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Se i bilanci regionali non sono sani

Un rapporto di Moody’s analizza le nuove regole introdotte nell’ambito delle gestioni sanitarie regionali C’è da chiarire un equivoco di fondo: il ruolo dello stato. Che non deve intervenire sempre e comunque, ma solo in casi eccezionali per evitare crisi sistemiche. Devono essere le regioni a onorare i propri impegni finanziari. Eliminando sprechi e inefficienze e cercando di ridurre, più che i costi totali, i costi medi di produzione e di fornitura del servizio.

E’ uscito venerdì 20 luglio – commentato solo da qualche giornale – un rapporto di Moody’s sulle nuove regole introdotte nell’ambito delle gestioni sanitarie regionali, con alcuni giudizi sugli interventi di ripiano dei disavanzi pregressi che offrono lo spunto per un commento. Riassumo brevemente il contenuto del rapporto. Innanzitutto, Moody’s suggerisce che il Patto per la Salute introdotto con la Finanziaria 2007 ha previsto un quadro di regole più stringenti per le Regioni con elevati disavanzi per la sanità.

Ridurre i costi…

L’aspetto principale di questo nuovo quadro viene riscontrato nell’adozione di meccanismi sanzionatori automatici basati sull’incremento dell’imposizione locale (di fatto l’aumento delle aliquote d’imposizione dell’addizionale IRPEF e dell’IRAP). L’incremento dell’imposizione a livello locale va chiaramente a colpire i soli elettori regionali; e tutto ciò dovrebbe quindi rendere i politici locali più attenti nel raggiungimento degli equilibri di bilancio. Peraltro Moody’s “prende atto” che la maggior parte degli interventi “automatici” sarebbero riferiti all’IRAP, una soluzione “controproducente e insostenibile sul lungo periodo poiché sfavorisce la crescita economica”. Un’altra innovazione positiva che il rapporto sottolinea è la necessità per le Regioni con deficit elevati (pari o superiori al 7% dei rispettivi fondi annuali in base ad un accordo del marzo 2005) di adottare dei “Piani di rientro” dettagliati che dovranno essere approvati dal Ministero dell’Economia e dal Ministero della Salute. Nel rapporto sono analizzati i piani di Campania, Lazio, Abruzzo, Molise e Liguria (alcune di queste Regioni presentano peraltro disavanzi strutturali da anni). Le due strategie di fondo comuni a tutti i Piani (al fine di azzerare i deficit pregressi e raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2010) sono, da un lato la possibilità di accedere a fondi aggiuntivi erogati a tal proposito dallo Stato, dall’altro la realizzazione di risparmi di spesa significativi. Per quanto riguarda la prima strategia, Moody’s parla di “intervento sistemico a sostegno del merito creditizio delle Regioni italiane”, di “fase ultima del meccanismo di finanziamento della sanità in Italia, nonché una soluzione per poter garantire la ripartizione di opportuni fondi a ogni regione per garantire i LEA”, da non considerarsi interventi di salvataggio straordinario, nemmeno nel caso del Lazio che ha ricevuto un prestito garantito di 5 miliardi di euro. Per quanto riguarda la seconda strategia, i principali interventi prefigurati per il contenimento dei costi nei Piani sono individuati nella razionalizzazione dei costi del personale, nella riduzione della spesa farmaceutica e della mobilità interregionale, nel miglioramento delle procedure di acquisto di beni e servizi, nella riorganizzazione dell’offerta di servizi sanitari con l’intento di migliorarne efficienza ed efficacia, nell’introduzione di tetti di spesa e nella revisione delle tariffe. Per dare un’idea dei risparmi attesi da questi interventi, Moody’s sottolinea che le Regioni coinvolte dovrebbero limitare la crescita dei costi al 2% circa per il triennio 2007-2009, quando lo stesso aggregato è cresciuto tra il 2001 e il 2005 del 6-7% annuo, “un impegno gravoso e un’ardua sfida”.
La valutazione delle regole introdotte con la Finanziaria 2007 come un passo avanti in termini di trasparenza e di “irrigidimento” dei vincoli di bilancio regionali è certamente da condividere. Si tratta di un meccanismo che va nella giusta direzione per le ragioni discusse anche sopra, perché soprattutto fa cadere la responsabilità dei dissesti sugli amministratori locali. Ma soffre del limite evidenziato anche nel rapporto di Moody’s: potrebbe non essere sostenibile a lungo; o addirittura essere insufficiente (o impraticabile) in alcune Regioni con limitata base imponibile (le aliquote non possono essere innalzate all’infinito). Il meccanismo sanzionatorio automatico dovrebbe quindi prevedere (accanto alla leva fiscale) altri incentivi al raggiungimento dell’equilibrio finanziario. Come già discusso in un altro intervento
sarebbe estremamente utile l’introduzione di una legislazione per il dissesto finanziario delle Regioni, che preveda anche – nei casi più gravi – la perdita di sovranità e la rimozione degli amministratori. Oggi abbiamo una legislazione simile ma è limitata agli Enti Locali.

