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Quando l’autorevolezza è on line

Secondo un’ipotesi suggestiva esisterebbe una correlazione tra il buon funzionamento di un’economia e la qualità del discorso pubblico e la responsabilità e la trasparenza nel rapporto tra potere e cittadino. E’ giustificato dunque chiedersi se i giornali italiani non siano concausa della difficile realtà sociale ed economica del paese. Sono più spesso le opinioni a essere separate dai fatti che non viceversa. La rottura del legame tra profondità della ricerca giornalistica e autorevolezza dell’opinione. E il ruolo dell’informazione on line di qualità.

Un noto gruppo di indicatori pubblicati dalla Banca Mondiale irrobustisce l’ipotesi, molto suggestiva, secondo cui esisterebbe una correlazione tra il buon funzionamento di un’economia, da un lato, e dall’altro lato la qualità del discorso pubblico e la responsabilità e la trasparenza nel rapporto tra potere e cittadino. È giustificato dunque chiedersi se i giornali italiani non siano anch’essi concausa della difficile realtà sociale ed economica del paese e, in subordine, quale ruolo giochi l’informazione on line di qualità come lavoce.info.

Le opinioni separate dai fatti

Da quando David Hume e John Stuart Mill hanno ridefinito il meccanismo d’induzione, gli economisti tendono ad associare alle conclusioni dei ragionamenti economici gradi diversi di probabilità, fino ad attribuire vita propria al calcolo statistico – conoscono infatti il problema dei “concetti ampliativi” indotti dall’osservazione dei fatti.
Ciò che vale per la ricerca scientifica non può valere per i giornali. Chi opera nell’informazione ha ben presenti – prima di tutto – i limiti della conoscibilità della realtà da parte dei media, in particolare di quelli che intervengono sulla realtà quotidiana. I giornalisti quindi tendono a separare fatti e opinioni, mutuando un linguaggio che richiama quello filosofico del passaggio dall’osservazione dei particolari alla formulazione di principi generali. L’intento è quello di tenere l’esposizione dei fatti al riparo dai condizionamenti della loro interpretazione. Tutti conosciamo questa faccia della luna: siamo attenti alla rappresentazione dei fatti e riteniamo in genere di poterne valutare l’imparzialità. C’è però anche una faccia nascosta del problema dei media, che non riguarda i fatti bensì le opinioni: sono più spesso le opinioni a essere separate dai fatti che non viceversa. È frequente che, per usare il linguaggio di Pareto, le opinioni assumano natura essenzialmente ideologica, siano tese cioè a convincere e a orientare e non per forza a spiegare i fatti secondo coerenza.
Esiste un criterio nel funzionamento organizzativo dei giornali che favorisce l’offerta di opinioni ideologizzate. L’esperienza di direzione e di lavoro nei giornali italiani mi porta a formulare questo criterio con molta semplicità: i giornali ben fatti sono quelli che funzionano “bottom-up”, mentre in Italia sono prevalentemente fatti “top-down”. Mi spiego.
La logica dei giornali “bottom-up” è quella di disporre di bravi giornalisti, scelti in base al merito professionale perché agiscano quanto più possibile in prossimità dei fatti. Questi giornalisti ricercano fatti, interrogano fonti, esercitano verifiche e infine riportano tutto ciò, dal basso verso l’alto, sottoponendone la coerenza al proprio responsabile di redazione. Quanto più corretto e approfondito è il loro lavoro, tanto più esso viene condiviso dal giornale che lo pubblica fino a influenzare le opinioni espresse dallo stesso giornale. Le opinioni dipendono cioè dai fatti e dallo sforzo di conoscenza.
I giornali “top-down” sono fatti in tutt’altro modo. La direzione del giornale rappresenta una convinzione politica o un posizionamento di interessi. Sulla base di tali caratteristiche seleziona sia i temi, interpretandoli perfino quando fossero solo eventi di cronaca, sia gli autori degli articoli. Questi ultimi rispondono all’incarico se riescono a dimostrare la finalità ideologica prescritta. I giornalisti quindi vengono cooptati più che scelti, cosicché la loro assunzione risponde a un criterio di adverse selection. I fatti finiscono per essere in posizione molto subordinata rispetto alle opinioni. I giornali assomigliano a partiti. La loro funzione di controllo della realtà e del potere è subordinata all’obiettivo politico dell’editore o del direttore. I fatti dipendono dalle opinioni e dalla capacità di ruolo politico. Quest’ultimo vale in quanto incida sul dibattito politico corrente. È finalizzato esplicitamente al breve termine. Le analisi strutturali non sono rilevanti. Lo short-termism dell’informazione produce short-termism nella risposta politica, danneggiando il paese.

