La maggior parte delle analisi sulla recente crisi finanziaria si è concentrata sui rischi di instabilità dei mercati e sulla pericolosità del “credito facile”. Pochi si sono soffermati sul destino di chi quel credito l’ha utilizzato e ne sta pagando le amare conseguenze. Eppure i subprime rappresentano il sintomo dell’affacciarsi sul mercato del credito di sempre più estese fasce di popolazione che non hanno i normali requisiti di “bancabilità”, ma non per questo possono rimanere escluse dai circuiti finanziari.

La crisi, i mutui e la casa

I principali protagonisti dell’ultima crisi sui mercati internazionali sono gli ormai tristemente noti subprime loan per l’acquisto di abitazioni a persone non in grado di offrire adeguate garanzie, e che ai primi segnali di difficoltà del mercato immobiliare non sono state in grado di restituire le rate. La maggior parte delle analisi di questi giorni è concentrata sulle conseguenze della “finanza facile” e cioè della concessione di mutui senza una reale verifica del merito di credito del prenditore, con la possibilità di spalmare i relativi rischi sul mercato attraverso le cartolarizzazioni, che possono rappresentare un incentivo ad abbassare la qualità del monitoraggio sul comportamento dei debitori. Le conclusioni sono che non tutti i mali vengono per nuocere: i dolorosi salassi estivi, per le tasche degli investitori, rappresentano un salutare scossone per riportare le banche d’oltreoceano all’antico mestiere, disperso nei meandri della sofisticazione finanziaria, di attente, prudenti e corrette politiche di selezione del credito.
In realtà, guardando da vicino il fenomeno, i termini del problema non sono affatto così semplici, e investono alcuni aspetti fondamentali del mestiere di banche e società finanziarie che di fronte ai radicali mutamenti del tessuto sociale (appunto l’emersione del popolo dei subprime) hanno in realtà continuato a muoversi secondo criteri consolidati senza avere la lungimiranza di modificare le proprie modalità operative.

Le trappole

I destinatari dei subprime hanno rappresentato un preda ambita e ricercata sul mercato con insistenti e aggressive campagne pubblicitarie: si tratta di soggetti caratterizzati da una, eufemisticamente definita, “imperfect credit history” spesso accertata tramite questionari messi a disposizione su internet, e che non riescono ad accedere ai normali canali di finanziamento.
I prodotti per loro confezionati riflettono la tradizionale impostazione, con tassi di interesse elevati rispetto a quelli praticati agli altri clienti (più alto è il rischio, più alto è il prezzo) e contengono clausole, relative ad esempio ai rimborsi anticipati, decisamente penalizzanti.
Ci sono poi alcuni meccanismi come i 2/28 Arm (adjustable rate mortgage) che hanno avuto effetti micidiali per molte persone.
Si tratta di pagare una rata fissa per i primi due anni, successivamente la rata diventa variabile e agganciata al tasso di interesse rilevato in quel periodo più un determinato margine. La trappola sta tutta nel margine che, anche in presenza di bassi tassi di interesse, può generare comunque rate più elevate rispetto a quelle di partenza. A questo punto molti mutuatari programmano di rifinanziare il muto originario, ma dovendosi accollare, appunto, salatissime penalità, non ce la fanno e vanno incontro all’inevitabile default.

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Il popolo dei subprime

Il popolo dei subprime è variamente composto: da chi si sbaglia a riempire i questionari sui siti internet e diventa un subprime anche se il suo scoring reale non lo è, a chi li utilizza per la seconda casa. Ma è innegabile che una fetta consistente è rappresentata da chi ha visto in questi strumenti l’unica possibilità di comprarsi, finalmente, una casa di proprietà o di rifinanziare un mutuo, sempre per l’acquisto della casa, acceso in precedenza. Purtroppo è la parte di popolazione più povera, meno istruita e più esposta ai rischi sociali dei foreclosures (i pignoramenti). Recenti studi mettono in evidenza come i mutui a più alto tasso di interesse investano le fasce a più basso reddito e come in questo insieme assumano grande rilevanza le minoranze etniche. E si calcola in 2,2 milioni le persone che negli Stati Uniti a causa dei subprime corrono il pericolo di perdere la propria abitazione. (1)
Le autorità di vigilanza stanno cercando di correre ai ripari richiedendo agli intermediari il rispetto di più rigorosi criteri di correttezza e trasparenza (ad esempio presentando ai clienti una semplice tabella dove a destra c’è scritto quanto si paga con le rata fissa e a sinistra quanto si corre il rischio di pagare con il sistema dell’Arm) e più attente analisi del rischio di solvibilità della clientela. (2)