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…e gli interventi dello Stato

Considerare tuttavia la possibilità di accedere a risorse aggiuntive messe a disposizione dello Stato non come un intervento straordinario, ma come un elemento implicito nel sistema di finanziamento ex post della sanità regionale italiana sembra francamente una valutazione non condivisibile (anche se apparentemente sempre più di moda). Due sono le interpretazioni: o si ritiene che comunque lo Stato interverrà a sostegno delle Regioni sempre e comunque, indipendentemente dalla dimensione del deficit realizzato e dalle responsabilità oggettive degli amministratori regionali; e allora coerentemente non ha senso parlare di rating delle emissioni regionali: se lo Stato onorerà comunque i debiti regionali, il rating di tali emissioni deve essere quello applicato alla carta della Repubblica, ma allora anche la gestione della sanità dovrebbe tornare in mano allo Stato (nel rapporto peraltro c’è una frase sibillina su questo punto: “Moody’s ritiene che il più alto livello di coinvolgimento del governo centrale nelle decisioni delle Regioni in campo sanitario rifletta l’intenzione di armonizzare i sistemi sanitari regionali”). Oppure si ritiene che lo Stato non interverrà sempre e comunque, ma solo in casi eccezionali per evitare crisi di fiducia sistemiche; e allora coerentemente ha senso parlare di rating regionali, perché sono le Regioni che con i loro fondi e le loro risorse debbono onorare i propri impegni finanziari (e con le loro capacità gestire la sanità). In un momento nel quale il paese sta di nuovo provando a discutere un provvedimento sul federalismo fiscale, la seconda interpretazione mi sembra quella corretta. E l’intervento di 5 miliardi di euro a favore del Lazio (una cifra enorme) è un intervento straordinario per tappare il buco ed evitare il dissesto. Al di là dell’aspetto definitorio, l’interpretazione alternativa degli interventi di ripiano dei disavanzi ha anche un altro problema: tende a perpetuare il finanziamento delle inefficienze e degli sprechi nelle gestioni, evitando invece di metterli in luce. E che ci siano sprechi e inefficienze sembra ormai accettato da tutti. A sostegno di questo punto si vedano comunque la tabella 1: il Lazio ha una spesa pro-capite per la sanità non inferiore a quella di altre Regioni, ma non c’è alcun legame tra la spesa pro-capite e la composizione della popolazione per classi di età, una delle determinanti principali della domanda di servizi sanitari. Sono quindi le strutture di offerta ad influenzare la spesa, non i bisogni dei cittadini.
Un ultimo aspetto merita di essere sottolineato: nella discussione di politica sanitaria (e anche nel rapporto) si parla spesso di riduzione attesa dei costi ma non si discute mai del livello dei servizi. Il problema da affrontare – se si vogliono davvero combattere le inefficienze e non fare un mero maquillage dei bilanci regionali – non è quello di ridurre i costi totali, ma di ridurre i costi medi di produzione e di fornitura del servizio. In altre parole, per fare un esempio, il problema non è quello di chiudere gli ospedali e ridurre i posti letto ma di riorganizzare le modalità di produzione dei servizi di assistenza ospedaliera in modo più razionale ed efficiente. Questa è la vera sfida che attende gli amministratori regionali.

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Tabella 1. Indice di invecchiamento e spesa corrente pro-capite per la sanità nelle Regioni italiane

Indice di invecchiamento(*)

(media 1999-2003)

Spesa corrente pro-capite

(euro, media 2001-2005)

Piemonte

174

1496

Valle d’Aosta

148

1654

Lombardia

137

1424

Trentino-Alto Adige

105

1906

Veneto

135

1628

Friuli-Venezia Giulia

187

1451

Liguria

239

1486

Emilia-Romagna

193

1622

Toscana

191

1538

Umbria

184

1496

Marche

167

1500

Lazio

126

1432

Abruzzo

144

1617

Molise

146

1509

Campania

75

1575

Puglia

93

1418

Basilicata

116

1299

Calabria

100

1308

Sicilia

95

1309

Sardegna

113

1388

 

 

 

Fonte: ISTAT e Ministero della Salute (Caroppo M.S. e Turati G., I sistemi sanitari regionali in Italia, Vita e Pensiero, 2007)

(*) Rapporto tra popolazione > 65 anni e popolazione compresa tra 0 e 14 anni

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  1. Matteo Barbero

    L’intervento statale a sostegno delle Regioni con i conti sanitari in disavanzo presenta numerosi profili di irrazionalità (Turati docet) e, cosa più grave che vorrei qui evidenziare, di flagrante incostituzionalità, questi ultimi messi puntualmente in evidenza dalla Regione Lombardia, che ha giustamente fatto ricorso alla Consulta. Senza scomodare i grandi principi (eguaglianza, buon andamento della PA ecc., autonomia finanziaria regionale, che dovrebbe voler dire anche piena responsabilità, ecc. ecc.), basti pensare alla palese violazione dell’art. 119, comma 6, Cost., ai sensi del quale lo Stato non dovrebbe poter garantire i prestiti contratti dalle Regioni, cosa che invece ha fatto puntualmente. In attesa del federalismo fiscale (un vero Godot del nostro assetto istituzionale), quindi, la parola passa nuovamente alla Corte Costituzionale.

  2. Mussari Ferdinado

    I diversi sistemi sanitari regionali presenti in italia, l’articolo di Turati che mette in luce l’aspetto dell’OFFERTA sanitaria che induce la domanda, pone questioni più profonde che dovranno essere dibattute. ne vorrei porre sul piatto due: quale è il ruolo del privato nella organizzazione ed erogazione del servizio? quindi quale modello regionale risulta essere più vicino ai canoni di efficacia ed efficienza e concorrenza?

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