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Da “una voce” a “un’informazione”

Per ragioni di interesse politico e di interesse manageriale, in Italia è cresciuto il giornalismo delle opinioni. Lo sviluppo è avvenuto di pari passo con l’accendersi della polemica politica degli anni Novanta, quando la contrapposizione tra destra e sinistra ha creato alternanza al potere. I giornali si sono schierati in modo sempre più esplicito. Tuttavia, in assenza di struttura analitica e di attitudine alla ricerca dei fatti, il commento tende ad assumere posizioni emotive, provocatorie, populiste o semplicemente ideologiche. Si sono sviluppati così quotidiani d’opinione che ottengono successo di mercato attraverso una vivace – ma più spesso brutale – coloritura emotiva della realtà. Il loro successo trascina lo stile informativo dei giornali tradizionali, anch’essi sempre più interessati alle opinioni e sempre meno ai fatti. Il management dei giornali, nella maggior parte dei casi anch’esso frutto di una clamorosa selezione avversa, intravede nel giornalismo d’opinione la possibilità di adempiere alla funzione politica commissionata dall’editore e di risparmiare: per esprimere opinioni infatti sono sufficienti un paio di vistosi commentatori, mentre per conoscere e verificare i fatti sono necessari centinaia di reporter. Gli editori coltivano i loro interessi politici e finanziari, scelgono il management in ragione di tali obiettivi e danno ampio mandato a esso per eseguirlo.
Dopo anni di questo trattamento, convergente con quello dell’informazione televisiva, l’opinione pubblica finisce per esprimere una domanda di “semplicità” populista e di brutale schieramento e rifiuta come ingannevoli la complessità e le sfumature. Si rompe in particolare il legame tra profondità della ricerca giornalistica e autorevolezza dell’opinione.
L’intervento di un nuovo medium informativo autorevole è dunque necessario. Alla sua nascita, avevo criticato il progetto de lavoce.info, perché depositare commenti non sostenuti da fatti, da analisi documentate, né da schieramenti ideali, mi pareva un’operazione poco trasparente, un contributo all’incertezza, una tipica sindrome da professori d’università titolari di verità rivelate. Devo certamente rivedere il giudizio complessivo. La varietà dei commenti forniti dal lavoce.info compensa l’effetto sacerdotale. Quanto allo schieramento ideale, è andato via via prendendo profilo attraverso la funzione critica implicita nel medium fuori dai canali tradizionali di espressione della vita politica. Le opinioni troppo staccate dai fatti continuano a non convincermi (direi per ragioni etiche). In alcuni casi potrei dimostrare l’errore dei commenti di alcuni contributi collegati a carenze di conoscenza fattuale. Ma chi ha diritto di scagliare la prima pietra? Non io.
Credo che lavoce.info dovrebbe integrare la componente di commento con una nuova parte di presentazione sintetica dei fatti e con un ulteriore sforzo documentale. Rappresenterebbe un contributo ancor più formidabile di quello attuale. Finirebbe però per non essere più, nel vero senso, “una voce”, ma qualcosa di molto simile a “un’informazione”, la cosa più vicina a The Economist che esista in Italia. In tal caso, il declino qualitativo della stampa mi preoccuperebbe molto di meno.

