntata

Posso allora proporre qualche spunto per la discussione.

a) Gli interventi di tipo preventivo (le condizioni alle autorizzazioni alle concentrazioni) sono di dubbia efficacia e questo per il semplice motivo che la misura più frequentemente utilizzata – la cessione degli sportelli – per ridurre la dominanza sui mercati bancari locali è un arma costosa e forse un po’ spuntata (oltre a rischiare di svantaggiare i consumatori che potrebbero essere costretti a sopportare dei costi se volessero continuare a rimanere clienti della stessa banca). L’Autorità in occasione della fusione tra San Paolo e Intesa, a fronte di quote di mercato dei depositi superiori in alcuni province al 40 per cento, ha valutato positivamente l’impegno a cedere 197 sportelli, oltre a quelli che Banca Intesa avrebbe già ceduto a Credit Agricole. Qui è forse opportuno ricordare che quando, nel 2001, l’antitrust inglese esaminò (autorizzazione non concessa) la acquisizione della Abbey National da parte di Lloyds Tsb, scartò il rimedio della cessione degli sportelli in quanto gli esiti del processo di cessione sarebbero stati imprevedibili e senza alcuna garanzia che la base dei clienti avrebbe acconsentito a cambiare banca e che eventuali comportamenti collusivi non sarebbero comunque stati posti in atto. Sotto questo aspetto nella decisione San Paolo-Intesa è mancata una valutazione preventiva degli effetti della cessione degli sportelli e quindi un confronto sui costi (comunque non trascurabili per le aziende e come detto possibili anche per la clientela) e benefici di tale simile misura. Si tratta di un precedente troppo vicino nel tempo perché l’Antitrust non ne tenga conto e quindi, qualora vi siano livelli di concentrazione analoghi nei mercati locali, è probabile che sia riproposto per Unicredit-Capitalia.
b) Gli interventi finalizzati a ridurre i comportamenti collusivi sembrano più efficaci. In questi ultimi anni l’Autorità ha rivolto una opportuna attenzione alle intese assunte a livello associativo, alle pratiche concordate (si veda la recente apertura di un’istruttoria sulle gare per il servizio di cassa dell’Inail), alla inadeguata trasparenza sui servizi dell’attività retail. (4) A questa tipologia di interventi appartengono anche le iniziative legislative del governo sulle condizioni contrattuali dei conti correnti bancari che riprendono precedenti segnalazioni dell’Autorità.
Possiamo aspettare i risultati dell’indagine annunciata dal presidente Catricalà sui rapporti tra libertà di mercato e corporate governance nel settore finanziario, ma nel frattempo misure di stimolo alla concorrenza che puntino ad aumentare la mobilità dei consumatori senza intervenire, con esiti incerti e misure costose, sulla struttura dell’offerta, potrebbero costituire gli ingredienti di una buona politica.

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(1) La concentrazione poteva “dare origine ad una situazione nella quale una concorrenza effettiva nei mercati rilevanti – rami vita I, III e V – viene ad essere ostacolata in modo significativo”. Vedi punto 236 della decisione.
(2) Financial Integration in Europe, marzo 2007
(3) Sullo sviluppo della concorrenza negli anni Novanta nel settore creditizio si veda M. Messori , “La concentrazione nel settore bancario: effetti sulla competitività e sugli assetti proprietari”, 2002
(4) Segnalazione dello scorso maggio: ma perché lo strumento della segnalazione?

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