Il credito anche a chi non lo merita: la vera sfida

Sono sicuramente interventi importanti, ma non bastano. I subprime rappresentano il sintomo di una fenomeno più generale: l’affacciarsi sul mercato del credito di sempre più estese fasce di popolazione che non presentano i normali requisiti di “bancabilità”, ma non possono rimanere escluse dai circuiti finanziari, sia per fin troppo ovvie ragioni sociali, sia per la loro rilevanza nel sostenere lo sviluppo economico anche nelle società avanzate. Senza tener conto del pericolo che finiscano nelle mani di circuiti informali e illegali.
Ed è evidente che finanziare questa clientela seguendo solo e soltanto i criteri tradizionali (tasso di interesse e garanzie), oppure utilizzando gli automatismi di scoring tipici del credito al consumo, non contribuisce a spostarla dalla sua marginalità.
L’anno scorso è stato assegnato il premio Nobel per la pace a Muhammad Yunus fondatore della banca di microcredito GrameenBank. Il successo di questa iniziativa non risiede, come molti erroneamente hanno creduto e continuano a credere, nelle ridotte quantità di denaro prestato a persone povere, ma nel fatto che vengono utilizzate particolari tecniche di valutazione e successiva gestione del finanziamento che consentono, tramite la presenza di operatori specializzati, di rinunciare alle normali, e inesistenti, garanzie, di monitorare costantemente i flussi di rimborso e di ottenere bassissime percentuali di insolvenza. (3) Sono tecniche non certo esenti da dubbi sulla loro esportabilità in contesti diversi da quelli dei paesi in via di sviluppo (dubbi, in parte, smentiti da alcune significative esperienze nell’occidente avanzato), ma rappresentano un importante terreno di sperimentazione di nuove modalità di fare credito a chi al credito non potrebbe mai accedere. Per intermediari ormai abituati a offrire prodotti altamente standardizzati con procedure automatizzate, sarebbero necessarie profonde modifiche organizzative con elevati costi operativi, ma proprio nel settore dei mutui immobiliari negli Usa vi sono ricerche che rilevano la possibile incidenza sui tassi di default non solo di una più alta alfabetizzazione finanziaria, ma anche della attività di assistenza e consulenza nei confronti dei mutuatari. (4)
È questa, in altri termini, un prospettiva che coniuga inclusione sociale e profitto perché, non bisogna dimenticarlo, un soggetto “accompagnato” verso un equo, corretto e consapevole utilizzo dello strumento creditizio è destinato a diventare in futuro il miglior cliente.

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(1)
R.B. Avery, K.P. Brevoort, G.B. Canner, Higher-Priced Home Lending and the 2005 HMDA Data, in Federal Reserve Bullettin, 2006; E. Schloemer, W.Li, K. Ernst, K. Keest, Losing Ground: Foreclosures in the Subprime Market and Their Cost to Homeowners, Dicembre 2006, sul sito
www.responsiblelending.org
(2)
Sul sito
www.federalreserve.org/newsevents/
(3) Otto modi di dire microcredito, a cura di D. Ciravegna, A. Limone, Il Mulino 2007
(4) A. Hirad, P. M. Zorn, A Little Knowledge is a Good Thing: Empirical of The Effectiveness of Pre-Purchase Homeownership Counseling, maggio 2001, sul sito www.chicagofed.org.

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