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Se il deposito si sveglia

  1. Marco Cipelletti

    Condivido la sua analisi, e ammiro la sua eufemistica definizione di “top-down” per i giornali schierati o addirittura militanti. Il mio principio e’ semplice: se sono gia’ in grado di anticipare il messaggio di un giornale prima di averlo acquistato e letto, addio autorevolezza! Pochi si salvano da questo punto di vista. Ma questo problema non mi sembra una novita’. Piuttosto mi preoccupa il recente ulteriore deterioramento dei contenuti: sempre piu’ foto e titoloni, sempre meno approfondimento; priorita’ nella scelta dell’impaginazione alle notizie dell’Italia “provinciale” (scandali, rapimenti, disgrazie, gossip), rispetto ai grandi temi. Il fatto che il Corriere rincorra il suo principale concorrente su questa strada e’ un recente segnale di ulteriore malessere. Un’ultima osservazione: ammiro molto LaVoce, ma in qualche caso ho avuto l’impressione che prevalesse anche qui un approccio “top-down”.

  2. Giacomo Dorigo

    Sono d’accordo con la gran parte dell’impianto dell’articolo anche se mi piacerebbe suggerire all’autore la lettura di “Realism and the aim of science” di Karl Popper, ed. Routledge. In esso viene criticata puntualmente la teoria induttiva di Hume e successivi salvando però il bisogno di fatti (e in questo testo le diee di Popper son secondo me più chiare e approfondite che in The Logic of Scientific Discovery).

  3. Amedeo

    Complimenti Bastasin. Ha dato forma ad un pensiero che da tempo coltivavo ma senza questa puntualità semi-scientifica.
    Un solo dubbio: ma siamo sicuri che esistano ancora i fatti e non ci siano solo le opinioni? I continui balletti sulle cifre (per dirne una) mi fa dubitare che in realtà anche i conti pubblici siano un’opinione. Sperando di essere nel torto, La saluto.

  4. Francesco Cocco

    Non ho l’ardire di provocare nessuno, ma presentare lo stato della stampa italiana e il suo influsso sull’opinione pubblica per poi trarne conclusioni sull’andamento del paese è argomento che in questo paese ha dato grande notorietà ai comici, pur senza ricorrere alla vernice logica di Hume e Stuart Mill. Anche perchè il problema, come dice Amedeo, potrebbe essere a monte, vale i dire sui fatti, che per La Voce.info spesso sono cifre. Non esistono i fatti, ma solo le interpretazioni, ammoniva Nietzsche.

  5. Egle Taggiasco

    Ho apprezzato molto la sua analisi sulla stampa italiana. Non so se i giornali italiani siano una concausa del degrado sociale ed economico del paese, ma sicuramente ne sono un’ espressione. Complimenti, dunque, a LAVOCE e alla sua proposta di un’informazione più aderente ai fatti. Una lettrice

  6. G Di Bartolomreo

    Credo che l’articolo faccia un ragionamento piuttosto azzardato. Quando si dice che esiste “una correlazione tra buon funzionamento di
    un’economia e trasparenza nel rapporto tra potere e cittadino” e poi si sostiene che “è giustificato chiedersi se i giornali italiani non siano anch’essi concausa della difficile realtà sociale ed economica” si forza un po’ le cose. In altri termini, se correlazione c’e’ questo non
    implica causalità. Anzi, credo più probabile che sia il mal funzionamento (dovuto magari a malcostumi, corruzioni ed inefficienze pubbliche, come ad esempio i monopoli nell’informazione e in altri settori) a causare il poco trasparente rapporto tra potere e cittadino e a regalarci un sistema di informazione piuttosto criticabile.

    Con tutto il rispetto dei giornalisti non credo siano loro il problema dell’Italia. Restano condivisibili per altre ragioni le critiche
    dell’autore a parte del sistema dell’informazione italiano, che, d’altro canto, annovera in se anche personaggi ed istituzioni di primissimo piano.

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